Equilibrio di forme vegetali, rapporti luci-ombre, punti di vista sul paesaggio aperto, essenzialità. Questi sono i concetti che mi balzano alla mente se penso ai giardini firmati da Pietro Porcinai (1910-1986), un maestro giardiniere prima di tutto, architetto del paesaggio e figura di riferimento dello stile del giardino italiano del Novecento.

Probabilmente influenzato dalla matrice culturale che lo ha cresciuto, il paesaggio e il giardino toscano, Pietro Porcinai assorbe pienamente tutta la toscanità che è contenuta nei più celebri e autorevoli esempi di giardini storici quattro-cinquecenteschi. Figlio del giardiniere del parco della Gamberaia, nasce a Settignano in una casa annessa alla Villa storica della Principessa Catherine Jeanne Ghyka, che negli anni 1898-1900 trasforma il parterre settecentesco, dinanzi alla villa, in un “water garden”.

La sua nascita in un luogo tanto privilegiato determinò il suo destino di architetto del giardino – non volle concludere gli studi di architettura per una visione diversa delle cose in materia – in quanto Villa Gamberaia rappresenta uno dei Santuari della storia dell’arte dei giardini italiani, per chi voglia iniziarsi a questo lungo ma appassionante ambito di ricerca. Ricordo ancora di essere stata catturata da questo giardino, una terrazza sulla vallata dell’Arno a poca distanza da Firenze. La perfezione delle forme, la classica esedra verde che si apre con un’apertura tra la fitta siepe sul paesaggio circostante, in uno stile tutto italiano a forma quadripartita, geometrica nella parte a parterre poi diventata suddivisa in vasche. Le quinte verdi, l’uso delle siepi in generale, formate da arbusti sempreverdi come bossi, tassi e filliree topiati, lineari incideranno molto sullo stile di Porcinai, che diventerà il maestro nell’uso di scene verdi, siepi, viali, forme, le più sinuose e originali per comporre i giardini in tutto il paese, oltre un migliaio.

Dopo averlo quasi dimenticato come autore di giardini, avendolo studiato proprio tra i primi quando intrapresi il lungo cammino di conoscenza, ricerca e studio del giardino e del paesaggio, mi sono recentemente ritrovata tra le sue opere quando ho ricevuto il volume Porcinai e il suo paesaggio (LND, 2017), a firma di un amica paesaggista – Camilla Zanarotti – di Paola Porcinai e del noto fotografo Dario Fusaro. Il testo mi ha riportato al primo volume che per primo lessi su Pietro Porcinai, trovato durante i miei studi universitari nello studio di architettura di mio padre, che era solito tenerlo vicino ad altra monografia dell’architetto Carlo Scarpa. In realtà pur essendo ricco di informazioni, schede tecniche, planimetrie e immagini quel testo di Matteini Pietro Porcinai architetto del giardino e del paesaggio, (Electa, 1991) era soprattutto un testo in bianco e nero, e con l’immaginazione cercavo di calarmi in questi giardini per capire come fossero stati nella realtà.

Grande piacere quindi ho trovato nello sfogliare questo volume che punta soprattutto sull’impatto visivo e alla veste iconografica, improntata sulla qualità e il numero delle immagini di ben 21 giardini ottimamente conservati. Sorprendentemente realistico, grazie al corredo fotografico, il libro conduce il lettore all’interno dei giardini descritti, con scorci, particolari e viste panoramiche di alto pregio. Le schede sintetiche di giardini si soffermano con leggerezza e chiarezza sugli stilemi delle opere paesaggistiche del Porcinai, sugli schemi compositivi ideati, con qualche accenno al racconto dei rapporti con la committenza, per lo più illuminata, nonché al pensiero filosofico e artistico delle sue creazioni verdi. Un esempio straordinario, emblematico del suo lavoro compositivo e formale è quello riportato in copertina: il famoso giardino privato di Portofino dove forse Porcinai nel 1969 ha segnato il punto d’inizio di uno stile inconfondibile di piscina, poi copiato in Italia e nel mondo. Uno specchio d’acqua che a sfioro si confonde con il mare che è in continuità visiva e prospettica, evitando lo stacco creato dai bordi del manufatto.

Un excursus quello di Zanarotti e Paola Porcinai, che, percorrendo una ventina di opere, parte dal giardino dei Collazzi a Firenze del 1930 fino al Sagrato di Sant’Ambrogio a Zoagli del 1983. Una manciata i giardini di Porcinai che ho potuto visitare rispetto ai mille che ne progettò e in moltissimi casi realizzò nella sua vita, ma quei pochi mi furono utili per capire l’uso appropriato e sapiente delle specie ornamentali in un giardino, le modalità di assemblarle tra loro per creare effetti cromatici naturali, per intuire come la semplicità delle forme non escludesse ricchezza di specie e varietà botaniche.

Credo che la grandezza di Porcinai, studiato e apprezzato anche come saggista in Italia e all’estero (moltissimi ormai i contributi e le monografie su di lui pubblicate) anche grazie all’apertura dopo il recupero del suo ricchissimo archivio a San Domenico di Fiesole, sia stata quella di conciliare l’insegnamento della tradizione del giardino storico italiano (a partire dall’umanesimo) con le esigenze della modernità, della committenza più diversa e spesso illuminata. Cito solo qualche punto chiave della sua filosofia progettuale che traspare poi nelle opere che ha realizzato.

L’integrazione dell’opera con il paesaggio circostante: il Parco dell’Oasi Zegna in Piemonte rappresenta un opera unica in Italia che dimostra come un architetto del paesaggio possa riuscire a modellare una collina, un ampio territorio, creando un effetto naturalistico di perfetta integrazione tra il preesistente e l’inserimento di entità botaniche esotiche adeguate. Arricchire quindi la biodiversità del luogo - termine che fu coniato più tardi – senza creare un impatto antropico poco coerente ecologicamente. Fu il primo a ispirarsi ai principi di fitosociologia vegetale, cioè lo studio di associazioni vegetali naturalmente compresenti e in sinergia in un area con certe caratteristiche ecologiche (clima, altitudine esposizione, ecc.).

L’ispirazione alle forme della natura per poi costruire un’idea e un progetto di giardino da vivere: Villa la Terrazza a Firenze, in uno spazio cittadino fuori Porta Romana riesce a creare una piccola oasi verde con l’aiuto di un laghetto-piscina impreziosito da elementi a forma di ruote in marmo di Verona, che fungono da elementi decorativi, passaggi, intermezzi tra piscina e stagni con acquatiche come le ninfee e i fiori di loto a cui si ispira per disegnarli. La materia inerte diventa vivente perché si confonde con essa senza suddivisioni, compartimenti, separazioni nette. Anticipa quello che sarà in seguito, 40 anni dopo il “biolago”.

Infine l’attenzione ai principi base dell’ecologia: integrava e associava tra loro piante che già in natura sono felicemente parte di un sistema, di un areale, leggendo bene il paesaggio e le sue trasformazioni spostandosi tra regione e regione italiana. Studiava attentamente il luogo dandosi il tempo per capirlo in molte situazioni viveva dei periodi con il committente per progettare sul campo. Ha lavorato in Veneto, in Umbria, in Toscana, in Lombardia, in Piemonte e in molte altre regioni spaziando tra opere di paesaggio, giardini privati, parchi, pertinenze di fabbriche, la più nota e perfettamente riportata nel bel libro, la sede di Mondadori a Segrate insieme al grande architetto Oscar Niemeyer.

E ancora memoriali, ville storiche, autostrade come quella del Brennero. La sua propensione per il viaggio e le relazioni lo ha condotto a intessere rapporti con i più grandi artisti e architetti a livello mondiale. La genialità artistica di Porcinai era così capace di esprimersi anche come architetto di esterni tanto che di lui rimangono arredi realizzati in pietra, pavimentazioni in ciottoli, ornati e disegnati con uno stile personale inconfondibile, fortunatamente oggi ancora apprezzabile grazie alla manutenzione di queste opere da parte dei proprietari dei giardini.

Nel bel saggio finale che chiude il libro Camilla Zanarotti si sofferma sul pensiero di Pietro Porcinai facendo capire come la sua opera immensa – pochi i paesaggisti dell’epoca che sono stati così fattivi a tanti livelli – ha spaziato tra la progettazione, la scrittura, la divulgazione, la formazione, la collaborazione a riviste importanti di architettura come Domus, la consulenza per enti pubblici, guardandosi sempre alle spalle, curando gli aspetti della tradizione, delle esperienze paesaggistiche internazionali (anglosassoni e tedesche in particolare). Voglio ricordare una sua chiosa proprio su un tema cruciale in questi ultimi tempi: la qualità paesaggistica delle infrastrutture. Porcinai inorridirebbe nel vedere come il paesaggio italiano in questi ultimi trenta anni sia stato violato. “Nessuno nega – afferma Pietro Porcinai – che l’autostrada debba servire ad abbreviare i percorsi, a sveltire e a rassicurare il traffico veicolare, ma esistono priorità paesaggistiche che devono essere assolutamente rispettate al fine di ridurre al minimo la lacerazione dell’ambiente naturale”. Il testamento emotivo lasciato da Porcinai nei confronti del paesaggio italiano, che lui amava e rispettava come un grande giardino è per fortuna ancora oggi apprezzabile e vale pena conoscere quanto ci ha lasciato in eredità …

Fortunatamente grazie all’opera di proprietari di giardini, studiosi, eredi, appassionati delle sue opere oggi tutto questo vive. Il mio consiglio a chi volesse addentrarsi nel suo mondo è quello di spingersi in un tour virtuale accompagnati da questo ultimo sforzo editoriale, senza dimenticare il sito web personale dell’autore che apre con un suo pensiero ancora attualissimo: «Per vigliaccheria o per denaro la maggior parte degli architetti ha abbandonato il mondo delle cose costruite in armonia con la Natura, consentendo che sorgessero brutte città e orribili periferie. Spetta all’architetto paesaggista trovare rimedio a questa situazione, ma deve essere qualcuno che sa pensare prima di agire... Affinché in questo mondo non si diffondano la bruttezza e la distruzione e il gusto per il bello possa affermarsi; il futuro ha bisogno di architetti che siano coraggiosi fautori dell’“archè” e armati di tutti gli aspetti della “technè” che operino come autentici maestri sulla scia degli insegnamenti di S. Francesco d’Assisi».