Nonostante le dimensioni esigue rispetto agli altri mari e oceani del globo, il Mediterraneo ospita un numero considerevole di specie animali, molte delle quali endemiche. Tra i vertebrati, i cetacei rappresentano senza dubbio alcuni fra gli organismi più interessanti che possiamo incontrare nelle sue acque, non solo perché fra di essi rientrano alcune tra le specie più intelligenti del mondo animale, studiate sin dall’antichità dall’uomo, ma anche perché la loro presenza ci permette di comprendere la salute del mare e di come i cambiamenti ambientali, sia causati dall’uomo sia dalla natura stessa, siano in grado di influenzare le popolazioni degli organismi viventi.

Da un punto di vista tassonomico, i cetacei si distinguono in due grossi gruppi: Misticeti e Odontoceti. Ai primi, dotati di fanoni anziché denti, appartengono le balene, le balenottere e le megattere; ai secondi, dotati di denti, tutti gli altri cetacei (delfini, focene, capodogli…).

In linea di massima, tutti i cetacei sono dotati di due pinne anteriori, una pinna caudale, una, due o tre pinne dorsali a seconda della specie, uno sfiatatoio utilizzato per respirare, un collo accorciato, un corpo allungato, un organo denominato melone (negli Odontoceti), sostanza ricca di grasso utilizzata nell’ecolocalizzazione e nell’udito, mancanza di peli, mancanza di arti posteriori (se non la presenza di ossa vestigiali) mancanza di orecchio esterno.

Le dimensioni variano molto da specie a specie. Per quanto riguarda le specie mediterranee, si passa dalla stenella (2-2,5 metri) alla balenottera comune (22 metri), passando per lo zifio (7 metri) e il capodoglio (18 metri).

Otto sono le specie presenti nel Mediterraneo, alcune delle quali frequenti e piuttosto diffuse. Tra di esse, la balenottera comune (Balaenoptera physalis), unico misticete diffuso in queste acque, rappresenta l’animale più grande del nostro mare, con i suoi 20 metri di lunghezza, seconda specie più grande al mondo dopo la balenottera azzurra (33 metri max), si riconosce, oltre che per le sue dimensioni, per la presenza di una piccola pinna dorsale e una colorazione asimmetrica, con la mascella sinistra scura e quella destra chiara. Inoltre, il suo soffio, molto alto e verticale, permette di distinguerla dal capodoglio, che produce invece un soffio più basso e inclinato di 45 gradi verso sinistra. La balenottera comune è un organismo planctivoro, che si nutre cioè di enormi quantità di plancton che filtra grazie ai fanoni, strutture cheratinizzate che sostituiscono i denti. Quando si immerge per più tempo (massimo 15 minuti), l’animale inarca la schiena fuori dall’acqua per poi scomparire nel blu del mare, raggiungendo profondità di anche 1000 metri.

Diffusa un po’ in tutto il Mediterraneo, predilige le acque liguri, frequentando soprattutto il Santuario dei Cetacei, un’area marina protetta compresa tra Tolone, Capo Falcone (Sardegna) e Fosso Chiarone (Toscana), di circa 100.000 km2, dove particolari condizioni chimico-fisiche-morfologiche, oceanografiche e climatiche, quali intensa evaporazione, apporto di nutrienti dal Rodano e movimenti ascensionali di acqua profonda (upwelling), favoriscono una produttività primaria molto elevata rispetto ai valori medi riscontrati negli ambienti pelagici di tutto il Mediterraneo occidentale, rendendola una delle zone più ricche di biodiversità di tutto il Mediterraneo.

Tra gli odontoceti, una specie molto comune è la stenella (Stenella coeruleoalba) che può raggiungere i 2,5 metri di lunghezza, distinguibile per la presenza di una striscia bianca o grigio chiaro simile a una fiamma che si estende dai fianchi fino alla base della pinna dorsale. Può essere scambiata per il delfino comune (Delphinus delphis), meno comune oggi di quanto dica il nome, ma quest’ultimo possiede invece una macchia a forma di clessidra, di colore grigio chiaro in coda e giallo-grigiastro dalla testa al fianco. Il delfino comune era la specie più diffusa nel Mediterraneo in passato, mentre oggi la stenella sembra essere più numerosa. È comunque diffuso nell’Adriatico, nell’Egeo e nello Stretto di Gibilterra.

La stenella, come tutti gli odontoceti, è una specie predatrice, che si nutre di pesci, cephalopodi e talvolta anche di crostacei, che cattura grazie a sorprendenti tecniche di caccia. Sono animali sociali, che si muovono in gruppi e che talvolta compiono migrazioni legate alle correnti oceaniche; sembra infatti che, negli oceani, in inverno seguano le correnti calde, in autunno si avvicinino alle coste, e in estate compiano movimenti inversi.

Nel Mediterraneo è una specie abbastanza diffusa e facilmente osservabile un po’ in tutto il bacino. Il capodoglio (Physeter macrocephalus), il più grande odontocete, che può raggiungere i 18 metri di lunghezza, è distinguibile per la presenza di un’enorme testa squadrata, al cui interno è presente un organo chiamato spermaceti, ricco di sostanze grasse, utilizzato per regolare la galleggiabilità dell’animale. Quando infatti esso si immerge, l’acqua fredda aumenta la densità dell’organo rendendolo più pesante e facendolo immergere con facilità; per riemergere, al contrario, il sangue caldo liquefa lo spermaceti rendendolo più leggero e favorendo la risalita dell’animale.

Il capodoglio è in grado di superare i 2000 metri di profondità, divenendo pertanto il mammifero che raggiunge le profondità maggiori e al quale spetta il primato per tempo di apnea; è in grado di restare immerso per più di due ore. Presente un po’ in tutto il bacino, è più facilmente osservabile nel Santuario dei Cetacei e in altre zone dove il fondale precipita bruscamente verso profondità elevate. Nel 2015, un rarissimo esemplare di capodoglio bianco è stato osservato al largo di Caprera (Sardegna). Purtroppo si ritrovano talvolta esemplari spiaggiati lungo le coste italiane, fenomeno ancora non del tutto chiarito dalla scienza.

Tra gli odontoceti, un’altra specie piuttosto comune nel Mare Nostrum è il tursiope (Tursiops truncatus), che può raggiungere i 2,5 metri di lunghezza, di colore grigio uniforme, un melone pronunciato e un rostro piuttosto corto e tozzo. Il melone è una struttura presente negli odontoceti, ricca di sostanze grasse, utilizzata nell’ecolocalizzazione, un processo biologico mediante il quale i suoni emessi dagli animali, attraverso passaggi nasali e sacche d’aria, vengono concentrati in una fascia del melone e poi emessi nell’ambiente esterno. Propagandosi nell’acqua, raggiungono degli ostacoli, (prede, rocce) e le eco di ritorno, passando attraverso la mascella inferiore e incanalate sino all’orecchio interno, permettono all’organismo di capire da dove proviene l’oggetto in questione, che forma ha, in che distanza si trova e a che velocità viaggia. In tal modo il delfino riesce a ottenere informazioni precise sulla sua preda. I tursiopi sono in grado di emettere diversi tipi di suoni tra i quali click e fischi, utilizzati nella caccia e nella comunicazione fra individui.

Essendo predatori, cacciano pesci, cephalopodi, crostacei e sono in grado di effettuare strategie di caccia notevoli, come ad esempio quella di radunare i pesci verso le coste e poi spingerli sulla sabbia, nutrendosi di essi e rischiando talvolta di spiaggiarsi loro stessi. Il tursiope è un animale comune un po’ in tutti i mari del mondo e nel Mediterraneo è frequente nella parte meridionale del bacino, in Sicilia, in Adriatico e lungo le coste liguri e toscane.

Globicefalo (Globicephala melas), e zifio (Ziphius cavirostris), sono altre due specie di cetacei presente nel bacino mediterraneo, il primo, che può raggiungere i 6 metri di lunghezza lo si può incontrare oltre che nel Santuario dei Cetacei, anche nel mar Ionio e nel Tirreno; il secondo (sino a 7 metri di lunghezza), predilige le acque profonde dove il fondale precipita oltre i 2000 metri, come la scarpata continentale del Mar Ligure e Mar Tirreno.

Il globicefalo ha un corpo scuro e massiccio, una testa globosa e un minuscolo rostro; spesso si spiaggia numeroso sulle spiagge. Nel 2017, più di 600 individui si sono spieggiati in massa in Nuova Zelanda. Lo zifio ha una colorazione chiara, un corpo siluriforme, un capo piccolo, un altrettanto piccolo melone e un rostro ridotto. Il corpo è ricoperto da strisce (graffiature) che pare siano dovute alle interazioni sociali; secondo alcuni studi sembrano aumentare con l’avanzare dell’età. Uno studio del 2014 ha rivelato che lo zifio detiene uno dei primati di immersione: supera infatti i 2900 metri di profondità e i 140 minuti di apnea.

Il Mar Mediterraneo resta dunque un hot spot di biodiversità, un luogo prediletto per i grandi mammiferi marini, e un laboratorio dove poter studiare i cambiamenti climatici in atto. I cetacei rappresentano solo uno dei grandi gruppi di organismi che hanno fatto del Mare Nostrum un habitat dove vivere, nutrirsi e riprodursi.