Eccoci in viaggio verso l’Oasi di Sant’Alessio, nelle vicinanze di Pavia, e, precisamente, a Sant’Alessio con Vialone, dove ci attende un cicogna. Arrivando nella piccola cittadina che fa da cornice all’Oasi la prima cosa che noto è, infatti, un’enorme e regale cicogna che svetta sul campanile della Chiesa antistante il cancello d’entrata del Parco. Questo splendido esemplare sta, accanto alla croce, sul suo nido, un enorme nido che sembra fuoriuscire, per dimensioni, dal tetto stesso della Chiesa.

Sembra di essere entrati in una favola: non ho mai visto una cicogna e per giunta una cicogna così tranquilla e beneaugurante, quasi a guardia non solo dei suoi piccoli ma di tutti gli abitanti della zona nonché dei visitatori in arrivo. Sono già di buonumore. Entro nel Parco, attraverso un piccolo cancello che obbliga a chinare la testa, quasi ad avvisare che, entrando nel giardino, bisogna farlo in punta di piedi, in silenzioso rispetto per gli animali che liberamente e allegramente lo popolano. Siamo noi ad entrare a casa loro e, in quanto ospiti, dobbiamo rispetto, educazione e silenzio.

Dal cancelletto d’entrata passiamo al cortile del Castello fiorito che funge da anticamera al giardino naturalistico (vi confesso che l’atmosfera da favola aumenta. Il castello mi fa pensare ai sogni di bambina, quando credevo alle fate ed alle principesse e leggevo di loro sui libri illustrati che profumavano di nuovo…). Quest’Oasi (ma preferisco chiamarla giardino per l’idea di atmosfera incantata che sempre mi evoca questo vocabolo…) è nata oltre quarant’anni fa, quando Antonia e Harry Salamon acquistarono il castello di Sant’Alessio e il po’ di terra intorno, all’epoca un campo di erba medica (a parte la passione per l’architettura medievale, c’era il progetto, accarezzato dall’infanzia, di creare un allevamento di specie in pericolo, per ripopolarle), ma è visitabile solo dal 1994, anno in cui i suoi “creatori” (uso questa parola per darvi l’idea di qualcosa nato dal nulla e solo dall’amore e con amore) decidono di aprirla al pubblico, su invito della LIPU. Questo ci dà subito l’idea del perché sia nata: non tanto per gli spettatori esterni quanto per gli animali, spettatori autentici di sé stessi. C’è tanta passione in questo giardino, tanto amore e dedizione. Tanta amicizia e rispetto, gioia di vivere e di far vivere, tanto desiderio di conoscere e di far conoscere. E’ un vero e proprio laboratorio naturalistico all’aperto, un luogo dinamico ove la Natura fa da sola guida: noi dobbiamo solo seguirla e assecondarla.

Entriamo allora, scostando un alto ed elegante fiore rosa profumato che, facendo capolino da un cespuglio rigoglioso, mi impedisce momentaneamente il passaggio.

I percorsi “segreti”

Tutto è nato dall’allevamento in cattività di falchi pellegrini: qui si è stati fra i pionieri nell’impresa, salvando la specie, grazie anche alla reintroduzione in natura di numerosi esemplari.

L’idea del giardino nasce dalla volontà di allevare animali in via di estinzione e di restituirli alla Natura attraverso programmi di reintroduzione specifici. La riproduzione del Cavaliere d’Italia, ad esempio, è uno dei grandi successi dell’Oasi ove si è arrivati ad allevare, e in massima parte a reimmettere in natura, oltre un centinaio di esemplari. Lo stesso dicasi per gli scoiattoli europei che, prima della liberazione, sono abituati alla geografia dei luoghi attraverso un complesso sistema di camminamenti, seguendo un’intuizione di Konrad Lorenz. I falchi pellegrini nati nell’Oasi sono reintrodotti a partire dal 1992 e rappresentano la base della piccola ma fiorente popolazione che oggi risiede nella Lombardia meridionale. Mi domanderete a questo punto: ma in cosa si differenzia questo spazio di natura libera da tanti altri parchi presenti sul nostro territorio? Perché dovrei visitare questo piuttosto che un altro?

Vi rispondo subito con almeno tre parole, che peraltro ho già utilizzato: amore, favola, segreto.
AMORE: la passione degli artefici del giardino e dei loro amici ci porta verso un percorso intimo e speciale, un brivido di calore che ci fa scoprire il mistero e la meraviglia dei movimenti lenti del pesce arciere e del tuffetto o del volo leggero degli aironi e dei colibrì.
FAVOLA: i colori degli animali e delle piante rigogliose ci riportano ai testi di Lafontaine o alle favole liceali di Fedro.
SEGRETO: i visitatori passeggiano delicatamente attraverso percorsi “segreti” e quasi misteriosi per non disturbare la Natura che sonnecchia e si risveglia dolcemente.

I percorsi sono due: quello delle zone umide europee e quello della foresta pluviale amazzonica. Per inclinazione naturale personale scelgo di percorrere il secondo. La freccia che indica tale percorso è gialla, intarsiata su legno chiaro. Entriamo aprendo un cancello verde e percorriamo il sentiero in terra, ove pareti di stuoie lasciano respirare ed intravedere vari animali e piante. L’atmosfera è umida, assomiglia a quella del nord-est brasiliano. A Recife ho provato la stessa sensazione avvolgente se pure un po’ soffocante. Il verde lussureggiante accompagna tutto il percorso, si scorgono tanti animali curiosi. Cerchiamo di non disturbarli troppo, in fondo siamo noi a entrare in casa loro, gli spettatori e ospiti. Fra voliere di pappagalli e tucani, canti di uccelli di vario tipo e colore sgargiante giungiamo al posto che più mi ha affascinato: la serra degli ambienti di foresta pluviale sudamericana. La serra umida è un posto chiuso ove si deve quasi e discretamente abbassare lo sguardo per il troppo verde che invade tutto così luminosamente.

Piante del Messico, del Costa Rica, del Guatemala o del Brasile fanno da sfondo a vasche ove si trovano caimani, iguana, pirañas vegetali e carnivori. Un camaleonte non si fa trovare: lo si scopre solo per la coda riccia che lo tradisce. La “stanzetta” accanto è il giardino delle farfalle: un farfalla Morfo, azzurra come il cielo a primavera, una delle più belle dell’Amazzonia, svolazza liberamente sulle nostre teste. Un colibrì dal petto arancione se ne sta là in alto a controllare e supervisionare la situazione. Rumori e colori fanno a gara a stupire. Le più belle farfalle dei tropici, allevate nell’Oasi, vengono settimanalmente inserite in questo ambiente popolato anche da fiori di cui le farfalle si nutrono.

Il colibrì mi riporta alla favola. E precisamente a una bellissima favola della Nigeria: “perché il colibrì è il re degli animali”. Questa favola, della tradizione Ibo, racconta di una sfida fra gli animali della foresta, riunitisi alla morte del loro re, il leone, per eleggere il nuovo sovrano. Si decide che sarebbe stato incoronato re l’animale che fosse stato in grado di volare più in alto. Viene scelta l’aquila, finchè un colibrì si fa avanti per sfidarla. Il via alla sfida viene dato dalla lepre: punto di partenza, una palma di cocco. Il colibrì si posa su un ramo proprio sopra l’aquila. Al segnale di partenza il colibrì salta sulla schiena dell’aquila senza che questa se ne accorga e scompare con lei nell’aria. L’aquila volando sempre più in alto si avvicina al sole finché decide di fermarsi per non bruciarsi. A queste parole il colibrì si leva nell’aria, uscendo dal nascondiglio, la schiena dell’aquila, e con la vocina pigolante chiede all’animale se crede ancora di essere colui che vola più in alto. Il colibrì aveva fino a quel momento risparmiato le sue forze, giungendo in alto in groppa all’avversario, mentre l’aquila spossata si vede costretta a cadere a terra, precipitando per la stanchezza. Gli altri animali vedono che il colibrì è in realtà l’animale che vola più in alto e che pertanto, una volta sceso lentamente a terra, viene eletto re degli animali.

Anche questo colibrì nella serra lussureggiante sembra voler scendere leggiadramente e regalmente verso di noi per ricordarci la sua supremazia naturale.

Tartarughe ed Esplora-Natura

Un’altra favola della tradizione Ibo spiega “perché la tartaruga ha tante cicatrici sulla corazza”: è caduta sotto il peso di tutti gli altri animali mentre cercava di impedire a uno scoiattolo di salvare la madre rifugiatasi su un albero. Schiacciata dal peso, le formiche avevano cercato di ricomporre la corazza in frantumi ma, non essendo dotate di grandi capacità artistiche come lo era stato Dio quando aveva creato gli animali, non erano riuscite a ricongiungere i pezzi senza che si vedessero le cuciture. Pensando a questa atipica favola della tradizione orale nigeriana, osservo le tartarughe che si nascondono fra le acque del giardino: è difficile vederle e sono riconoscibili proprio grazie a quelle epiche cuciture. Qualcuno dice che quelle pieghe sono l’età dell’animale. Ognuno pensi quello che più gli piace, è bello dare sfogo all’immaginazione e alla fantasia. E questo posto aiuta.

Vicino agli acquitrini delle tartarughe vi è uno spazio ove vengono fatti “esperimenti interattivi”, utili soprattutto agli studenti delle scuole medie in visita al giardino. Tutto qui insegna vita ai giovani ed ai meno giovani. Tutto sprizza bellezza e armonia.

Non ho citato i tanti animali incrociati nel cammino, i loro sguardi e i loro versi. Non solo perché è difficile spiegare la tenerezza che ispira un bradipo addormentato con il cucciolo in grembo o la sensazione di completezza che si ha nel vedere una gru azzurra dal lungo collo o un gruppetto di Ibis scarlatti sguazzare in acque ove un’isoletta piccola ed appartata ospita, in una capanna, un gruppetto di scimmie solitarie. O perché è bello lasciarvi immaginare lo spettacolo visivo dello stagno dei fenicotteri e delle cicogne o della voliera delle paludi delle spatole, degli aironi e delle anatre. Ma anche per lasciarvi la gradita sorpresa di scoprire voi stessi quei suoni e quei colori che sembrano volerci riappacificare con una parte spesso dimenticata del nostro bellissimo mondo. Pronti allora?