Quando, nel 1953, Watson e Crick, poi insigniti del Premio Nobel per la Medicina, scoprirono la struttura a doppia elica del DNA e il suo modo di replicarsi, fu un grande giorno per la scienza. Attraverso il DNA si poteva accedere al codice segreto della vita e stabilire il marchio infallibile e unico della nostra identità.

Si apriva così una nuova era per la medicina e per la salute pubblica, basata sullo studio delle molecole biologiche che caratterizzano i sistemi viventi: le cosiddette scienze “omiche”. Dalla decodifica del DNA umano si sarebbero potuti apprendere i meccanismi genetici delle malattie, sviluppare nuovi farmaci, ottimizzare le terapie e potenziare gli interventi preventivi, differenziando e trattando, su basi genetiche, le singole persone.

Queste seducenti speranze, insieme alla prospettiva degli enormi interessi economici ad esse correlate, diedero vita a una nuova branca della medicina chiamata medicina di precisione o personalizzata, perché ritenuta capace di indirizzare gli interventi verso il patrimonio genetico che contraddistingue ogni singola persona.

La rivoluzione epigenetica

Non v’è dubbio che la ricerca abbia largamente contribuito a migliorare le conoscenze sul ruolo dei fattori genetici come causa di malattia e a mettere a punto specifici interventi di prevenzione e di cura. Abbiamo appreso, per esempio, che alcune malattie, come la fibrosi cistica, la talassemia, l’emofilia, la miodistrofia sono causate dal difetto di un singolo gene e ubbidiscono ai principi della genetica mendeliana. In questi casi i test genetici sono molto utili per la diagnosi, la cura e la prevenzione; tuttavia, il rapporto tra geni e malattia raramente è così semplice e chiaro.

Da quando, nel 1983, fu identificata la prima malattia associata alla mutazione di un gene (la malattia di Huntington) la ricerca di alterazioni genetiche nelle persone affette da un particolare disturbo è stata intensa ma con risultati non del tutto soddisfacenti. Con il progredire delle conoscenze, infatti, abbiamo capito che i geni rappresentano solo una minima parte del DNA (forse meno del 2%) e che il resto del genoma non è un’entità immutabile ma una struttura biologica dinamica, variabile con funzioni regolatorie tuttora in gran parte oscure [1].

Si pensi, per esempio, alle cellule del nostro corpo: hanno tutte i medesimi geni ma, grazie alle informazioni epigenetiche, esprimono funzioni completamente diverse. Con grande sorpresa abbiamo appreso che il DNA non è solo una ben definita sequenza di geni ma una realtà instabile, fluida, fatta da strutture reticolari, interazioni, effetti evanescenti e in continuo mutamento. Più o meno la stessa bizzarra immagine della realtà che si è manifestata ai fisici nei primi decenni del secolo scorso con la scoperta della meccanica quantistica. Da queste singolari osservazioni nasce l’epigenetica: una nuova branca della biologia che si occupa dello studio delle modificazioni ereditabili del genoma che non riguardano le sequenze del DNA.

Abbiamo appreso, inoltre, che i l’esposizione delle persone a stili di vita e a fattori ambientali nocivi può indurre alterazioni ereditabili dell’epigenoma alle quali potrebbe essere attribuito il brusco aumento di frequenza di patologie come l’obesità, il diabete, l’ipertensione e i disturbi del comportamento [2].

Dal laboratorio alla clinica

L’odierna ricerca scientifica si basa prevalentemente su un approccio di popolazione. I risultati, infatti, si riferiscono quasi sempre a un ipotetico “paziente medio”, le cui caratteristiche sono desunte dalla popolazione oggetto di studio. Questo modo di procedere ha certamente conseguito importanti risultati ma presenta alcuni grossi limiti, dato che il paziente reale è diverso da quello “virtuale”, a cui si riferiscono i dati. Se un certo farmaco è efficace nel 50% dei casi non sappiamo distinguere a priori quale sia la metà dei pazienti che ne trarrà beneficio. Per questo motivo ogni giorno milioni di persone assumono farmaci che, nel caso specifico, potrebbero avere scarsa o nessuna efficacia, mentre sono esposte al rischio di eventi avversi, anche gravi.

È evidente, quindi, che la possibilità di conoscere la predisposizione individuale a una certa malattia e di personalizzare gli interventi di prevenzione e di cura sulla base del proprio patrimonio genetico è un’idea affascinante. Attualmente sono in fase avanzata tantissimi studi sul genoma e sull’integrazione tra le scienze omiche e i big data, ricavati dai dispositivi mobili, dalle tecnologie multicanali come gli smartphone e i sensori indossabili (mobile health) e dalle informazioni ottenute tramite i social media [3].

Uno dei settori su cui si è concentrata l’attenzione della medicina di precisione è quello oncologico. Le neoplasie, infatti, presentano alterazioni genetiche che le rendono particolarmente sensibili a specifici trattamenti. La differenziazione dei pazienti mediante marcatori genetici può essere, quindi, molto utile per migliorare l’efficacia della terapia e ridurre il numero di pazienti esposti agli effetti tossici dei farmaci. A questo fine sono stati prodotti molti farmaci interessanti come l’imatinib per la terapia della leucemia mieloide cronica, in presenza di mutazione BCR-ABL, o il trastuzumab nelle neoplasie mammarie HER2 positive e molti altri sono in fase di sviluppo [4].

Ad oggi, tuttavia, i successi riguardano un numero molto limitato di pazienti e in generale le prove di efficacia relative ai pazienti selezionati sulla base di marker genetici sono modeste [5]. Ciò per diversi motivi, tra cui: l’eterogeneità del genoma intra tumorale, per cui il risultato di una biopsia potrebbe essere diverso in altre parti della neoplasia; la comparsa di cloni di cellule neoplastiche che diventano resistenti alla terapia (evoluzione clonale); il numero elevato di biomarcatori coinvolti nel meccanismo di azione di un singolo farmaco e infine, l’enorme numero di mutazioni che caratterizzano ogni tumore e che rendono molto difficile un’azione mirata su ciascuna di esse [6]. Insomma, le prospettive aperte dalla genomica per la salute pubblica sono avvincenti ma al momento le applicazioni cliniche sono piuttosto limitate e piene di incognite.

Tutto questo, ovviamente, non significa in alcun modo che dobbiamo rinunciare all’innovazione. La ricerca deve continuare con passione, intelligenza e lungimiranza e aprirsi a nuovi e più ampi orizzonti di studio che sappiano riconoscere la natura complessa delle malattie e l’importanza delle interazioni biologiche, ambientali e sociali che rendono il loro comportamento difficilmente prevedibile attraverso lo studio analitico delle parti [7, 8]. È necessario, inoltre, non alimentare facili entusiasmi ed evitare che nuove procedure sanitarie siano introdotte nella pratica clinica prima ancora di averne stabilito l’efficacia e valutati i rischi.

A questo fine vediamo con molto interesse l’insediamento presso il Ministero della Salute, di un tavolo tecnico di coordinamento, con il compito di dare attuazione al Piano per l’innovazione del sistema sanitario basato sulle scienze omiche [9]. Speriamo che, con “prudenza e saggezza”, ne sappia cogliere le implicazioni etiche, legali e sociali, nonché le potenzialità e i rischi correlati alla loro commercializzazione e alla loro diffusione nella pratica clinica.

Medicina personalizzata: oltre i nostri geni

La maggior parte delle comuni malattie come il diabete, la cardiopatia ischemica, la demenza o il cancro sono patologie complesse, multifattoriali, a insorgenza tardiva e andamento cronico. Per esse, l’analisi del genoma è solo una delle informazioni che ci aiuta a stabilire il rischio di malattia o a prevedere la risposta individuale a un farmaco. Diversamente da quanto si pensava, infatti, il genoma non è immutabile e la trascrizione dell’informazione contenuta nel DNA è altamente influenzata da scelte personali come l’alimentazione, il fumo e l’attività fisica e da fattori ambientali come l’inquinamento e la composizione del microbioma intestinale.

Per questo motivo, a parte le patologie caratterizzate dall’alterazione di un singolo gene come la fibrosi cistica o la talassemia, la capacità predittiva dei test genetici è molto limitata. Numerosi studi epidemiologici hanno stabilito che le mutazioni delle sequenze geniche (ne sono state identificate più di 100 milioni) sono in grado di spiegare solo una piccola frazione della componente ereditaria delle malattie. La maggior parte delle variazioni genetiche sono benigne ed è difficile stabilire il loro ruolo specifico nella genesi delle malattie, dato che sono legate a una fitta rete di interazioni con l’ambiente e gli stili di vita [10].

In linea generale, nelle malattie complesse, i test genetici possono evidenziare una maggiore suscettibilità rispetto alla media della popolazione, ma non hanno di per sé valore diagnostico e vanno pertanto prescritti solo da medici specialisti e comunque all’interno di precisi percorsi di diagnosi e cura [11]. In pochi decenni il costo del sequenziamento del DNA si è ridotto di miliardi di dollari e contemporaneamente si è registrato un fiorente proliferare di test genetici, tanto che oggi (26 luglio 2018) il Genetic Testing Registry, contiene informazioni su 55.144 test, attinenti a 16.435 geni e 11.227 patologie [12]. L’interesse di gran parte di queste informazioni resta però confinato alla ricerca di base. Meno del 2% del totale dei lavori pubblicati sulla genomica riguarda la clinica e le prove scientifiche sulla capacità dei test di modificare gli esiti di salute sono scarse e controverse [13].

In particolare i test genetici rivolti direttamente ai consumatori per valutare il loro stato di salute o il rischio di sviluppare una malattia non hanno alcuna validità scientifica. Contrariamente a quanto si crede questi test non sono affatto precisi. Tuttalpiù possono fornire una vaga probabilità di sviluppare nel corso della vita una certa malattia, senza, però, offrirci alcuna indicazione concreta su cosa fare. Essi rappresentano una pericolosa trappola che può cambiare (di solito in peggio) la nostra vita [14]. Non dobbiamo lasciarci condizionare dalle lusinghe del mercato e dall’idea che nei geni vi sia scritto il nostro destino: la questione è più complessa e dobbiamo imparare a vivere con la quota d’incertezza che, nel bene e nel male, contraddistingue le nostre vite.

La medicina di precisione, impropriamente chiamata medicina personalizzata, si basa essenzialmente su una prospettiva riduzionistica perché tende a ridurre il paziente a un insieme di sequenze molecolari e affida alla tecnologia l’individuazione e la soluzione dei problemi. Cartelle elettroniche, dispositivi medici e sensori indossabili, informazioni derivanti dai social media e da altre fonti [15] sono in grado di assemblare un ingente mole di dati per ricostruire ciascun cittadino attraverso una sorta di “avatar medico” entro cui si rispecchia la sua persona. L’esperienza quotidiana c’insegna, però, che la cura ritagliata sulla persona non può limitarsi al campo della biologia, deve comprendere anche la soggettività del paziente, la sua abilità di adattamento, i suoi valori, la sua personalità, i suoi timori, le sue speranze, dimensioni non trasferibili in un database.

Ciascun individuo manifesta una propria personalità, mostra una peculiare suscettibilità e risponde in modo diverso alla medesima malattia. L’unicità delle circostanze che caratterizzano la vita di una persona e che ne influenzano la risposta alla malattia, il “personoma” come lo chiama Ziegelstein, è tanto importante quanto il suo genoma, proteoma, metaboloma o quant’altri “omi” si vogliano aggiungere [16].

Una buona medicina non può che essere una medicina personalizzata, dove le decisioni sono il frutto di un processo di ascolto e di mediazione che tiene conto dei risultati della ricerca scientifica, dell’esperienza professionale, dei dati di tipo biologico (tra cui i marker genetici) e delle specifiche esigenze del paziente. L’illusione di oggettivare la vita delle persone cercando negli elementi biologici la risposta all’incertezza che contraddistingue la nostra vita, può essere un’idea affascinante ma rischia di andare oltre l’auspicabile personalizzazione delle cure per condurci verso un determinismo “banalizzante” e fatalista, ed in ultimo demotivante [17].

Conclusioni

• La genomica e più in generale le scienze “omiche” sono destinate ad acquisire sempre più rilievo nel campo della medicina e della salute pubblica, ma ancora non sappiamo a chi potranno essere davvero utili e quali pericoli si celano nella loro diffusione incontrollata.
• L’epigenetica ha fortemente ridimensionato la possibilità di trovare nei geni informazioni certe sullo stato di salute o di malattia delle persone e ha messo in luce la capacità dell’ambiente di alterare l’espressione del nostro genoma.
• Al momento non vi sono prove scientifiche a sostegno dell’utilizzo di test genetici nelle persone sane. Al contrario, vi sono prove che l’esecuzione di test genetici al di fuori di un preciso percorso diagnostico possa essere pericoloso.
• La medicina personalizzata deve tener conto non solo della variabilità biologica ma anche dei fattori mentali e psicologici e del contesto ambientale e sociale di riferimento.
• La possibilità di trovare nelle scienze omiche la risposta individuale ai problemi di salute è irrealistica e corre il rischio di attenuare la nostra attenzione e le nostre responsabilità nei confronti degli stili di vita e dei fattori ambientali e sociali che determinano lo stato di salute e di malattia.

In collaborazione con il Dott. Giampaolo Collecchia - Medico di medicina generale - CSeRMEG

Bibliografia
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[3] Collecchia G: La medicina di precisione e le scienze omiche: promesse e fatti. Assist Inferm Ric 2018; 37: 52-55
[4] Jameson JL et al: Precision Medicine — Personalized, Problematic, and Promising. N Engl J Med 2015; 372: 2229-34.
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[6] Prasad V: The precision-oncology illusion. Nature 2016; 537: s63.
[7] Greene JA: Putting the Patient Back Together — Social Medicine, Network Medicine, and the Limits of Reductionism. N Engl J Med 2017; 377: 2493-99.
[8] Bayer R, Galea S: Public health in the precision medicine era. New Engl J Med 2015; 373: 499-501.
[9] Governo e Parlamento.
[10] Feinberg AP: The Key Role of Epigenetics in Human Disease Prevention and Mitigation. N Engl J Med 2018; 378: 1323-34.
[11] Evans JP: Finding the Rare Pathogenic Variants in a Human Genome. JAMA 2017; 317: 1904-5.
[12] National Institutes of Health. Genetic Testing Registry.
[13] Khoury M J: No Shortcuts on the Long Road to Evidence-Based Genomic Medicine. JAMA 2017; 318(1): 27-28.
[14] AA VV: La Genomica in Sanità Pubblica - Sintesi delle evidenze e delle conoscenze disponibili sull’utilizzo della genomica ai fini della prevenzione. Italian Journal of Public Health 2012, 9 (1), Suppl. 1.
[15] Parikh R et al: Beyond Genes and Molecules – A Precision Delivery Initiative for Precision Medicine. New Engl J Med 2017; 376: 1609-12.
[16] Ziegelstein RC: Personomics. JAMA Intern Med 2015; 175: 888-9.
[17] Collecchia G: Dalla medicina personalizzata alla medicina di precisione. IsF 2017; 2: 19-22. Bergamo, 21 agosto 2018