Psichiatra, Ester Di Giacomo ha condotto numerosi progetti di ricerca, in particolare sulla psichiatria perinatale e sui comportamenti adolescenziali relativi ad abusi, depressione, bullismo e orientamento sessuale.

Può fare un autoritratto che racconti di lei: la sua storia, che bambina era Ester e come è diventata la dottoressa Di Giacomo? Quando e come ha riconosciuto il desiderio di prendersi cura?

Da bambina desideravo fare la scienziata che rassicura le persone, sognavo che sarebbero state bene, pensavo che avrei regalato loro benessere. Tale aspirazione mi ha spinto a diventare medico ...

Come è scaturito l'interesse per la mente, il suo funzionamento e il suo disfuzionamento?

La mia passione per la psichiatria nasce precocemente dalla comprensione della infinita variabilità caratteriale dell’essere umano e dal desiderio di donare sollievo a chi è sofferente. Amo l'osservazione dei comportamenti umani di tutti i giorni, quello che all'inizio mi ha avvinto di più è stato lo studio genetico perché la genetica influenza il comportamento, poi la mia visione si è ampliata incontrando Freud e la psicoanalisi.

Un percorso lungo, impegnativo, ma pieno di scoperte e di incontri...

L’incontro con il prof. Italo Carta e il dr. Giorgio Omodeo Salè hanno indirizzato il mio pregresso interesse verso la sua ottimizzazione e completezza con lo studio della psiche umana. I loro seminari mi avevano fortemente colpito perché avevano colto il collegamento tra l'arte e la letteratura con le parti profonde della mente. Ricordo con emozione che al primo anno l'autore scelto è stato Shakespeare con un'analisi particolarmente riferita al cavallo di Riccardo III, è stata davvero un'esperienza toccante vedere vibrare nelle parole della tragedia le emozioni che formano la struttura profonda dell'individuo. L'incontro anche con l'arte ha chiuso un cerchio, ha dato voce e immagine a qualcosa che era già dentro di me, una specie di folgorazione sulla via di Damasco, mi ha dato certezza. La mente, allora, riscoperta nella sua espressione in arte e letteratura, così come la sua stretta connessione con la vita quotidiana, mi hanno spinto ad approfondire sempre di più gli abissi dell’animo e la sue possibili articolazioni.

Questa esperienza di formazione, non solo ha lasciato un segno profondo in lei, ma anche la possibilità di sentirsi riconosciuta, di ripescare le esperienze di luminosità della bambina Ester.

Infatti credo di dover tributare la massima parte di ciò che sono come professionista ed essere umano, alla mia esperienza familiare. I miei genitori mi hanno sempre sostenuta e stimolata intellettualmente ed emotivamente al confronto e all’interesse verso la conoscenza olistica della cultura e del mondo. Mi hanno trasmesso l’amore per la comprensione e per la volontà di comprendere incentivandone il desiderio. Uno dei fattori cruciali, per cui non smetterò mai di ringraziarli, è di avermi trasmesso la sicurezza di poter affrontare e comprendere ciò che destava il mio interesse, indipendentemente dalla mia età o dal fatto di essere una donna. Tale libertà e senso di sicurezza hanno avuto un ruolo fondamentale nel mio percorso di vita e nella espressione della mia professionalità come medico e psichiatra.

La fortuna di avere dei buoni genitori e dei buoni formatori, quali genitori simbolici è davvero una grazia...

Il prof. Carta era un mentore. C'è stato un incontro di affinità elettive e la sua scomparsa mi ha addolorato, ma serbo il ricordo di una perizia per il tribunale fatta assieme, è stata la sua ultima perizia perciò particolarmente significativa, lo consideravo eterno, avrebbe voluto che diventassi psicoanalista, ma non lo sono diventata, mi sembrava un percorso troppo oneroso in tanti sensi...

In questo percorso di formazione e di vita quali gioie, delusioni, sogni, progetti ...

Sono stati belli questi incontri e le possibilità di esperienze nella clinica e nella formazione davvero toccanti. Faccio fatica ogni volta che vedo una raccomandazione, non mi sono ancora rassegnata a questo malcostume, di solito i raccomandati hanno poche competenze, purtroppo anche nell'università e all'estero succedono questi soprusi, solo che all'estero hanno più mezzi economici per rimediare o tamponare, ma in Italia trovo vi siano menti più brillanti.

Essere donna come ha connotato la sua attività?

Noi donne siamo meno pagate, con meno possibilità ad accedere a certi ruoli, però , a parte questo, per me è stata una ricchezza essere una donna perché mi ha avvantaggiato nel poter accudire.

Nella sua formazione, nelle sue ricerche, ma anche nella sua attività emergono questioni importanti che toccano la vita, quindi ci toccano, in maniera profonda. Specialmente evidenti sono i suoi studi che riguardano la condizione speciale di passaggio degli adolescenti, la posizione della donna e l'interrogarsi su quel sottile filo, quasi metaforicamente una “barriera di contatto”, che delimita la sanità dalla patologia mentale. Tante tematiche attuali nel senso che riguardano la verità di cui siamo fatti. Quale campo l'ha più interessata e perché?

Mi arricchisce sempre la conoscenza di storie, i più grandi insegnanti sono i pazienti, ogni persona è unica e con ognuno si scopre un modo diverso di essere, di esserci nella malattia mentale e di rapportarsi.

Vogliamo cominciare con gli adolescenti? Ci vuole raccontare il suo incontro con il loro mondo?

Nel mio percorso lavorativo, ho avuto appunto la fortuna di poter prendermi cura anche di adolescenti, che rappresentano un punto di riflessione plurivalente. Innanzitutto, rappresentano il miglior punto di osservazione di quanto esitante dalle interazioni familiari. Data l’età a cavallo tra infanzia e giovani adulti, sono ancora per lo più conviventi con il nucleo familiare d’origine e permettono quindi una maggiore valutazione delle reciproche influenze relazionali sulla psicopatologia. Ancor più interessante, mostrano quanta delicatezza e fragilità comporti tale periodo di transizione, stimolando una maggiore ricerca di comprensione e supporto. L’interazione con pazienti in questa fascia d’età permette l’osservazione privilegiata anche dell’influenza e dei mutamenti della società moderna, in quanto rappresentano il gruppo più sensibile e ricettivo a tali evoluzioni. Dirimente, nella considerazione della sofferenza espressa da questi ragazzi, risulta, però, la speranza e aspettativa di cura. La giovane età permette spesso una maggiore malleabilità e duttilità, sia per una storia di malattia più breve, sia per il fatto di essere ancora in un periodo di maggior evoluzione rispetto all’età adulta. La speranza di poter alleviare se non guarire quanto esperito stimola umanamente a sforzi terapeutici maggiori e più incisivi possibile con l’obiettivo di permettere una qualità di vita personale e sociale il più soddisfacente e positiva possibile.

È davvero un mondo complesso e variegato quello dell'adolescenza. Può farci entrare in uno di questi incontri?

Mi è venuta subito in mente una ragazzina che mi ha colpito particolarmente, chiamiamola Sara. Sara giunge al servizio perché è sempre chiusa in se stessa, ha difficoltà ad andare avanti, non è riuscita a superare il test di medicina, al contrario della sua più cara amica. Sara è molto sofferente, ultimo anello di una catena familiare fragile e in difficoltà dal punto di vista psicologico. Tra i vari spunti di non accettazione, anche una identità di genere da lei ben accettata ma che non riesce a condividere con altri per paura del giudizio. Nel suo percorso riuscirà poi a esplicitare pubblicamente il proprio sentire e a esprimere il desiderio di cambiare sesso, operazione di transizione che poi non completerà. Nel momento in cui affronta l'accettazione e l'esplicitazione di questa parte di sé, iniziano da parte di Sara comportamenti autolesionistici. E questo ha mosso tante preoccupazioni e tanti interrogativi. Sara stimola un senso di protezione e cura. Gli adolescenti di oggi hanno una sessualità molto fluida, che mi ha spinto ad approfondire, a dare maggior pensiero alla questione adolescenziale e che si è trasformata in una maggiore conoscenza. E di questo le sono grata.

È proprio vero, come diceva prima, che dai pazienti si impara tanto, e allora ridiamoci un appuntamento per imparare e incontrare altre situazioni di vita che concorrono a formare la realtà umana, a confrontarci, per esempio, su quel sottile filo che separa la sanità dalla malattia mentale. A riflettere, infine, sulla nostra condizione umana.