I germogli vantano una certa considerazione anche nel campo della letteratura: uno degli esempi più noti è il libro capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry, dove il principe bambino è alla ricerca di una pecora che possa divorare i germogli di boabab, i quali rappresentano un pericolo per lo spazio del piccolo pianeta e una seria minaccia per l’esistenza della sua amata rosa.

Ma è la storia, intesa come processo di costruzione dell’identità personale, a farci capire che “tutto è connesso e concatenato”.

Un germoglio sicuramente ricco di forza vitale e desideroso di rinascere come una fenice vegetale per dare un senso alla vita è sicuramente quello del Ginkgo biloba giapponese che, nonostante la furia distruttiva e accecante dell’atomica, ha deciso di crescere nella martoriata Hiroshima. Questo episodio smentisce il pensiero dello scienziato F.H. Jacobsen (membro del programma atomico Manhattan Project) il quale aveva dichiarato che sul luogo dell’esplosione non ci sarebbe stata più alcuna forma di vita per almeno 75 anni.

Ma come ci illustra Stefano Mancuso, fisiologo vegetale e direttore del Laboratorio di Neurobiologia Vegetale dell’Università di Firenze: “Uno studio degli anni '70 riportava addirittura di alberi sopravvissuti in un raggio di 500 metri dall'epicentro, un fatto straordinario perché si pensava che all'interno di quell'area non potesse sopravvivere nulla. A posteriori sappiamo che ciò può essere dovuto al fatto che alcune parti interrate degli alberi sono state protette dallo strato di terra, oppure perché sul lato non irradiato, protetto dallo spessore del tronco, qualcosa è sopravvissuto. Quegli esemplari sono rinati perché le piante non sono un ‘unico organismo’, come gli animali: si sono invece evolute in uno schema che potremmo definire ‘modulare’ per sopravvivere alla predazione di animali capaci di nutrirsi anche del 90% di una pianta. Con una semplificazione, potremmo paragonarle a colonie di insetti”.

Tutti gli alberi scampati all’esplosione sono chiamati Hibaku Jumoku (alberi sopravvissuti), a testimonianza che, nonostante la violenta stupidità umana, la viriditas non perisce mai.

Anche nella mitologia, come nel mondo reale, esistono germogli in pericolo, basti pensare ‘all’albero cosmico’ o ‘albero del mondo’, chiamato Yggdrasil: una delle tante rappresentazioni dell‘axis mundi, raffigurato da un immenso frassino (o da altri alberi sacri per la tradizione del nord Europa, come la quercia e il tasso). Questa pianta sacra dispiega le sue radici verso la profondità oscura del mondo infernale (utgard: il mondo di sotto) e con i suoi nove rami, oltre a contenere i nove mondi che costituiscono l’intero universo, sostiene l’intera volta celeste (asgard: il mondo degli Dei). È lo stesso albero mitologico dove Odino rimase appeso a testa in giù per nove giorni e nove notti immolando così “sé stesso a sé stesso”.

Tra i suoi rami vivono numerose figure simboliche, tra cui animali che lo proteggono e sostengono, e altri che lo minacciano, tra questi vi sono quattro cervi, forse riconducibili ai quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) che continuamente brucano i suoi germogli mettendo in pericolo l’intero universo.

Del resto nella Genesi 2,9: "Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male".

Tra le variegate tradizioni italiane in occasione della Settimana Santa pasquale, vi è quella di allestire dei piattini di germogli di grano da portare in chiesa per celebrare così il rito dei Sepolcri del Giovedì Santo. La tradizione vuole che i germogli siano chiari, di colore bianco (per ottenere questo effetto vengono fatti germogliare al buio) per ricordare la candida ostia che simboleggia il corpo di Cristo.

Ma per cogliere la vera ‘essenza’ e i valori simbolici connessi al mondo vegetale è necessario concentrarsi sulla antica scienza ermetica. Così come le tre fasi alchemiche, l’opera al nero (nigredo), al rosso (rubedo) e al bianco (albedo), indicano in alchimia passaggi della trasformazione e della purificazione della materia, così in natura abbiamo una opera al nero (putrefatio) nell’apparente fase di immobilità e staticità invernale, un’opera al rosso e al bianco nella maturazione luminosa e colorata dell’estate, per poi ritornare gradualmente al silenzio invernale.

La natura attraversa numerose sfumature e tonalità cromatiche nella sua instancabile ciclicità e in alchimia tutti i passaggi cromatici della grande opera vengono rappresentati con immagini e allegorie tratte sia dal mondo delle piante sia da quello degli animali; come, ad esempio, il corvo nero che simboleggia la fase di putrefazione o la coda del pavone aperta a ruota (cauda pavonis) per indicare l’ordine cosmico.

Ma l’opera al verde primaverile rappresenta la fase più vitale e creativa dell’intero anno; per questa ragione è legata alla stagione che da sempre ha simboleggiato la rinascita e la forza della vita. Nel computo del calendario antico segnava l’inizio dell’anno e non a caso, ancora segna la fase più attiva e dinamica della routine operativa degli alchimisti che lavorano costantemente immersi in una realtà dominata dai ritmi di Madre Natura. Inoltre, è la stagione consacrata a Ermes (Hermes o Mercurio), la divinità legata alla dimensione simbolica del mutamento e della trasformazione.

Santa Ildegarda vedeva nella primavera, nel colore verde della clorofilla e nella spinta vitale che trasuda dai semi e dai germogli l’espressione della viriditas: la forza che rende manifesta l’essenza stessa della vita, che anima la salute, la vitalità e la voglia di vivere. Il concetto essenziale della viriditas è analogo all’idea di Ojas ayurvedico: un termine sanscrito che significa vigore e che può essere assimilato al concetto moderno di omeostasi (mantenimento di tutte le funzioni vitali dell’organismo in equilibrio), di reattività del sistema immunitario, di equilibrio mente-corpo, di benessere olistico.

La divinità greca analoga a Flora, la dea romana dei fiori, era la ninfa Clori, che significa ‘verde’. Pausania (scrittore e storico greco) ricorda l’epiteto Chloe il verde germoglio, attribuito a Demetra e ritroviamo il termine cloros in clorofilla, letteralmente foglia verde.

Ma esiste anche una viriditas interiore che l’ayurveda definisce come tejas, nel significato di anima: un lievito spirituale, un fuoco così sottile e pervadente da riuscire a infondere vita anche a un bastone secco o a un’anima avvizzita. A questo riguardo ritroviamo, in un aneddoto miracoloso tratto dall’agiografia di S. Rita da Cascia (indipendentemente dalla realtà dei fatti), un insegnamento chiaro ed esemplificativo: quando era una novizia, per dovere di obbedienza, era solita annaffiare tutti i giorni un bastone secco il quale in breve tempo tornò a germogliare per rinascere alla vita.

Così come ogni anima lontana dalla conoscenza di sé può rigenerarsi tramite la fiducia e la speranza scaturite dalla spiritualità, anche un individuo che vive un’esistenza paragonabile a quella di un ‘albero secco’ può rifiorire nella speranza di un cambiamento.

Da un germoglio nasce una nuova vita che non è quella sotterranea e macerata del seme, ma quella ispirata dalla luce e dall’aria.

Tratto da Cultura e salute delle piante selvatiche. Le gemme e i germogli, di Maurizio Di Massimo e Sandro Di Massimo, Aboca Edizioni.