Non stiamo parlando di una comunicazione spaziale tra due corpi celesti, ma di un ideale possibile “ponte” tra il nostro satellite e il pianeta rosso, in vista della sua esplorazione da parte umana. Il titolo lo abbiamo mutuato da un incontro promosso recentemente dal Centro nazionale astroricercatori indipendenti all’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma e dedicato a immaginare aspirazioni e possibili realizzazioni della scienza umana nei confronti della scoperta dello spazio, sia del nostro sistema solare, sia intergalattico.

Sono passati cinquant’anni dal 21 luglio del 1969, giorno nel quale l’uomo compiva quello storico primo passo sulla polvere lunare, un giorno non facile da dimenticare anche se dopo quell’azzardo, per così dire, le esplorazioni spaziali si sono limitate all’invio di satelliti e sonde con strumenti sempre più sofisticati verso i pianeti del nostro sistema solare e poi verso i suoi limiti estremi. Uno sforzo coronato da grandi acquisizioni e conoscenze su ciò che c’è la fuori e forse anche dall’aspirazione scientifica di trovare, identificare segni di altre civiltà esogene dalla nostra Terra e dal piccolo sistema gravitante intorno al Sole – stella di media grandezza eppure fonte della vita e della civiltà umana – e immaginare sconfinando per ora in una fantascienza contatti e incontri. Questa in fondo è e resta la speranza dell’uomo alle prese con quel firmamento che per millenni è stato osservato ma che ha anche costituito un tetto invalicabile, un riferimento sulla nostra presenza ai margini di una galassia importante ma anch’essa non di prima grandezza pur nella sua immensità.

La scienza astronomica e la sempre più incisiva capacità degli strumenti umani ha fatto aprire quello sfondo, dando consistenza e realtà a quello che vediamo con occhio scientifico ma anche con grande romanticismo da secoli. Abbiamo scoperto e stiamo scoprendo che esistono centinaia di miliardi di galassie, ammassi stellari vere e proprie nursery di nuove galassie, stelle di tale grandezza da far impallidire non solo il nostro prezioso astro ma le stesse grandissime stelle conosciute sin dall’antichità. E ancora miliardi di possibili pianeti anch’essi di dimensioni inimmaginabili se confrontati con il gigante del nostro sistema, Giove, stella mancata per poco con le sue decine di satelliti. Pianeti in numeri e distanze variabili dagli astri nella cui orbita si trovano trattenuti, pianeti che – come dimostra il nostro “piccolo” riferimento del sistema solare - sono costituiti da materiali stellari e cosmici dei quali non conosciamo neppure la natura e della quale cerchiamo di carpire segreti attraverso lo spettro delle nostre capacità di analisi, le diverse lunghezze d’onda e un’infinità di altri calcoli che a un profano restano incomprensibili.

La domanda che spesso si sente fare - al netto dei revisionisti spaziali, dei cosiddetti terrapiattisti, di coloro che non credono allo sbarco sulla Luna e che immaginano complotti di ogni tipo ai danni di tutti noi - è a che cosa serve tutto questo sforzo titanico dell’uomo, un impegno di risorse umane e finanziarie imponente e che cosa le conoscenze dello spazio vicino e profondo ci possono apportare in relazione alla nostra vita sul nostro piccolo ma meraviglioso pianeta.

La prima risposta è talmente ovvia che neppure sarebbe necessario darla: da millenni e millenni, tra scienza e religione, l’uomo ha guardato il cielo stellato, ad esso si è ispirato poeticamente, in esso ha cercato le prime risposte ontologiche alla presenza sulla Terra e al senso compiuto del destino dell’uomo. Risposte che sono state diverse, persino contraddittorie, ma tutte permeate dall’attribuire a quel cielo, a quelle stelle e in ultima analisi a chi ha dato origine a tutto questo, la spiegazione ultima del nostro vivere e del nostro cammino come umanità. Risposte che nel corso di millenni e secoli hanno anche portato fuori il peggio dell’umanità fornendo pretesti per guerre sanguinose, persecuzioni, crimini di ogni livello che occorre non dimenticare mai e che sono il monito a non assumere come uomini comportamenti o condotte messianiche dove l’altro diviene nemico per il solo fatto di essere differente da noi o per il pensarla in modo diverso. Un rischio sempre immanente per la nostra, in questo senso, piccola umanità senza memoria.

Oggi che le capacità e i mezzi dell’uomo hanno raggiunto livelli mai visti in passato - che tuttavia mostrano la corda se riferiti alla salvaguardia della nostra stessa casa planetaria - quelle domande e quel senso complessivo vanno riaffermate e su di esse occorre basare la più ovvia considerazione: conoscere la vita sulla Terra dall’infinitesimamente piccolo all’incommensurabile grandezza, non solo è necessario ma doveroso seguendo l’antica saggezza di Dante Alighieri: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”.

E poiché non siamo soli nell’Universo, non perché esista o incontreremo qualcun altro, ma per la semplice deduzione che centinaia di miliardi di galassie e corpi celesti intorno a noi nell’immensità dello spazio ci chiedono, proprio in nome della civiltà umana e della capacità di essa di guardare lontano, di occuparci di quello che c’é la fuori sempre più lontano. E chissà che così non riusciamo a trovare qualche risposta ai grandi problemi che ci affannano.

Tutta questa lunga riflessione porta a vedere i futuri impegni spaziali in una luce appena più chiara. Non sappiamo cosa troveremo, ma cerchiamo, esploriamo, conosciamo e comprendiamo. Se così non fosse non avremmo lasciato le grotte e gli anfratti preistorici per diffonderci sul pianeta.

Luna chiama Marte, allora, non è altro che il tentativo di fare dopo il satellite sul quale si vuole rimettere piede più stabilmente, un passo più lungo scientificamente ma anche come uomini: arrivare su Marte sarà, infatti, qualcosa di più che arrivare su un altro corpo celeste, sarà invece un atto concreto alla ricerca del significato compiuto della nostra essenza umana. Per chi accetterà per la prima volta di intraprendere il salto verso il pianeta rosso potrebbe essere difficile se non improbabile il ritorno sulla Terra. Quindi, per la prima volta l’uomo lascerebbe nel senso più ampio del termine la nostra navicella azzurra per avventurarsi “là dove nessuno è mai arrivato prima” come recitava il refrain di una serie tv allora fantascientifica: Star Trek.

E forse, vedendo appena dal pianeta rosso la Terra, un puntino lontano miliardi di chilometri, l’umanità riuscirà a capire qualcuna delle domande fondamentali che altro non possono, pur nella consapevolezza della civiltà umana, indurre all’umiltà e al senso delle proporzioni. La sfida, l’azzardo fanno parte del cammino dell’uomo, quella verso lo spazio potrebbe apportare alla civiltà umana qualcosa che per ora trascende le nostre coscienze! Vedere con i propri occhi un altro pianeta solare, tentare di costruire su di esso una base umana, immaginare una vita assolutamente diversa da quella che abbiamo sul nostro prezioso pianeta potrebbe sciogliere molte delle nostre contraddizioni e mostrarci che divisioni, egoismi, chiusure altro non sono che il riaffacciarsi di quel “bruto” che la conoscenza e l’impegno verso di essa hanno allontanato, purtroppo non completamente! E quell’uomo, quella collettività di esseri umani, donne e uomini, che accetterà questa sfida e questo impegno ai limiti, pur con il conforto di strumenti scientifici e di soluzioni concrete, sarà e dovrà essere per tutta l’umanità un motivo di orgoglio e di consapevolezza. Un avamposto della civiltà umana, un segno della sua vera natura: andare oltre le apparenze, approfondire, mettere in discussione, trovare una sintesi che sia valida per tutti e che a tutti permetta di avere le risposte alle proprie domande, alle proprie esigenze, alle proprie aspirazioni.

Ci vorrà certamente un grande coraggio, una buona dose di incoscienza e allo stesso tempo una grande consapevolezza del senso di quello che si andrà a fare, per partecipare alla prima trasmigrazione verso Marte. E in quella navicella o in quelle navicelle che impiegheranno mesi e mesi per compiere il salto verso il pianeta rosso donne e uomini si misureranno con un vuoto, cosmico certo, ma soprattutto filosofico e concreto che nessuno forse ha sperimentato sino ad ora. Ognuno sarà responsabile dell’altro e del tutto. Ognuno dovrà sapere cosa vuol dire collaborare senza egoismi e revanscismi per l’obiettivo comune: sbarcare sul pianeta rosso. E poi una volta lì cominciare a costruire e vivere la casa comune, sapendo che le esigenze di ognuno saranno collegate a quelle dell’altro e la stessa sopravvivenza individuale e collettiva sarà la prima regola aurea. Forse lassù, per l’umanità intera potrebbe svilupparsi per la prima volta una nuova coscienza di sé e del tutto. E non sarebbe certamente poco!

In attesa che queste elucubrazioni possano divenire reali ma che già si devono porre alla base della preparazione dei navigatori spaziali, non resta che sperare che gli impegni umani e finanziari necessari siano gestiti con il senso del fine ultimo, con rigore e onestà. E anche questo sarebbe un altro passo non di poco conto insieme alla coscienza che tutta l’umanità deve essere impegnata verso quello stesso fine, senza egoismi nazionalistici e partigiani. La Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è forse l’esempio più calzante al quale fare riferimento. Lassù intorno alla terra donne e uomini di ogni nazionalità lavorano e vivono fianco a fianco, cercando di comprendersi e di coinvolgersi nell’obiettivo comune. Tra qualche anno dovranno farlo sulla Luna, tra qualche decennio dovranno farlo su Marte! E quello sarà certamente non un piccolo ma immenso passo per tutti gli abitanti del pianeta Terra!