Le diagnosi non esistono in natura, sono costruzioni mentali, non definitive ma storicizzate, in funzione di parametri epidemiologici e socio-culturali, talvolta ideologici. Si utilizzano per convenienza operativa, lo scopo principale è, infatti, soprattutto quello di descrivere il paziente in quanto oggetto di cura, anche se spesso non c’è perfetta corrispondenza tra il problema del singolo individuo inteso come persona e la categoria nosografica nella quale viene inserito1. Le malattie e le condizioni di rischio sono infatti quasi sempre fenomeni quantitativi, processi o continuum, con diverse gradazioni, non fenomeni categoriali o qualitativi. Le eccezioni sono rarissime e principalmente limitate a malattie genetiche ad alta penetranza2.

L’arbitrarietà nella scelta delle soglie di rischio e di malattia ha contribuito a determinare il fenomeno della medicalizzazione, una narrazione tra le più dirompenti degli ultimi decenni, che ha prodotto congressi, testi, articoli sulle riviste più prestigiose, iniziative formative, movimenti come, ad esempio, nel nostro paese, il progetto culturale dello CSeRMEG e di Slow Medicine.

Per offrire anche altri punti di vista, potremmo dire “dissidenti”, riportiamo brevemente il pensiero di Lisa Rosenbaum, autorevole cardiologa e giornalista, presentato in un articolo pubblicato a fine 2017 sul New England Journal of Medicine3. L’autrice parte dalla constatazione che ogni anno vengono eseguiti trattamenti non necessari e cure inutilmente troppo aggressive con conseguente danno per i pazienti e spreco di risorse. Elenca peraltro anche i rischi associati, a suo dire, ad un atteggiamento troppo superficiale e bellicoso nei confronti del fenomeno della sovra medicalizzazione, riportando studi clinici e osservazioni a sostegno della sua opinione. Ciò ha provocato la sollecita risposta di alcuni tra i maggiori esperti di sovra diagnosi e sovratrattamento4,5.

Per quanto riguarda in particolare la sovra diagnosi, la Rosenbaum fa l’esempio del dosaggio della troponina, la cui identificazione di alterazioni minime, indicative di una possibile necrosi, ha sicuramente aumentato le diagnosi di infarto miocardico e di conseguenza la necessità di esami e trattamenti talvolta non necessari. Peraltro, secondo la cardiologa, “non possiamo definire il miglior approccio diagnostico per una popolazione senza considerare i rischi derivanti dal non sapere”. L’autrice porta ad esempio i migliori esiti clinici, in termini di recidiva di infarto e di mortalità, ottenuti utilizzando come marcatore di necrosi miocardica la troponina ad alta sensibilità6.

La Rosenbaum cita lo psicologo Daniel Kahneman, massimo esperto di errori cognitivi, secondo il quale, nelle storie con cui cerchiamo di spiegare il mondo, l’accuratezza dipende soprattutto dalla loro coerenza, obiettivo più facile da raggiungere quando “ci sono meno pezzi per comporre il puzzle”. La forza di convinzione della concettualizzazione della sovra medicalizzazione deriverebbe quindi, almeno in parte, dalla tendenza intrinseca del pensiero umano alla sovra semplificazione. In pratica, secondo la Rosenbaum, la narrazione guidata dal mantra “meno è meglio” avrebbe contribuito all’affermazione di una descrizione iper-semplificata delle dimensioni, delle cause e delle possibili soluzioni del problema dello spreco in ambito sanitario.

La conclusione dell’articolo è che “finché non impariamo a gestire le fastidiose incertezze dell’assistenza clinica, è opportuno che l’aforisma ‘meno è meglio’ si associ al racconto di storie coerenti piuttosto che alle decisioni complesse affrontate da medici e pazienti”.

Conclusioni

La scarsa correlazione tra aumento della spesa e qualità delle cure, la raccomandazione a ridurre i trattamenti non necessari, la vastità degli sprechi in ambito sanitario, i rischi della sovradiagnosi sono ormai patrimonio culturale assodato, il mantra “less is more” domina la scena, anche se non sempre da tali premesse derivano comportamenti conseguenti nella pratica.

Il futuro sembra peraltro avviarsi verso un ulteriore rafforzamento della spinta verso la medicalizzazione e la sovradiagnosi. Anche nel nostro paese sono, ad esempio, ormai disponibili test genetici fai-da-te che, a prezzi relativamente contenuti, possono realizzare “pagelle genomiche” in grado di trasformare persone sane in pazienti, diagnosticando patologie o condizioni di rischio che in realtà non causeranno mai problemi nel corso della loro vita ma soltanto ansia e preoccupazioni infondate7.

In generale, è quindi necessario che i professionisti della salute si propongano di governare con attenzione l’uso della diagnostica, peraltro sempre più accurata e in grado di rivelare alterazioni minime o inaspettate dei parametri clinici, soprattutto quando utilizzata su popolazioni di soggetti sani, evitando crociate ideologiche ma condividendo, idealmente anche con i cittadini, percorsi di cura e obiettivi allo scopo di ridurre il numero delle procedure inutili e dannose e liberare risorse in grado di migliorare la salute degli assistiti.

È peraltro necessario evitare che possibili limitazioni all’utilizzo degli esami possano avere conseguenze disastrose in termini di diagnosi ritardate o mancate, soprattutto nei casi sintomatici.

Possiamo concordare con le parole della stessa Rosenbaum: “Sometimes less is more, sometimes more is more, and often we just don’t know” (talvolta meno è meglio, talvolta più è più e spesso non lo sappiamo); anche se va sottolineato che chi si occupa di eccessi diagnostici non si oppone a priori all’ampliamento dei criteri ma ritiene necessario che i cambiamenti siano giustificati, secondo metodologie rigorose.

1 Montagna G. Comunicazione personale.
2 Rose G. Le strategie della medicina preventiva. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 1996.
3 Rosenbaum L. The less -is-more crusade – Are we overmedicalizing or oversimplifying?, N Engl J Med 2017; 377: 2392-7.
4 Nejrotti L. Sovradiagnosi e sovratrattamento, botta e risposta tra NEJM e BMJ.
5 Woloshin S, Schwartz LM. Overcoming overuse: the way forward is not standing still – an essay by Steven Woloshin and Lisa M Schwartz, BMJ 2018; 361: k2035.
6 Mills NL et al. Implementation of a sensitive troponin I assay and risk of recurrent myocardial infarction and death in patients with suspected acute coronary syndrome, JAMA 2011; 305: 1210-6.
7 Collecchia G. Dalla medicina personalizzata alla medicina di precisione, IsF 2017; 2: 19-22.