Il titolo di questo articolo potrebbe far pensare ad un’analisi critica oppure non favorevole nei confronti delle nuove tecnologie e in primo luogo di quelle con finalità a favore della salvaguardia dell’ambiente. Sgombrare il campo da questa impressione è opportuno dunque, tanto quanto è necessario affrontare alcune realtà delle tecnologie ritenute più pulite e che hanno tuttavia qualche problema prospettico. Il nodo cruciale riguarda ovviamente il passaggio non certo indolore da una società alimentata per decenni da combustibili fossili altamente inquinanti ad una dove la ricerca di nuovi sistemi di propulsione apre certamente significativi scenari per un mondo più sostenibile, a patto però che non si sottostimi o peggio si faccia finta di non vedere che cosa si mette in moto realmente spingendo verso un mondo liberato da carbone, petrolio e idrocarburi in genere.

Altro elemento centrale è quello di comprendere con estrema chiarezza gli interessi che il nuovo mette in moto e i problemi produttivi e sociali in un sistema mondiale che privilegia questi nuovi scenari. Ed anche le questioni ambientali che le nuove scelte comportano. Non esistono, infatti, soluzioni a buon mercato e il trapasso da un’era ad un’altra non sarà né facile né immediato. Esiste anche un altro dato: la ricerca del controllo dei nuovi materiali sta determinando un vero e proprio conflitto a bassa intensità tra i paesi che ospitano giacimenti e che rischiano un nuovo sfruttamento e le potenze globali e regionali che intendono divenire snodi centrali di un nuovo territorio di business strategico per il futuro. Come si vede non tutto è oro quel che riluce e non è dato sapere quando arriverà il punto critico. Essere a favore della salvaguardia dell’ambiente è il dovere di tutti per garantire la vita e la civiltà sul nostro pianeta, come lo è quello di impedire che dopo la caccia all’oro, quella al petrolio che ha insanguinato il Novecento, si possano creare situazioni di scontro e di crisi per il controllo, lo sfruttamento e la commercializzazione dei nuovi materiali che danno vita e consistenza agli strumenti del nostro futuro.

L’elemento che più di ogni altro tocca le nostre giornate insieme alla plastica da contenere ed eliminare, ai rifiuti da smaltire o da utilizzare per fornire energia, ai comportamenti sociali virtuosi ai quali siamo tutti chiamati, è certamente quello della nostra locomozione, dei trasporti in generale e degli autoveicoli. È questa la frontiera maggiormente visibile e quella cui tutti facciamo attenzione, un po’ per convinzione e a volte anche per convenzione!

Orbene, secondo gli analisti energetici è prevedibile nel breve termine una crescita esponenziale dei veicoli elettrici a livello mondiale. Un boom atteso, auspicato, sorretto da interventi finanziari che avrà conseguenze dirette sui materiali che compongono il nuovo sistema di propulsione, ossia le batterie. E proprio su di esse che si gioca e che giocherà il confronto-scontro a livello mondiale. I nomi che fanno parte della cronaca sono quelli del litio, del cobalto, del coltan. Termini sino ad oggi confinati nelle analisi e nelle applicazioni di esperti e di scienziati, ma che giorno dopo giorno stanno divenendo consueti nei mercati finanziari, per le compagnie estrattive, per il sistema economico mondiale.

Secondo gli scienziati del Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione Europea, se gli attuali trend dovessero continuare, fra due anni la domanda di cobalto, ad esempio, dovrebbe superare l’offerta, facendo tremare la crescita dell’e-mobility sia in Europa che nel resto del mondo. Per fare chiarezza sul problema, il JCR ha pubblicato lo studio Cobalt: demand-supply balances in the transition to electric mobility. Il documento affronta i rischi nell’approvvigionamento europeo del minerale offrendo alcune soluzioni, dalle nuove esplorazioni minerarie al riciclo delle batterie. “Poiché lo stock mondiale dei veicoli elettrici – scrive il centro di ricerca – dovrebbe aumentare dai 3,2 milioni del 2017 a 130 milioni nel 2030, la domanda complessiva di cobalto potrebbe triplicare nel prossimo decennio, superando l’offerta nel 2020”.

Le vetture elettriche a energia decarbonizzata - sottolinea lo studio - rappresentano senza dubbio una forma di trasporto più sostenibile. Tra i principali componenti della vettura "verde", la batteria riveste un ruolo essenziale. Le batterie maggiormente utilizzate sono quelle al litio, che prevedono l'utilizzo di diversi metalli tra cui il cobalto, essenziale per il suo effetto stabilizzante. Tuttavia, al di là delle sue intrinseche qualità il cobalto non rappresenta esattamente l'opzione più "sostenibile" del settore. Circa il 30% del cobalto prodotto oggigiorno viene utilizzato negli accumulatori al litio, mentre il rimanente 70% è destinato alla produzione di catalizzatori e leghe in acciaio.

Per le sue doti stabilizzanti che contribuiscono a evitare il rischio di esplosione delle batterie al litio, il cobalto è un elemento fondamentale della formula finalizzata a ottimizzare la performance globale di una batteria. Il suo maggiore inconveniente è dovuto al prezzo e alle oscillazioni del medesimo, due fattori strettamente legati alla difficoltà di accesso a questa risorsa e al rischio politico che caratterizza i paesi produttori. Oltre la metà della produzione di cobalto - sottolinea ancora il JRC - si concentra nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), paese anche di recente segnalato per sospette violazioni dei diritti umani correlate proprio alla filiera di produzione del cobalto. Secondo le accuse mosse da diverse ONG, fra cui Amnesty International, la maggior parte del cobalto estratto nella RDC proviene da miniere artigianali caratterizzate dall'impiego di bambini (alcuni dei quali di età inferiore a tre anni) e da condizioni di lavoro pericolose. Una volta acquistato il cobalto dai piccoli produttori delle miniere artigianali, le imprese implicate provvedono a “ripulire” il minerale facendolo passare da diverse aziende in Sud Africa e in Tanzania.

Altro materiale cruciale, il litio, alla base delle batterie, ossia del motore del futuro e del quale non possiamo fare a meno. In questo ambito troviamo paesi come il Cile, l’Afghanistan, l’Australia e la Cina. Sono 4 delle nazioni in cui si trovano le maggiori riserve di questo metallo alcalino, un minerale leggero, relativamente abbondante ed il cui prezzo è aumentato del 200% in Cina in un solo quadrimestre nel 2015 in concomitanza con una provvisoria scarsità di approvvigionamento. In natura si trova sotto forma di brine – ovvero precipitati di soluzioni concentrate – e di minerali come carbonati, idrossidi e inosilicati (come lo Spodumene che arriva principalmente dall’Australia).

La produzione di litio è aumentata del 4% su base annua a cominciare dal 2005 e più del 50% di questa risorsa viene consumata dai Paesi asiatici con in testa la Cina che ne è il più grande importatore e trasformatore. Il litio infatti, grazie alle sue proprietà chimiche come l’elevato coefficiente di reattività elettrochimica, è il metallo utilizzato principalmente per la produzione di batterie ricaricabili. I nostri telefoni cellulari, i laptop così come tutti gli utensili da lavoro che non usano l’alimentazione diretta dalla rete elettrica, usano batterie al litio. Non solo. I costruttori di autovetture lo utilizzano per le batterie delle auto elettriche e ibride e batterie ricaricabili al litio sono anche presenti in accumulatori di griglie elettriche di grandi dimensioni.

Il consumo globale di litio, prosegue lo studio, viene assorbito per il 39% dai produttori di batterie, per il 30% dall’industria del vetro e della ceramica e per la restante fetta in vari settori come quello del trattamento dell’aria, produzione di polimeri o di grassi lubrificanti. Nel dettaglio, le batterie vengono prodotte per il 25% per l’automotive e per il 19% per cellulari o smartphone; il 16% va a finire nei laptop mentre un altro 16% in biciclette elettriche, sempre più presenti sul mercato. Si calcola che il consumo globale di batterie di questo tipo sia aumentato del 23% l’anno nel periodo che va dal 2010 al 2015 passando dai 21 GWh (Gigawattora ovvero un miliardo di watt/ora) ai 60 GWh per un valore di mercato complessivo, comprendente le batterie ricaricabili e non, pari a 10,7 miliardi di dollari l’anno. Numeri certamente destinati a salire se non altro grazie al solo settore automobilistico che vede progressivamente aumentare la richiesta di vetture ibride o elettriche: +69% solo nel 2015, agli albori dunque di questa rivoluzione energetica.

Il mercato di questo settore è in forte espansione, attira investimenti, e gli investimenti aprono nuove frontiere di ricerca. La Cina già detiene la maggior quota del mercato della sua manifattura e sta attuando una vera e propria politica di accaparramento delle nuove fonti di approvvigionamento di minerali “tecnologici” come appunto il litio.

Litio, allora, ma come abbiamo detto anche cobalto, altro elemento fondamentale per le batterie, ed anche in questo campo la Cina sta assumendo posizioni di forza in tutta la filiera produttiva.

Ancora, litio e cobalto e non solo.

Pensiamo alla columbite-tantalite o columbo-tantalite (detta anche coltan), una miscela complessa di columbite e tantalite, due minerali della classe degli ossidi che si trovano molto raramente come termini puri. Il termine "coltan" è usato colloquialmente in Africa per riferirsi ad una columbite-tantalite a relativamente alto tenore di tantalio. La miscela estratta in diversi paesi africani è spesso scambiata con armi e altri beni da organizzazioni paramilitari e guerriglieri africani, in particolare nella regione del fiume Congo e la sua estrazione è all’origine di un vero e proprio sfruttamento della povertà nelle zone dove sono i giacimenti. L’estrazione avviene in condizioni intollerabili e in assenza di ogni forma di sicurezza.

La rivoluzione elettronica che stiamo vivendo, e che, potrebbe assumere portata storica come la rivoluzione industriale di metà Ottocento, sta portando anche allo sfruttamento di risorse minerarie un tempo considerate non economiche costituite, ad esempio, dalle Terre Rare (in inglese Rare Earth Elements). Questi elementi chimici, come il lantanio, il cerio e il neodimio sono fondamentali per l’industria tecnologica ed elettronica moderna e sono presenti in innumerevoli prodotti sia della nostra quotidianità – come schermi tv o hard drive di pc – sia di livello militare o altamente specializzato – come magneti, superconduttori, turbine, laser, sistemi di guida di missili e satelliti.

Parliamo, dunque, della cosiddetta “tecnologia verde”, ovvero le auto elettriche ma anche i pannelli fotovoltaici. Un settore fortemente dipendente dalle Terre Rare. È bene ricordare che anche la lavorazione di questi elementi, dall’estrazione sino al prodotto finito, consuma molta energia ed ha un forte impatto ambientale.

Da valutare anche il dato tecnico secondo il quale nemmeno queste sostanze non sono illimitate. In un articolo comparso su Nature l’anno scorso, un ricercatore dell’Università del Delaware, Saleem Ali, avvisa che a questo ritmo di sfruttamento i minerali “tecnologici” non saranno sufficienti a far fronte alla richiesta dell’industria, nemmeno considerando l’apporto dato dal riciclo. Allo stesso tempo, come si legge sempre nello studio, la transizione verso una società “low carbon”, richiederà una sempre più vasta quantità di metalli e minerali per le tecnologie pulite ed i ricercatori evidenziano come non siamo equipaggiati per far fronte a questa richiesta addizionale di materie prime. Sempre la stessa ricerca evidenzia come l’idea che si possa utilizzare “qualcos’altro” per far fronte alle carenze di un determinato minerale o per evitare il suo alto costo di mercato, sia un mito da sfatare: ci sono infatti pochissime soluzioni alternative e per alcuni minerali – come per il rame dei cablaggi che è quasi insostituibile ad un prezzo commerciale accettabile – non ce ne sono affatto. Idem per le Terre Rare come il neodimio, iridio e terbio, preziosi non solo perché rari, appunto, ma anche perché assolutamente essenziali.

Siamo nel pieno della corsa verso la mobilità elettrica ma per gli analisti a volte ci si dimentica del lato oscuro delle batterie per le auto elettriche. Pensiamo a come le case automobilistiche si procurano le materie prime necessarie. Come segnala Amnesty International, potrebbero esserci gravi violazioni dei diritti umani nei paesi produttori. Al momento, però, nessun paese richiede per legge alle aziende report sulle proprie catene di fornitura di cobalto. Un’iniziativa che molti brand si impegnano a seguire per certificare la propria filiera. Consapevolezza dunque che i veicoli elettrici stanno proiettando l’industria automobilistica lontano dai combustibili fossili, ma potrebbero non essere così etici come molti sono portati a pensare.

Secondo Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International “trovare soluzioni efficaci alla crisi climatica è un imperativo assoluto, e le auto elettriche hanno un ruolo importante da svolgere. Ma senza cambiamenti radicali, le batterie che alimentano i veicoli verdi continueranno a essere macchiate da violazioni dei diritti umani”. Per cambiare le cose Amnesty propone la visione di un’auto elettrica che sia anche “etica”. L’impegno è perché questa non danneggi i diritti umani o l’ambiente. Insomma l’invito è chiaro. Anche la moderna industria dell’auto deve legare la protezione dell’ambiente a quella dei diritti umani. Una sfida tutt’altro che semplice e non facile da vincere considerando gli enormi interessi contrapposti che sono alla base dell’evoluzione in atto e il sostanziale braccio di ferro tra chi vuole controllare il mercato dei materiali, la loro produzione e la trasformazione. Uno scenario ancora in fieri ma che si fonda su situazioni e condizioni simili a quelle che la storia dell’economia fondata sul petrolio ci ha proposto in passato e continua a proporci. Importante disinnescare allora il pericolo che anche per materiali e terre rare, in nome della nuova frontiera elettrica, possano replicarsi tali meccanismi. Gli elementi politici, internazionali, strategici già ci sono tutti, la richiesta di strumenti che si fondano sulle nuove tecnologie e sui materiali per realizzarle è in vertiginosa crescita. Il mercato è sempre più esigente e il confronto internazionale non promette interventi in direzione di collaborazioni ed equilibri condivisi. In sostanza i dati di fatto non rassicurano. Non resta che immaginare che una rivoluzione epocale in direzione della protezione ambientale che tutti ci riguarda, possa innescare un sistema di rapporti consapevoli del comune destino che ci attende. E non soltanto il solito copione dell’economia, delle risorse più o meno strategiche, più o meno presenti in natura e l’inevitabile corollario di guerre commerciali, ricerche forsennate, movimenti giganteschi di risorse finanziarie. E questo nella migliore cornice possibile!