Natale per me ha l’odore del muschio utilizzato per il presepe. Fin da quando ero bambina, del resto, a questa pianticella preistorica, robusta e fragile, tenerissima, semplicemente non resisto: ora come allora, davanti a una loro distesa smeraldina m’incanto, mi fermo e poi, a furia di osservarla sempre più da vicino, mi ritrovo catapultata in una micro foresta primordiale, con felci immense e alberi palmiformi.

Osservava il grande designer Bruno Munari (1907-1998), in Da lontano era un’isola, a commento dell’immagine di una ciotola riempita di muschio e un sasso: “Guardate questo vassoio, è largo trenta centimetri, guardatelo molto da vicino e vedrete che diventerà così grande, come un parco pieno di cespugli, di felci, di montagne e di erba. Dietro la grande roccia forse di nasconde un piccolo lupo timido”. Per non parlare del fascino fatato che una patina di muschio umido conferisce a statue, vecchi arredi di pietra, muri e scalinate.

I muschi, sapete, sono piante antichissime: “Erano prima del tempo degli uomini, ben prima di quello degli alberi e dei fiori, mentre nascevano le alghe blu e sorgevano foreste di equiseti giganti”, scrive a questo proposito Véronique Brideau in Elogio del muschio (Casadeilibri). Si sono infatti sviluppati circa 500 milioni di anni fa, quando le cellule di alcune alghe verdi si sono modificate al punto da poter vivere fuori dall’acqua. Dal punto di vista tassonomica, i muschi sono collocati fra le alghe e le felci. Come le alghe, non possiedono tessuti vascolari per il trasporto dell’acqua e della linfa, né foglie, fusti e radici vere e proprie. Le loro radichette sono infatti strutture filamentose, dette rizoidi, con funzione di ancoraggio al substrato ma non di assorbimento: l’acqua i muschi l’assorbono dall’aria molto umida, ma al contrario delle alghe, sono capaci di sopportare lunghi periodi di disidratazione, rimanendo vitali fino a quando possono tornare a gonfiarsi d’acqua e riprendere fotosintesi e crescita.

Come le felci e i funghi, si moltiplicano tramite microscopiche spore, prodotte all’interno di capsulette (sporofiti) sorrette da sottili filamenti che emergono dal velluto verde delle fronde (il gametofito), facilmente osservabili. Esistono, pensate, oltre 10mila specie di muschi, di cui oltre mille in Italia: distinguerle è difficilissimo, perché occorre innanzitutto capire su quale tipo di substrato crescono, quindi osservarli con molta attenzione, muniti di lente d’ingrandimento e di un buon manuale di riconoscimento (per esempio, Flora dei muschi in Italia, di Carmela Corini Pedrotti, Antonio Delfino Editore).

I Giapponesi ne vanno, da sempre, pazzi: li usano nei vasi dei bonsai, nei paesaggi in miniatura, nei giardini - di soli muschi - accanto ai templi e alle sale da tè; danno loro nomi poetici e suggestivi, che evocano lanterne, pennelli, scoiattoli, brina, come racconta Véronique Brideau. In Occidente, invece, il muschio è sempre stato più o meno ignorato, se non detestato e combattuto dai giardinieri, oppure sfruttato, strappato dai boschi nel periodo natalizio per l’allestimento dei presepi. Negli ultimi anni, tuttavia, floral designer hanno incominciato a utilizzarli nelle loro coltivazioni - tra questi Ruggero Bosco di Botanica Santa Marizza, che a questo scopo li coltiva nel suo vivaio-giardino vicino a Udine -, paesaggisti e architetti a usarli nei loro progetti e installazioni, conquistati dalla loro essenziale eleganza e dalla capacità di crescere anche senza terra e su superfici oblique e verticali.

Ma il loro valore è soprattutto ecologico: regolano infatti il ciclo dell’acqua nelle foreste e in altri ecosistemi, perché assorbono la pioggia come spugne e poi la rilasciano lentamente, contribuendo fortemente a impedire lo smottamento dei terreni (gli alberi da soli non basterebbero). Inoltre, come i licheni, sono preziose sentinelle ambientali, perché, essendo molto sensibili, rivelano precocemente la presenza di inquinanti. Purtroppo, molte specie di muschio (in Italia è stato calcolato un terzo) sono oggi a rischio di estinzione: per quanto siano organismi pionieri, capaci di crescere anche su colate laviche, sono anche molto fragili, con esigenze ambientali molto specifiche. E sono lentissimi a crescere: una zolla larga pochi centimetri può avere anche 60-70 anni di età. Vietato quindi raccoglierli nei boschi: per il presepe, acquistate le zolle coltivate appositamente a questo scopo.

E se avete un giardino fresco e ombroso, potete provare a coltivarli, cosa non facile, partendo dalle specie più comuni nelle nostre regioni e rivolgendovi a vivaisti specializzati come Central Park nel Novarese. Tutti i muschi amano l’umidità e l’ombra, ma alcuni hanno ulteriori esigenze (per esempio, substrati silicei). Vanno bagnati con acqua piovana, ma alcuni vanno lasciati all’asciutto in alcuni periodi, per assecondare il loro ciclo vitale. Le specie più comuni, come quelle che si trovano nei nostri boschi o si acquistano nei garden e dai fruttivendoli sotto Natale, sono invece di facile coltivazione. Per diffonderli nel vostro giardino, ai piedi degli alberi, su pietre porose, lungo le scalinate, su statue di pietre, dividete una zolla in piccole parti, poi mescolatele con acqua, latte, yogurt o birra e spargetele sul terreno, premendoli bene e tenendoli fermi con forcine, oppure frullatele e spennellate il composto sul substrato. In seguito bagnate ogni giorno, ma poco, fino al suo attecchimento.