L’Italia, seguita a ruota da altri Paesi in Europa e negli Stati Uniti, ha scelto finora, per appiattire la curva pandemica da SARS-CoV-2, una strada poco tecnologica, il lockdown delle attività. Peraltro, l’impressionante numero di contagi e decessi ha spinto il governo ad una accelerazione tecnologica mediante un’iniziativa, denominata Innova per l’Italia e rivolta ad aziende, centri di ricerca e startup, di ricognizione e individuazione delle migliori soluzioni digitali disponibili per il monitoraggio attivo digitale dei contatti, nell’ipotesi che un incremento della sorveglianza individuale possa essere utile al contenimento del contagio.

Si tratta del cosiddetto contact tracing digitale, cioè l'uso dei dispositivi mobili dei cittadini per la mappatura e il tracciamento dei soggetti entrati in contatto con persone infette, nel quale vengono utilizzati i dati delle celle telefoniche o quelli raccolti direttamente dai sensori degli smartphone.

Alcune proposte italiane

Per la call del governo sono arrivate oltre 300 proposte per il tracciamento digitale e oltre 500 per la telemedicina. La rivista Wired descrive diverse App per smartphone utilizzabili per il contact tracing del Coronavirus.

Una soluzione è l’App Sm-COVID-19, sviluppata dall’azienda SoftMining, spin-off dell’Università di Salerno. Il sistema utilizza i diversi sensori dello smartphone per costruire una rete dei dispositivi che ha incrociato (numero, durata e tipo di contatti, ad una distanza da 2 a 60 metri, in base al tipo di sensori presenti sul dispositivo). Se l’App viene chiusa, si riavvia in automatico. La scansione avviene ogni 60 secondi anche con l’App in background. Ogni 60 minuti i dati aggregati vengono salvati su un database protetto che, nel progetto, dovrebbe essere messo in condivisione con le autorità sanitarie. I dati sono conservati nel database per 21 giorni e poi cancellati.

Il sito afferma, inoltre, che il rischio di contagio del singolo utilizzatore è in funzione dei dati degli altri utilizzatori. Se una persona risulta positiva al test, il rischio di ogni altra persona con la quale questa sia venuta in contatto viene aggiornato automaticamente. Se il rischio è alto, l’utente viene invitato a contattare volontariamente le autorità sanitarie perché possa essere monitorato. Ciascuno riceve le informazioni sul proprio stato, non su quello di altri. È garantito un completo anonimato. La probabilità di contagio viene calcolata sulla base di un modello che tiene conto di durata del contatto, giorni trascorsi dal contatto e numero di contatti. I parametri numerici sono stati fissati utilizzando dati presenti nella letteratura scientifica e vengono continuamente aggiornati man mano che la rete neurale che li utilizza viene addestrata a riconoscere il meccanismo di diffusione. L’azienda sottolinea, inoltre, che l’App è stata sviluppata senza fini economici né di acquisizione di dati sensibili.

Di respiro internazionale è la proposta dell’App COVIDCommunity Alert da parte di un team di 14 esperti tra cui Stefano Quintarelli, imprenditore e membro dell’AI High Level Expert Group della Commissione Europea e chairman del comitato direttivo dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID). L’App non traccia le posizioni GPS degli utenti, non richiede login, non raccoglie alcun dato sensibile. Sfrutta la tecnologia Bluetooth per raccogliere i codici identificativi degli smartphone che rientrano nel raggio d’azione dell’utente, inviando una notifica a chi si è trovato vicino a una persona infetta: in quel caso si forniscono istruzioni precise da seguire. Gli identificativi convergono su un server di Amazon, mentre il codice dell’App è open source e disponibile online.

Conclusioni

Il controllo dei dati può assurgere, in certi casi, a strumento di sanità pubblica, anche se il rischio è di arrivare a comportamenti delle autorità eccessivamente intrusivi, basati sull’emotività del momento, con l’adeguamento a modelli che delegando alla tecnologia la soluzione dello stato di emergenza, non riescono a bilanciare il diritto alla riservatezza con l’esigenza di tutelare la salute.

Molti giuristi hanno già chiarito che, in casi di emergenza come questo, la telesorveglianza è giustificata in forza dei principi di proporzionalità e limitazione nel tempo. Il contact tracing non deve quindi diventare un gigantesco strumento di identificazione, ma occorre una privacy “modulata”, non sospesa, l’utilizzo di dati pseudoanonimizzati o anonimizzati, ribadito peraltro da tutti i produttori delle App proposte per il tracing, ricorrendo, come affermato da Antonello Soro, alla reidentificazione da parte delle autorità pubbliche laddove vi sia tale necessità, ad esempio, per contattare i soggetti potenzialmente contagiati. I dati completi dovranno essere conosciuti soltanto dalle autorità pubbliche, alle quali deve essere riservata la fase dell'analisi, che necessita delle garanzie e della responsabilità degli organi dello Stato. È necessaria per questo una legge ad hoc, che tenga conto della correttezza e della proporzionalità del trattamento dei dati, una legge di durata strettamente collegata al perdurare dell’emergenza.

Si deve assolutamente evitare la “marcatura” delle persone, che può addirittura esporre al rischio della caccia all’untore. Nei Paesi che hanno utilizzato il tracing in modo coercitivo sono stati infatti descritti episodi di biasimo sociale e talvolta di violenza, anche fisica.

Oltre alla riservatezza, deve essere garantita la sicurezza dei dati, per evitare utilizzi impropri, ad esempio, per motivi commerciali. I depositari delle informazioni, in particolare le grandi piattaforme, devono dimostrare la conformità ai requisiti di protezione dei dati, affidabilità e trasparenza, a garanzia dei diritti degli interessati e dell’attendibilità dell'analisi. Dovrà essere chiaro chi conserva i dati e quali controlli effettua su di essi. Delle informazioni, una volta cessata l’indispensabilità del contrato alla pandemia, non dovrà rimanere traccia.

Importante è, infine, che il cittadino che riceve l’alert di essere stato a contatto con un contagiato venga tutelato da una struttura organizzativa che gli sia di riferimento e di supporto informativo.