Specialista dermatologo con esperienze internazionali, consulente presso gli ospedali milanesi Fatebenefratelli e Niguarda, consigliere dell'Ordine dei Medici di Milano, ha organizzato corsi di aggiornamento professionale e pubblicato su riviste nazionali e internazionali. Studioso di storia della medicina e locale, è autore di otto libri, di cui, l'ultimo sulla pandemia Spagnola. Dal 2018 è Assessore alla cultura e tempo libero del Comune di Bresso.

Lo spunto per approfondire il tema della Spagnola mi è venuto dalla lettura del tuo romanzo-saggio Tutta la vita in un giorno: ce ne puoi tratteggiare la genesi e il significato?

Tutta la vita in un giorno è il racconto di una giornata di mio nonno Egidio: militare al fronte durante la Prima guerra mondiale, a seguito della morte della figlia e della sorella usufruisce di una licenza e torna al suo paese, Bresso. Attraverso flash back ripercorre tutta la sua vita, che si intreccia con quella della sua famiglia, del suo battaglione, della comunità in cui vive e di quella strana malattia di cui nessuno vuol parlare, fino all’epilogo davanti alle porte chiuse di un cimitero ove capisce che il destino non dipende dalla nostra volontà. Devo ringraziare il cantautore prof. Roberto Vecchioni cui ho rubato il titolo di una sua canzone.

Per capire di cosa stiamo parlando, anzi tutto partiamo dalla terminologia: qual è il significato di “virus”, “influenza”, “spagnola”, “epidemia”, “pandemia”?

Virus, deriva dal latino virus,-i, e significa tossina, veleno, umor velenoso. Il termine viene utilizzato verso la fine dell’Ottocento per indicare delle particelle filtrabili in grado di trasmettere infezioni. Ivanovsky che scoprì quello che in seguito venne identificato come il virus del mosaico del tabacco, pensava ad una tossina prodotta da batteri; Beijerinck nel 1898 sostenne che questi agenti infettivi troppo piccoli per essere osservati al microscopio e in grado di passare i filtri, fossero liquidi; Stanley dimostrò che erano delle particelle; Loeffler e Frosch isolarono il primo virus animale, l’agente dell’afta epizootica. Le prime immagini furono ottenute nel 1931 in seguito all’invenzione del microscopio elettronico.

Influenza, è un termine che viene introdotto nel secolo XIV in Italia per descrivere una malattia perniciosa caratterizzata da febbre, tosse, mal di gola, dolori ossei e muscolari, stanchezza, causata “dall’influenza degli astri” sugli esseri umani attraverso l’aria malsana, i cosiddetti miasmi che si pensava scatenassero uno squilibrio degli umori. Il termine viene accolto nella lingua inglese nel Settecento (abbreviato spesso in flu), mentre i francesi preferirono usare la parola grippe.

Influenza Spagnola. Il termine viene coniato per indicare una malattia contagiosa, ad alta letalità e mortalità le cui prime segnalazioni avvennero all’inizio del 1918 a partire dall’Oriente e poi dal Canada e dagli Stati Uniti. Era in corso il primo conflitto mondiale e la censura intervenne preventivamente per impedire la propagazione di notizie che avrebbero potuto avere ripercussioni negative sul morale delle truppe e della popolazione civile dei Paesi belligeranti. La Spagna era un Paese neutrale e la malattia fu subito di dominio pubblico con rilievo sulle fonti d’informazione. Per questo passerà alla storia come “Influenza Spagnola”.

Epidemia, deriva dal greco (lett. sopra la popolazione) e indica il diffondersi di una malattia che colpisce quasi simultaneamente una data popolazione umana con una delimitata diffusione nel tempo e nello spazio. Per Ippocrate consisteva nella somma di tutti i sintomi riscontrabili in un dato luogo nel periodo di tempo in cui la popolazione era stretta nella morsa della malattia.

Pandemia, deriva sempre dal greco (lett. tutta la popolazione) ed è un’epidemia che coinvolge più paesi o continenti.

Si hanno certezze su come nacque e si sviluppò la Spagnola?

Certezze e dubbi rispetto alla nascita e allo sviluppo della Spagnola, sia per i limitati mezzi che la scienza aveva a disposizione all’epoca, sia per il periodo storico caratterizzato dalla guerra mondiale e dalla censura. Basti pensare che l’identificazione dell’agente causale è avvenuta solo nel 2004-2005 quando alcuni scienziati del Dr. Tubenberg’s group hanno ricostruito il genoma del virus partendo dal materiale di una persona morta di Spagnola e conservata intatta nei ghiacciai dell’Alaska. Ricostruita la sequenza dell’RNA, il virus si è replicato in cellule di coltura. È un virus influenzale di tipo A, sottotipo H1N1, oggi conservato presso il CDC ad Atlanta in Georgia (USA). Nato probabilmente in Estremo Oriente, attraverso uno spillover tra uccelli e uomo (il salto di specie di un virus influenzale tra volatili selvatici ed esseri umani), forse anche attraverso un passaggio nei maiali, diffuso nel mondo dagli spostamenti delle truppe da un continente all’altro e favorito dalle condizioni di precarietà e di miseria dovute alla guerra.

Hai scritto: “Parlo di ieri, ma penso all'oggi”: quali punti in comune e quali differenze tra Spagnola e COVID-19?

Comincio dalle differenze. Le due forme morbose sono dovute a virus diversi. Quello della Spagnola è un virus influenzale, un orthomyxovirus, capace di dare stabilmente la stessa sintomatologia, in forma più o meno grave secondo le difese dell’ospite, ma comunque con elevata letalità ed elevata mortalità. Il SARS-CoV-2 è un coronavirus, un trasformista: a volte provoca raffreddore, altre influenza, a volte si palesa con polmoniti interstiziali, altre con fenomeni tromboembolici, altre ancora è assolutamente asintomatico. Pare che gli indici di letalità e di mortalità siano inferiori a quelli della Spagnola. Da ultimo è stata differente la velocità di diffusione: se il virus della Spagnola nasce in Estremo Oriente, probabilmente in Cina, arriva in America per nave con i coolies, gli operai cinesi, circa 100-140mila persone, che durante la Grande guerra vengono assoldati per scavare le trincee per gli alleati e con l’esercito statunitense sempre per nave arriva in Europa. Qui si diffonde nelle trincee, favorito anche dalle condizioni di vita nelle stesse.

Con la fine delle ostilità i combattenti da tutto il mondo lo portano o lo riportano nei Paesi di provenienza, ove i festeggiamenti pubblici fanno il resto. Si parla di mesi per la sua diffusione planetaria. Il SARS-CoV-2 ha impiegato settimane, forse giorni per compiere un percorso analogo con la velocità degli spostamenti aerei attuali e senza le limitazioni imposte da una guerra. Diverse le fasce d’età colpite: prevalentemente giovani adulti nella Spagnola, senza differenziazione sessuale; anziani e soggetti con altre patologie per lo più di sesso maschile nel COVID-19.

Le affinità. Sono malattie dovute a virus a RNA, originati per spillover, (uccelli-maiale?-uomo l’uno, pipistrello-pangolino?-uomo l’altro) che si trasmettono per via aerea con elevata contagiosità; sono virus nuovi, difficilmente individuabili nelle fasi iniziali, contro i quali non c’erano difese immunitarie specifiche preesistenti. Resta da chiarire per entrambi, la scarsa incidenza su neonati e bambini.

La Spagnola durò circa due anni, prevedi lo stesso per l'attuale pandemia?

La Spagnola durò due anni con differenze cronologiche nei vari continenti e fu caratterizzata da tre ondate: la prima clinicamente leggera, la seconda tremenda, la terza di media intensità. È probabile che nel corso dei mesi il virus subì delle mutazioni che ne ridussero la virulenza, dato provato per i virus influenzali. In secondo luogo buona parte della popolazione si immunizzò, producendo anticorpi. Terzo ci fu un calo demografico che portò all’anticipata scomparsa di soggetti a rischio per altre patologie. Per il COVID-19 non abbiamo dati sufficienti per prevedere lo stesso comportamento. Non essendo un virus influenzale, occorrerà capire se e a quali mutazioni andrà incontro e che tipo di immunità lascerà. Inoltre sarà importante sapere quando sarà possibile avere un vaccino e quale ruolo potrà giocare.

Che conseguenze sociali, politiche e culturali ebbe la Spagnola e quali pensi che ne avrà il Coronavirus?

Allora non esisteva un sistema sanitario e la gestione delle malattie infettive venne affidata al ministero dell’Interno come se fosse un problema di ordine pubblico: l’unico provvedimento fu il distanziamento sociale con l’uso di mascherine e una campagna di disinfezione dei luoghi pubblici. L’inizio delle scuole fu posticipato, ridotto l’orario di apertura dei negozi, chiusi cinema e teatri; le fabbriche non furono fermate e diventarono focolai di infezione in quanto le condizioni igieniche e lavorative non erano certo delle migliori. Tutto questo si aggiunse alla situazione del Paese che usciva da una guerra di 4 anni che aveva impoverito le casse dello stato e le condizioni della popolazione. Seguirono il biennio rosso con l’occupazione delle fabbriche e gli scontri nelle piazze; il mito della vittoria mutilata e l’occupazione di Fiume, la nascita dei fasci di combattimento e la Marcia su Roma.

Anche il Coronavirus lascerà delle conseguenze: per dirla in breve nulla sarà più come prima. La crisi economica, conseguenza immediata del lockdown di mesi, avrà delle pesanti ripercussioni sulla nostra quotidianità. Ne usciremo se saremo in grado di trovare le forze per una rinascita, per uno sforzo collettivo che non può prescindere dalla collaborazione tra enti e istituzioni e dalla cooperazione tra gli stati europei, ancora oggi purtroppo legati ad un astratto concetto di Europa e divisi da profondi interessi nazionalistici. Bisogna evitare che il distanziamento fisico diventi un distanziamento sociale.

Tu, da dermatologo, ma anche da medico di base, hai un rapporto particolare con la gente: come hai visto la reazione dei tuoi pazienti e dei tuoi concittadini di fronte al COVID-19 e quali differenze con l'atteggiamento all'epoca della Spagnola?

La reazione è stata all’inizio di incredulità. È solo una banale influenza, ammesso che l’influenza possa essere considerata una malattia banale, la prima considerazione. È solo un problema cinese. Quando siamo stati coinvolti direttamente perché abbiamo visto i camion militari che trasportavano le bare, perché abbiamo sentito il giornaliero numero di contagiati e di morti, è subentrata la paura. Come è possibile che un sistema sanitario efficiente come quello italiano si sia lasciato trovare impreparato? La gente moriva perché non c’erano posti letto nelle terapie intensive e bisognava scegliere chi curare. Poi si è scoperto che forse le cose non andavano proprio così. Ricordo che ad una riunione della task force nella ASST dove lavoro ho detto: “Abbiamo imparato a curare le forme croniche, dai tumori alle malattie cardiovascolari; ci siamo dimenticati che esistono anche le forme acute come le malattie infettive”.

A volte la paura è degenerata nel panico. E qui è venuto fuori il meglio e il peggio di quello che siamo. L’instancabile lavoro del personale sanitario, l’abnegazione dei volontari della Protezione Civile e della Croce Rossa, il prezioso lavoro di quanti non hanno abbandonato il proprio posto fanno da contraltare a chi invece è scappato, a chi si è messo in malattia, a chi ne ha approfittato, a chi ha rubato le mascherine distribuite nelle cassette condominiali della posta. Non spetta a me esprimere giudizi; certo ne abbiamo sentite, viste e dette in questo periodo e forse chissà un domani qualcuno chiederà il conto. Del COVID-19 si è parlato molto, anche troppo, e spesso a sproposito. Questa la differenza fondamentale con la Spagnola, per la quale era fin proibito menzionarne il nome. Sono convinto che la verità, anche di fronte ad una tragedia, non debba essere tenuta nascosta. Sono altrettanto convinto che le parole debbano essere chiare e misurate per evitare allarmismi o irrazionali reazioni.

Continenti, nazioni, regioni, comuni sono andati in ordine sparso: sarebbe stato possibile una sorta di coordinamento?

Sarebbe stato doveroso il coordinamento. Ma è prevalso l’interesse particolare, su quello collettivo. Hanno brancolato nel buio per settimane: gli stati, la Cina in primis, che non ha fornito le informazioni di cui era in possesso, l’OMS, che per motivi che qualcuno un domani dovrà spiegare, non ha proclamato quando doveva lo stato di pandemia, l’Europa, che ha dimostrato di non avere una politica comunitaria, gli esperti che sembrava sapessero tutto, e in parte sono stati smentiti, il governo, che non ha preso decisioni immediate, le regioni, che si sono comportate come fossero stati sovrani, i comuni, che sono stati lasciati da soli a fronteggiare l’emergenza. Solo un ricordo. Quando il sindaco del mio paese, Bresso, emanò un’ordinanza sindacale per la chiusura dei bar dopo i primi casi accertati, gli fu intimato di revocarla in attesa di disposizioni che vennero qualche giorno dopo e riguardavano proprio la chiusura dei bar. Abbiamo solo perso tempo. Hanno chiamato eroi il personale medico e sanitario in generale che si è immolato e ha pagato un elevato prezzo in vite umane, e il giorno dopo gli stessi eroi sono stati accusati di aver compiuto errori madornali. Ma dove sta andando l’umanità?

Come spieghi l'accanimento del virus in Lombardia e a Milano?

La Lombardia è la regione più popolosa d’Italia con oltre 10 milioni di abitanti ed è anche quella con la più alta densità di popolazione. Ha quattro squadre di calcio che militano in serie A e movimentano, coppe escluse, circa 300mila persone a settimana. Milano è uno dei principali scali ferroviari, ha 3 aeroporti nel raggio di 50 km e 5 linee metropolitane che ogni giorno trasportano milioni di persone; ha una movida che ogni notte fa incontrare migliaia e migliaia di persone; ha una delle più importanti comunità cinesi al mondo. Oltre che principale centro commerciale, industriale, del terziario avanzato, della moda, è diventata anche importante meta turistica. Logico che con questi dati, dove poteva colpire e svilupparsi una forma infettiva sconosciuta proveniente dall’estero?

Un’ultima considerazione: la sanità lombarda è e resta un’eccellenza, soprattutto per quanto concerne le alte specializzazioni e la tecnologia. Ha un peccato originale: è ospedalocentrica, ha dimenticato la gestione del territorio. Gli ospedali tradizionalmente organizzati per fornire cure incentrate sui pazienti, sono mal equipaggiati per fornire assistenza focalizzata su una comunità come è necessario durante una pandemia. Sarebbe stato utile un maggior controllo del territorio, passando da modelli centrati sul paziente a un approccio comunitario che offra soluzioni per l’intera popolazione. Una efficiente assistenza domiciliare sarebbe stata più utile di numerose terapie intensive.

Sei assessore in un comune della fascia Nord di Milano: che vantaggi o svantaggi dà operare in una realtà autonoma, ma che, comunque, deve fare spesso i conti con la grande città?

Voglio rispondere con dei dati e una piccola riflessione finale. La mia Bresso per alcune settimane è stata nella top 5 delle città lombarde per numero di contagi e di morti. Come mai si chiedevano gli esperti? Semplice, Bresso, 26mila 300 abitanti, ha la più elevata densità abitativa di Lombardia, ed è ai primi posti in Italia: oltre 7.700 abitanti per km/quadrato; inoltre ha un terzo della popolazione over 65. Bresso ha pagato il fatto di essere densamente abitata, di contare un numero di anziani relativamente alto e di possedere un tessuto sociale vivo. Conserva ancora i tratti del paese che fino al 1950 contava 5mila abitanti e che negli anni ‘60-‘70 ha settuplicato la sua popolazione. Il volontariato, l’animazione di cinque centri culturali, le decine di associazioni e l’impegno delle tre parrocchie sono una ricchezza preziosa.

Ci si è messa pure la fatalità. Un milanese del vicino quartiere di Niguarda, poi identificato come paziente 1, veniva a Bresso giornalmente in un circolo di anziani. Sono stati contagiati i due baristi e tanti frequentatori (ne moriranno venti), che purtroppo facevano volontariato in un centro per disabili e in una cooperativa sociale. La fatalità ha voluto che siano stati coinvolti in primis proprio coloro che erano impegnati nel volontariato e che per una beffarda e tragica situazione hanno contribuito a diffondere l’epidemia. C’è stato un momento in cui si pensava che Bresso diventasse zona rossa alla stregua di Codogno. Sono convinto, e questa la riflessione, che la vicinanza a Milano, neanche 100 metri tra l’ultima abitazione di Milano e la prima di Bresso, abbia impedito questa evenienza.

E il tuo “C'era una volta...” come lo sogneresti?

C’era una volta un mondo fantastico nel quale i virus erano solo dei problemi di software, ma nel quale gli antivirus funzionavano a meraviglia.