Ai tempi di Shakespeare, l’elenco delle piante coltivate a scolpo ornamentale in Europa erano brevi, poiché veniva data molta attenzione alle piante medicinali, commestibili, per cosmesi e profumeria.

Oggi, la ricerca di nuove specie è una scienza affidata ai professionisti, persone incaricate dagli orti botanici, dalle università, dalle società di orticoltura, dai governi interessati alla coltivazione di piante utili all’economia, anche per il valore estetico. Tuttavia in passato i cosiddetti “cacciatori di piante“ sono stati sì botanici, naturalisti e giardinieri, ma anche geografi, esploratori, diplomatici, missionari, mercanti, capitani, commissari di bordo e marinai, ufficiali, soldati , pirati, avventurieri e semplici appassionati, che, pagati e non da sovrani, orti botanici, università, floricoltori, vivaisti e privati si sono avventurati, nel corso dei secoli, in giro per il mondo, attraversando territori inesplorati e impervi, affrontando innumerevoli disagi e pericoli, fino anche a trovarvi la morte.

La prima caccia botanica di cui si ha testimonianza è stata la spedizione voluta da Hatshepusut, regina d’Egitto, nel 1482 a.C. verso le coste dell’Africa orientale per procurarsi l’incenso, resina di alcune specie legnose oggi annoverate nel genere Boswellia (tra cui Boswellia sacra, B. serrata). Le 5 navi tornarono cariche di semi e piante, fra cui boswellie ma anche molte altre ancora, che vennero piantate nei giardini del tempio fatto innalzare dalla regina.

Man mano che l’uomo diventava più raffinato, crebbe il bisogno di nascondere i cattivi odori: i mercanti, che commerciavano le spezie, iniziarono a portare in Persia ed Egitto, Paesi all’epoca molto raffinati, anche alcune piante aromatiche o profumate.

In seguito, dalla Grecia, dalla Persia e dall’Afghanistan iniziarono ad arrivare a Roma le radici delle rose, che venivano coltivate per imbottire cuscini, aromatizzare il vino come si faceva già con le violette, preparare mieli, gelatine, acqua di rose per il bagno, canditi e altri dolci.

Tra i cacciatori botanici, uno dei più importanti dell’antichità fu Alessandro Magno (IV secolo a.C.): allievo di Aristotele, grazie agli insegnamenti del maestro, si appassionò alle scienze naturali; da ogni sua impresa in terra lontana, riportava al suo palazzo, animali sconosciuti e piante rare, che andavano ad arricchire il suo vasto giardino, dove c’era annesso anche una sorta di zoo. Dalle sue guerre in Oriente portò in patria, per esempio, la rosa persiana gialla doppia, il basilico, il limone (soprannominato “mela persiana”), le pesche, e l’albicocco: di origini cinesi, arrivò in Armenia e da qui venne introdotto in Grecia e in Europa, da Alessandro Magno prima e dal generale romano Lucullo poi, per raggiungere il Nuovo Mondo secoli dopo, grazie ai coloni inglesi. Fu sempre Alessandro Magno, d’altro canto, a introdurre la coltivazione del riso in India: coltivato in Cina da oltre 6.000 anni, arrivò in Grecia grazie a viaggiatori arabi, e da qui raggiunse l’India grazie appunto ad Alessandro Magno, intorno al 326 a.C.

Soldati, marinari, mercanti e tutti coloro che dovevano spostarsi da un luogo all’altro finivano infatti per portare con sé alcune piante, perché erano buone da mangiare, perché erano utili come medicinali, ma anche solo come un ricordo di casa: fu così che, durante l’Impero Romano, il Lilium candidum, usato dai medici per curare le ferite e dai soldati per ricordare gli affetti lontani, si diffuse in tutta Europa, che la vite, il cetriolo e il radicchio raggiunsero la Britannia. Molte piante mediterranee arrivarono in Inghilterra grazie ai Romani, ma quando questi ultimi si ritirarono, quelle conoscenze rischiarono di andare perdute, poiché gli inglesi di quei tempi dedicavano poca attenzione al giardinaggio: per molti secoli molte piante ornamentali arrivate da lontano sopravvissero in Inghilterra soltanto perché erano coltivate nei monasteri, per scopi sia medicinali sia religiosi, dai monaci arrivati dalla Normandia con la conquista normanna, che reintrodussero in Britannia la passione per i giardini e l’arte di coltivare i fiori.

Anche Carlo Magno (742-814 d.C.) fu un rinomato giardiniere: scrisse un catalogo di botanica medievale che parla di piante aromatiche e medicinali e nel 812 con un editto obbligò i contadini a coltivare negli orti una pianta di rosmarino il cui profumo si pensava contenesse l’anima della terra.

Con l’occupazione degli Arabi della Spagna (a partire dal 711), le Crociate (1000-1200) e l’arrivo dei Turchi a Costantinopoli (1453), gli Europei cominciarono a voler coltivare nei loro giardini le piante conosciute attraverso i loro invasori o durante le guerre. In particolare, i crociati che tornavano dalla Terra Santa riportavano a case nuove erbe odorose utili per profumare i cassetti dei loro castelli. Divenne poi prerogativa del clero il rifornimento di nuove piante, il loro studio e catalogazione.

Uno dei più importanti studiosi medievali, Alberto Magno (1193-1280), fu anche un eminente botanico nonché il modello di cercatore di piante pre-rinascimentale. Teologo, filosofo e naturalista, scrisse importanti opere sull’agricoltura e la botanica al punto che la Chiesa cattolica, riconoscendolo come santo, lo ha proclamato protettore degli scienziati. Ernst Meyer in Geschichte der Botanik (1854-57) scrisse di lui: "Nessun botanico che sia vissuto prima di Alberto può essere paragonato a lui, tranne Teofrasto, che non conosceva; e dopo di lui nessuno ha dipinto la natura in tali vividi colori, o l'ha studiata così approfonditamente, fino all'arrivo di Conrad von Gessner e Andrea Cesalpino. Tutti gli onori, dunque, vanno tributati all'uomo che ha fatto tali stupefacenti progressi nella scienza della natura, da non trovare nessuno, non che lo sopravanzi, ma che lo eguagli nei tre secoli successivi."

Il Rinascimento e il ruolo dell’Italia

Con il Rinascimento lo studio della botanica raggiunse lo stadio in cui le diverse specie, il cui numero stava aumentando grazie ai viaggi e alle esplorazioni, potevano finalmente essere riconosciute una dall’altra e, piano piano, denominate in modo più sistematico.

Con la fine del 1400, l’Impero spagnolo introdusse in Europa dalle Americhe tropicale e subtropicale molte piante utili, fra cui patate, pomodori, girasoli, zucche, e piante meramente ornamentali, come tagete, dalie e zinnie.

La famiglia de’ Medici, protagonista di centrale importanza nella storia e cultura d'Italia e d'Europa nel 1400-primi trent’anni del 1700, comprende molti grandi appassionati di piante, in particolare di agrumi, di cui crearono un’importante collezione, diffondendo in seguito l’abitudine nelle corti di tutta Europa e dando loro ruolo determinante nella progettazione dei giardini all’italiana.

Dal Rinascimento in poi

Tornando al tema dei cacciatori botanici, Johan von Cube, ricco dottore e botanico dilettante di Francoforte, fu uno dei primi a ipotizzare che la flora dell’Europa del Nord fosse diversa da quella del Sud e a decidere di verificarlo. Nel 1485 organizzò una spedizione in Italia, Balcani, Creta, Rodi, Cipro, Terra Santa, Egitto, che ebbe molto successo. Fece dipingere le piante, senza però riportarle in patria. A sua volta Pierre Belon, medico bretone, fu uno dei primi ad andare a caccia di nuove piante all’estero: dal 1546 al 1548 girovagò lungo le coste del Mediterraneo orientale in cerca delle piante descritte dagli autori classici come Aristotele e Teofrasto.

Per molto tempo, comunque, la botanica viaggiò soprattutto con la valigia diplomatica: il fiammingo Ogier Ghislain de Busbeq, per esempio, ambasciatore per l’Impero Austriaco alla corte di Solimano il Magnifico a Costantinopoli, nel 1550 andò a caccia di piante per l’Asia Minore: in un solo anno fece conoscere all’Occidente l’ippocastano, i lillà, i tulipani, il filadelfo, Hibiscus syriacus e Hyacinthus orientali.

Verso la fine del 1500, Charles de l’Écluse (detto anche Carol Clusius), fiammingo aristocratico, studioso di legge e filosofia, amico di Gerald1, fece un lungo viaggio attraverso l’Europa e poi Turchia. Dalla Spagna portò 200 piante, dalla Turchia, per la prima volta la fritillaria, narcisi selvatici, la radice dell’iris fiorentina e reintrodusse il ranuncolo e il giacinto. Dal Messico, ma attraverso l’India, gli arrivò la tuberosa, e dal Brasile, ma attraverso il Portogallo, Phaseolus coccineus. Nel 1573 divenne supervisore dei giardini imperiali di Vienna, per poi ottenere una cattedra a Leida. Ai suoi amici dichiarò che per quanto dure possano essere le vicissitudini dell’esistenza, la botanica e il giardinaggio sono fonti di consolazione e gioia perenni.

Il Seicento, piante dalle Americhe e dal Sudafrica

Il 1600 fu per l’Inghilterra un vero e proprio Rinascimento della botanica. Mentre in continente i giardini cominciarono a cambiare aspetto, perché non si voleva più che fossero “collezioni di piante rare per la consolazione e l’ammirazione della natura”, tali piante iniziarono ad attirare l’attenzione dei giardinieri inglesi. In Francia gli architetti dei giardini studiano la progressione logica della prospettiva, i problemi di forma e struttura, disegnano grotte e parterre d’acqua, sassolini colorati, polvere di mattone e intrecci di piante come ricami; in Inghilterra invece ci si interessa alle erbe medicinali, alla coltivazione degli aranci e di piante delicate (periodo delle Aranciere) riservate solo ai più ricchi. In ritardo come sempre (a quei tempi), i giardinieri inglesi scoprirono le gioie del collezionismo botanico, diventando poi i migliori del mondo occidentale.

John Tradescant il Vecchio (1560-1638, a lui è dedicato il genere Tradescantia), fu dapprima giardiniere al servizio di Robert Cecil, primo lord Salisbury, grazie al quale compie parecchi viaggi in Europa e Asia, che sviluppano le sue doti di cercatore di piante rare e collezionista di curiosità. Successivamente diventa giardiniere reale per Carlo I, e come tale si arruola in una spedizione punitiva contro i corsari delle coste del Nordafrica pur di esplorare quella regione, dalla quale ritornò carico di lillà, cisti, tulipani, anemoni, giacinti, fritillarie e altre bulbose.

Dall’inizio del 1600 in poi, molto si deve, per quanto riguarda l’introduzione di nuove specie, alla East India Company, la Compagnia delle Indie Olandese: gli Olandesi fecero infatti a Collina del Capo, in Sudafrica, il loro scalo sulla via delle Indie, scoprendovi le innumerevoli ricchezze botaniche. Il Sudafrica vanta infatti piante che non hanno relazione con quelle di altri luoghi, come Pelargonium, agapanti, kniphophie, nerine, clivie, fresie, latomie, gazanie, dimorfoteche, Mesembriantheum e le eriche (470 delle 500 specie oggi conosciute), che iniziarono a raggiungere l’Europa.

Nel frattempo, stavano arrivando nuove piante anche dall’America settentrionale e meridionale. Il numero delle specie americane subissa quello delle europee, rivaleggiando quasi con la Cina, l’unico altro paese scampato all’era glaciale. Mentre infatti le piante europee, al sopraggiungere del ghiaccio si ritirarono fino al Mediterraneo, e si estinsero lungo le sue rive, le specie americane e cinesi si ritirarono al Sud e, al tempo opportuno, tornarono al Nord. Ne sono un esempio le magnolie, famiglia estinta in Europa, prima scoperta in America e successivamente anche in Cina.

I missionari inviati nelle colonie americane dal vescovo Henry Compton, vescovo di Londra, garantirono perciò un flusso costante di nuovi arrivi dall’America. Compton fu uno dei più importanti collezionisti di piante esotiche del 1600: una volta divenuto vescovo di Londra, ebbe il parco di Fulham Palace, già ricco di piante esotiche introdotte ancora ai tempi della regina Elisabetta I, a disposizione: Compton ordinò subito che si costruissero nuove serre e iniziò a spedire suoi missionari nelle Americhe, fra cui John Bannister in Brasile, per convertire sì gli infedeli ma anche per scoprire nuove piante, soprattutto dopo che Giacomo II lo sospese da ogni incarico clericale, in quanto reo di vari intrighi politici.

Alla metà del 1600 iniziano ad arrivare in particolare le piante dell’America settentrionale, più rustiche e quindi adatte ad essere coltivate all’aperto anche nei nostri climi. Piante quindi che influirono in modo determinante sull’architettura dei giardini.

John Tradescant il Giovane, per esempio, fece tre viaggi in Virginia, nell’America settentrionale (1637-1642 e 1654) e introdusse vite dal Canada, Liriodendron tulipifera, acero rosso, Taxodium distichum, Robinia pseudoacacia, aster e rudbeckie, che diventeranno molto comuni nei giardini europei.

Nello stesso periodo il Capitano William Dampler, a capo di una banda di pirati, seminò morte e terrore dallo Yucatan alla Colombia, raccogliendo nel frattempo innumerevoli informazioni e materiali della flora tropicale, e, in seguito, dell’Australia e della Nuova Guinea, dove venne successivamente spedito.

Tuttavia, i veri secoli d’oro per l’introduzione di nuove piante furono il ‘700 e l’800, quando iniziarono ad arrivare specie dalle Americhe, dall’Asia, dalla Nuova Zelanda e dall’Australia.

Il Settecento

Il Settecento è un secolo di radicale cambiamento per le scienze naturali: nel 1735 Carlo Linneo (1707-1778) pubblica a Leida Systema naturae, il metodo di classificazione tassonomica impostato su una nomenclatura binomiale, basata sul modello aristotelico di definizione mediante genere prossimo e differenza specifica, per piante e animali; se la prima edizione si componeva di undici pagine, la tredicesima edizione, del 1770, arrivava quasi a contarne tremila. La rivoluzione è assoluta: dove prima erano necessarie lunghe e verbose descrizioni per indicare una pianta, ora con due soli nomi la determinazione è univoca e certa, senza problemi di traduzione. Lui stesso, ancora giovanissimo assistente alla cattedra di botanica dell’Università di Uppsala, era stato inviato a caccia di piante in Lapponia, ancora sconosciuta.

Lo scambio di piante e di semi, così come di informazioni, soprattutto con le colonie, subisce quindi una forte accelerazione. In continuo aumento, i cercatori di piante le riportavano personalmente in patria o le spedivano ai collezionisti e ai mercanti inglesi.

Ai primi del 1700, i francesi Joseph Pitton de Tournefort e il pittore Claude Aubruet (da cui Aubretia) esplorò Grecia, Turchia e Persia, portando con sé, fra le altre piante, Rhododendron ponticum, peonie e papavero orientale dalla Siria; e R. luteum, o azalea gialla, dal Mar Nero.

Peter Collinson, mercante e appassionato coltivatore, propagava le nuove piante e le commercializzava: si stima che, a partire dagli anni Trenta del Settecento abbia introdotto in coltivazione in Inghilterra circa trecento nuove specie dal Nord America, per la maggior parte grazie al naturalista inglese Mark Catesby, al quale si deve il primo resoconto della flora e della fauna nordamericana, e a John Bartram di Filadelfia (1699-1777), cacciatore botanico autodidatta, timido e solitario, che a sua volta esplorò, per conto di Collinson e in seguito per il re d’Inghilterra, i territori dell’America nord-orientale, scoprendo, per esempio, Magnolia grandiflora.

Con la fine degli anni Sessanta del 1700, i lunghi viaggi di circumnavigazione del globo diedero un ulteriore forte impulso alla ricerca botanica e aumentarono notevolmente il numero di piante che poterono essere osservate nei loro Paesi d'origine e introdotte in Europa, da tutti i continenti. Piante ormai divenute così frequenti nei nostri giardini tanto da identificarsi con la flora ornamentale tipica di alcune aree del nostro Paese, come la Bougainvillea, che prende il nome dal Louis Antoine de Bougainville, il capitano francese che comandava la spedizione del 1766 per la circumnavigazione del globo, alla quale partecipò il naturalista Philibert Commerçon che, scopertala in Brasile, le diede il nome del capitano della nave, a sua volta uomo di scienze. Commerson, collezionista sfrenato, ombroso e imprevedibile, si ammalò, fu ferito, rischiò più volte la vita; si portò dietro la propria amante, Jean Baret, camuffata da uomo, nella spedizione comandata da Bouganville, verso Tahiti e Madagascar, dove morì nel 1773.

Negli stessi anni (1770) James Cook arriva a toccare l'Australia nella spedizione alla quale prese parte anche il grande botanico inglese Joseph Banks, dal 1773 consigliere botanico del re e curatore dei giardini reali di Kew, ove furono propagate e coltivate le migliaia di specie introdotte attraverso le varie spedizioni di quegli anni. Ricco di famiglia, allegro, instancabile, Banks esplorò Australia e Nuova Zelanda, al seguito del capitano Cook, quindi Labrador, Islanda, Tahiti. Assieme al collega Dr. Solander raccolse moltissime piante oggi comuni nei nostri giardini: in Tasmania, eucalipti, mimose, acacie, grevillee, moltissime banksie, protee, callistemon, Leptospermum, Brachychiton acerifolia; in Nuova Zelanda in particolare Phormium tenax, detto lino della Nuova Zelanda perché i Maori ne usavano le fibre per ottenere un tipo di tessuto; a Tahiti gelsomini, lobelie e gardenie, e molte altre piante, per un totale di 1300 nuove specie. Tornato in Inghilterra, divenuto presidente della Royal Horticultural Society affidò ai molti giovani botanici il compito di girare il mondo in cerca di nuove piante. A lui vennero dedicate il genere di piante australiane Banksia e la rosa rampicante cinese Rosa banksiae. In quel periodo, circa 7mila nuove piante giunsero in Inghilterra, principalmente grazie agli sforzi di Banks per i Royal Botanic Gardens di Kew: senza avere mai un incarico ufficiale per la loro direzione, a soli 29 anni era divenuto il consigliere botanico del re, con carta bianca per la gestione dei giardini.

Banks invia i suoi botanici anche in Sudafrica: fra questi il giovanissimo giardiniere di Kew Francis Masson, al quale dobbiamo Amaryllis, Streptocarpus, lobelie, gladioli, Senecio cineraria, agapanti, Zanthedeschia aethiopica, Strelitiza reginae, proteee, knipfofie, e quasi 50 Pelargonium. Masson partecipò anche a diverse spedizioni di ricerca in Sudafrica dello svedese Carl Thunberg, che nel 1772 si fermò nelle Province del Capo, durante il suo viaggio verso il Giappone, interessandosi alla flora locale.

L’Ottocento

Agli inizi del 1800 arrivano nuove piante dall’America settentrionale orientale: questa zona nell’era glaciale è stato un rifugio circondato dal mare, dove molte specie, come le sequoie, il pino di Monterey e i cipressi poterono sopravvivere negli anfratti isolati della costa, lì molte piante si sono evolute assumendo una forma caratteristica: rododendri, lupini, gigli, papaveri, querce originari delle zone orientali presentano infatti un aspetto molto diverso da quello di specie analoghe della costa occidentale.

David Douglas (1799-1834), il più importante botanico-esploratore scozzese, solitario e scontroso, percorse in lungo e in largo l’America Nordoccidentale, dove arrivò la prima volta nel 1825, inviato dalla RHS. Soffrendo fame, freddo, febbre e fatica, scoprì moltissime grandi conifere, fra cui Pseudotsuga menziesii o Pino di Douglas, da lui inizialmente chiamato Pinus taxifolia, del quale inviò in Inghilterra pigne e semi. L’impatto di Douglas sui giardini e sulle foreste europee, ma anche sulla silvicoltura in Inghilterra e Nordamerica è stato enorme, poiché ha scoperto molti pini coltivati per l’industria del legname, fra cui il pino o abete di Douglas, Pinus lambertiana e il pino di Monterey, piantati invece in Inghilterra come frangivento nei grandi giardini. A lui si deve inoltre l’introduzione di Pinus radiata, Pinus poderosa, Abies grandis, l’abete più alto del mondo, Arbutus menziesii o corbezzolo californiano, il ribes rosso (Ribes sanguineum), dei lupini, che divennero fra le piante preferite nei piccoli giardini dei cottage, dei papaveri della California (Eschscholzia california), i Pentestemon, le Oenothera, gigli, Clarkia, Liatris, ventun specie di Prunus, diciannove querce, molte primule, e Mahonia aquifolium. Lungo il viaggio (ci impiegò 8 mesi e 14 giorni per arrivare in America) Douglas si fermò anche a Madeira, da cui mandò in patria molte orchidee, e alle Galapagos. Ricevette molti riconoscimenti e morì nel 1834, a soli 35 anni, in un incidente sulle montagne delle Hawaii.

Nel frattempo, William e Thomas Lobb vennero inviati in Sudamerica dai vivai Veicht, (fondati da John Veitch, giovanissimo scozzese figlio di un giardiniere, sceso a Londra a soli 16 anni nel 1768, dove solo dodici anni più tardi apre il proprio vivaio, che diventerà il più grande dell’Ottocento). Il figlio Thomas segue le orme del padre e produce alberi da frutto e ornamentali per i giardini inglesi, mentre il fratello James si interessa alle piante da fiore, soprattutto esotiche, che coltiva nelle serre riscaldate da stufe, da recidere o da coltivare nelle conservatories e nelle verande dei ricchi signori, per poi aprire a sua volta, nel 1850 circa, sempre a Londra, il suo vivaio, il Royal Exotic Nursersy. James assume nuovo personale, fra cui il giovanissimo William Lobb, che in seguito, assieme al fratello Thomas, divenne il suo più importante raccoglitore di piante: nel 1840-1843 William andò in Sudamerica, da cui riportò semi di Araucaria araucana (ex A. imbricata), albero già noto dal 1795, che diverrà caratteristico di molti giardini inglesi e poi europei.

Nel 1849 William riparte per America meridionale, dove raccoglierà, in particolare in California, i semi molte altre specie già conosciute, tra cui l’abete di Douglas, e di altre mai viste prima, fra cui Abies magnifica o abete rosso californiano, Juniperus californica o ginepro californiano, e di un albero grandissimo, che nel 1853, tornato in patria, battezzò Wellingtonia gigantea, in onore del Duca di Wellington, morto l’anno prima; i botanici statunitensi però non lo gradirono, sostenendo che un albero americano dovesse portare, semmai, il nome di un eroe americano e non inglese, così il gigantesco albero divenne Sequoiadendron giganteum, la sequoia che cresce più in alto e più velocemente di tutti di tutti. Nella seconda metà dell’800, altri raccoglitori del vivaio Veitch e di altri vivai inglesi si concentrarono soprattutto sulle piante tropicali, soprattutto orchidee, perlustrando la penisola malese, Giava, il Borneo, le Molucche, la Guinea e le Filippine.

Verso la fine del secolo Benedict Roelz, di origine boema, figlio di un giardiniere, divenne il raccoglitore di orchidee più famoso e intrepido del suo tempo. Era un solitario, viaggiò a cavallo e a piedi attraverso l’America latina e introdusse, in particolare dalle foreste tropicali del Brasile, molte felci e orchidee, piante che furoreggiavano nell’Europa del tempo e venivano pagate moltissimo per abbellire le serre vittoriane. Roelz inviò al vivaista inglese Sander decine di migliaia di orchidee, di cui 800 specie nuove. Venne catturato 17 volte dagli indigeni ma riuscì sempre a cavarsela perché creduto pazzo; in un incidente perse una mano, sostituita da un uncino come il pirata di Peter Pan. Non divenne mai ricco e morì durante una delle sue esplorazioni.

Piante da Australia e Nuova Zelanda

La flora australiana ha legami con quella sudafricana: per esempio, la famiglia della protee, famose in Sudafrica e presenti anche in America meridionale, è ben rappresentata anche in Australia. I naturalisti australiani più importanti sono stati Alan Cunningham, che batté la boscaglia per 15 anni a partire dal 1817 e visitò la Nuova Zelanda, e James Drummond, che esplorò l’Australia Sud-occidentale dal 1830 al 1863, quando morì. Da allora sorsero molti giardini botanici in varie località australiana.

La Nuova Zelanda è, dal punto di visto botanico, ancor più enigmatica, con molte specie che non trovano corrispondenza in altre zone, e molte altre che invece dimostrano il collegamento che deve essere esistito con l’Antartide e l’America meridionale, come nel caso del genere arboreo Nothofagus, presente in Nuova Zelanda, Cile e Argentina. Il clima della Nuova Zelanda ha clima subtropicale a Nord e progressivamente più temperato e freddo verso Sud. Questa terra produce poche piante da giardino dai colori forti, ma molti sempreverdi dai dettagli preziosi che hanno dato l’impronta a molti giardini moderni sofisticati, come i pitosfori e le olearie; è inoltre un paradiso di piante alpine dalla bellezza delicata come Raoulia, Parahebe, Celmisia e Acaena.

Piante dall’Asia

Prima dell’era glaciale, le medesime specie erano sparse in tutte le zone temperato-settentrionali. L’ultima glaciazione in particolare ebbe forti conseguenze in base a gradi di rusticità di ciascuna, eliminandone molte dall’America settentrionale e ancora di più in Europa. Poiché la cappa di ghiaccio contro la massa delle terre asiatiche molto più a Nord rispetto al lato occidentale del globo, Cina e Giappone ancora oggi vantano, in natura, molte specie antichissime. I giardinieri cinesi e giapponesi, inoltre, avevano iniziato a selezionare le piante da giardino - in particolare peonie, crisantemi, iris, ciliegi da fiore - molto tempo prima rispetto a quelli occidentali.

Ma questo grande tesoro botanico è rimasto quasi sconosciuto agli occidentali fino all’inizio-metà del 1800. I Cinesi, sospettosi, hanno infatti tenuto le loro frontiere chiuse agli stranieri, permettendo loro solo di fermarsi ai porti, ma non di addentrarsi nell’interno. La coltivazione intensiva di riso e tè aveva tolto spazio alle specie spontanee in queste zone, per cui primi visitatori occidentali si fecero l’idea che le uniche piante cinesi fossero quelle poche che si trovavano coltivate nei vivai, ai quali si limitavano le loro ricerche.

Nel 1680, però, un chirurgo della Compagnia delle Indie inglese, John Cunningham, arrivato in Cina, aveva scoperto piante e di-segni di tantissime specie cinesi sconosciute, che inviò in patria, primi a raggiungere l’Europa dai tempi di Marco Polo. In seguito, giunsero in Cina molti missionari francesi, che venivano tollerati dai sospettosi cinesi per la loro abilità scientifica. Fra questi, padre Pierre d’Incarville, che arrivò nel 1740 e vi rimase 15 anni, durante i quali inviò a Parigi e Londra molti semi e informazioni sulla flora cinese, ma anche l’arte e i costumi, contribuendo così alla nascita della moda per le cineserie.

Intanto gli appassionati di piante tempestavano i capitani delle navi mercantili affinché portassero a casa quanto potevano dalla Cina: è così che molte rose cinesi arrivarono in Europa.

Nel 1804 sbarcò a Canton William Kerr, in veste di raccoglitore ufficiale inviato da Banks per conto dei Kew Gardens, e, grazie al miglioramento dei rapporti fra Inghilterra e Cina, poté finalmente addentrarsi un poco nelle regioni interne, fino ad allora rimaste inesplorate dagli Occidentali, nonostante i rapporti commerciali esistenti fin dal 1600. Kerr riuscì così a mandare a Banks molte nuove specie, fra cui l’arbusto Kerria japonica. Tuttavia il Paese rimase ostinatamente chiuso ad altri esploratori stranieri fino alla prima Guerra dell’Oppio, che terminò nel 1842 e in seguito alla quale fu costretto ad aprire, almeno certe zone, agli Europei.

Intanto, nel 1843 Thomas Lobb, inviato dal vivaio Veitch, si reca, oltre che in Cina, in altri Paesi dell’Estremo Oriente, dai quale riporta in patria molte orchidee, fra cui una Vanda caeurulea, epifita di colore blu, che sopravvisse al viaggio e venne venduta per 300 sterline di allora. Nel 1859 riparte per un viaggio attraverso la Birmania e il Borneo, in cerca di orchidee e felci, ma finisce per riportare ai vivai Veicht tante altre piante, fra cui Rhododendron lobbii, dai fiori rossi, battezzato in onore dei due fratelli Lobb, e R. veitchianum, ancora oggi molto prezioso. A Thomas di devono inoltre l’introduzione in Europa anche di diverse Phalenopsis, Dendrobium, Nepthetes e gelsomini dall’Oriente, Ceanothus, Fremontodendron californium e Tropaeolum dalle Americhe.

Nel 1877 James Veitch invia Charles Maeirs di nuovo in Cina e Giappone, dove scoprirà, fra le altre, Hamamelis mollis, Primula obconica, Enkianthus campanulatus e Viburnum tomentosum mariesii.

Il Giappone, per quanto all’inizio non restio ai contatti con gli stranieri, finì con il chiudere a sua volta le frontiere, deluso dalla slealtà degli Occidentali, con l’unica eccezione per gli Olandesi, ai quali concesse la stazione commerciale di Nagasaki. Due dottori della Compagnia delle Indie Olandese Englebert Kaempferi (dai cui Iris kaempferi) nel 1690 e Carl Peter Thunberg (Berberis thunbergii, Spiraea thunbergii, Thunbergia alata) nel 1775, furono a lungo gli unici due botanici occidentali che poterono ammirare le piante nipponiche, motivo per il quale moltissime specie giapponesi oggi portano il loro nome. Intorno al 1830 vi riuscì anche il bavarese Philip von Siebold, ma solo grazie al fatto riessere un oculista: ebbe quindi il permesso di addentrarsi nell’interno e raccogliere molte piante, ma, in seguito, a causa della scoperta da parte delle autorità giapponesi di una mappa segretissima ottenuta dall’ambasciatore, finì due anni in prigione e poi venne esiliato. Perdonato, tornò in Giappone nel 1859, dopo lunghe trattative: scoprì così gli aceri giapponesi (Acer japonicum), molti bambù e molti arbusti, fra cui Buddleja japonica, Fatsia japonica, Daphne odora, Berberis sieboldii.

Alla metà dell’800 l’esportazione di nuove piante dall’Oriente si fece imponente: in particolare l’Himalaya, terra dei rododendri, fornì centinaia di specie, tra cui primule, papaveri e gigli che hanno rivoluzionato il giardinaggio occidentale. L’interno della Cina offrì alberi e arbusti più qualsiasi altro luogo del globo, mentre dal Giappone arrivarono azalee, aceri (intorno al 1815), rose, magnolie, gigli, ciliegi da fiore.

Nella seconda metà del secolo (per la precisione nel 1860), si recarono in Cina e Giappone anche il vivaista John Gould Veitch e Robert Fortune, un tipo scorbutico e cupo, che trascorse ben 19 anni a esplorare l’Oriente, diventando uno dei primi cittadini inglesi a parlare correttamente il cinese, viaggiando sotto mentite spoglie in regioni vietate agli occidentali e riuscendo a trafugare, per conto della East India Company inglese, circa 25mila piantine di tè (Camellia sinensis), 15mila plantule e otto coltivatori cinesi sulle alture di Ceylon, grazie ai quali gli inglesi poterono introdurre la coltivazione del tè in India, dove diventò, per la fine del secolo, il principale prodotto di esportazione. A Fortune si devono inoltre azalee, Osmanthus fortunei, Primula japonica, Forsythia suspensa, Viburnum tomentosum e altri viburni, la weigela, alcuni caprifogli fra cui Lonicera fragrantissima, glicini, magnolie fra cui Magnolia sieboldii, bambù, cornioli, canne, peonie, crisantemi, rododendri, Spiraea prunifolia, Jasminum nudiflorum, Euonymus fortunei, Hosta fortunei, Mahonia fortunei, Mahonia japonica, Anemone japonica, Dicentra spectabilis, Rosa fortuniana dalla quale si ottennero moltissimi ottimi ibridi, Saxifraga fortunei, Lilium autantum, la prima pianta maschio di Aucuba japonica Piante che hanno contribuito a innescare la passione nei giardini vittoriani per tutto ciò che è giapponese.

John Gould Veitch a sua volta raccoglie conifere, fra cui Abies veitchii, magnolie, Ampelopsis veitchii (ora Parthenocissus, tricuspidata) e molto altro, per poi, nel 1862 proseguire per le Filippine alla ricerca di orchidee.

C’è da dire però, le piante raccolte da Veitch e Fortune provenivano per la maggior parte da venditori ambulanti, dai vivai e dai giardini delle taverne, dei templi e delle case private, perché preferiscono non uscire dalle aree concesse agli stranieri, dove non c’era alcuna garanzia per la loro sicurezza personale. In quel periodo i samurai, infatti, indifferenti ai trattati di pace e ai patti stipulati dalle autorità, facevano letteralmente a pezzi tutti gli stranieri che capitavano a tiro.

Altri cacciatori botanici cominciarono a inviare a casa nuove specie rustiche dalla Cina occidentale, selvaggia, pericolosa, percorsa da razziatori e guerre civili, in un periodo in cui c’era una crescente richiesta di dipinti, tessuti e porcellane cinesi. Fra questi, l’abate John Pierre Armand David, zoologo e botanico, che vi venne mandato, nel 1862, in qualità di insegnante in una scuola di Pechino: a lui dobbiamo la scoperta di Davidia involucrata, Buddleia davidii, Clematis armandii, Clematis davidiana, Astilbe davidii, per un totale di 250 nuove piante. Dopo di lui, un altro missionario francese in Cina e Indocina, Jean Marie Delavay, introdusse in patria tante specie nuove, fra cui Deutzia purpurascens, Paeonia lutea, rododendri, Primula malacoides, Thalictrum delavayi, Meconopsis betonicifolia. Da lì a poco il territorio viene esplorato e purtroppo anche saccheggiate da altri cacciatori botanici, come George Forrest, Reginald Farrer William Purdom, Frank Meyer, Joseph Rock ed Ernest H. Wison.

Nel 1892, il professore americano Charles Sargent ebbe il permesso di entrare in Giappone, dove raccolse molti meli e ciliegi da fiore, azalee, aceri, magnolie, coste, gigli e ortensie.

Fra Ottocento e Novecento: ancora piante dall’Asia

Il primo dei cacciatori moderni fu Sir H. Ernest Henry Wilson (1876-1930), soprannominato, non a caso, Wilson il Cinese. Giovane giardiniere del Giardino Botanico di Birmingham, divenne un raccoglitore di piante part-time per i Kew Gardens. Fra il 1881 e il 1900 ha inviato dalla Cina oltre 15mila specie essiccate, di 500 nuove, oltre a bulbi, semi e piante. Fu perfino imprigionato come spia durante la spedizione alla ricerca dell’albero dei fazzoletti (Davidia involucrata). Tornò in patria per la prima volta nel 1902, per ripartire l’anno dopo, per conto dei vivai Veicht che gli aveva commissionato esemplari del papavero blu himalayano (Meconopsis integrifolia). Wilson introdusse in Inghilterra molte piante vive precedentemente inviate come seme o secche in particolare dal dottor Augustine Henry: Clematis montana rubens, Clematis armandii, Actinidia chinensis, Lonicera pileata, Kolkwitzia amabilis, Rodgersia pinnata, Corylopsis veitchiana, Acer davidii, Schizophragma integrifolia. A lui dobbiamo inoltre Paeonia veitchii, Ribes laurifolium, Prunus mira, Hydrangea sargentiana, molte primule, Prunus sorgenti, Ceratostygma willmottiana, Sorbaria arborea, Lonicera nitida, giglio reale cinese, Lilium regale, molto richiesto, di cui mandò in patria 6-7mila bulbi nel terzo viaggio del 1909. Dopo le prime due spedizioni in Cina per conto dei vivai Veitch, Wilson si legò al professor Sargent e all’Arnold Arboretum della Harvard University a Boston. Fu una mossa saggia perché nel frattempo Veicht stava perdendo prestigio e i suoi direttori erano dell’opinione che ormai si fosse già raccolto dalla Cina ciò che valeva la pena introdurre in coltivazione, per cui Wilson aveva ormai le mani legate. Andò anche in Giappone, nel 1914, alla ricerca dei migliori ciliegi giapponesi, e nel 1917 di nuovo in Giappone e Corea, da cui tornò con 250 nuove azalee e Viburnum carlesii. In seguito, divenne prima vicedirettore e poi direttore, dopo l’amico Sargent, dell’Arnold Arboretum di Boston.

Intanto, Sir William Hooker (1817-1911), si reca in Antartide, Tibet e Himalaya, dove scoprì 28 specie di rododendri, magnolie, piante erbacee come papaveri, primule, giglio, per un totale di oltre 2mila specie. Chirurgo di bordo e botanico nel corso dell’ultima spedizione per nave a vela nelle acque antartiche, agli ordini del capitano James Ross, percorse a piedi le montagne himalayane, raccogliendo moltissimi semi: a lui si devono le scoperte delle piante del grande sistema montuoso e la nascita della passione vittoriana per i rododendri. Suppergiù nel stesso periodo, Reginald Farrer (1880-1920), di buona famiglia, molto amante del giardino roccioso e delle piante alpine, va nelle Alpi (nel 1903), dove individua e raccoglie moltissime specie, poi, nel 1914, si reca in Cina, da cui riporta Viburnum fragans (in seguito rinominato V. farreri), la stella alpina Leontopodium haplopylloides, Potentilla fruticosa, Meconopsis quintuplinervia, Gentiana farreri e altro ancora. George Forrest (1873-1932), dal 1902 responsabile dell’erbario di Giardino Botanico di Edimburgo, viene raccomandato dalla direzione, a un grande appassionato e naturalista, prima broker del cotone, di Liverpool, Arthur K. Bulley. Quest’ultimo lo spedì a sue spese a raccogliere nuove piante in Cina; fra il 1904 e il 1932 Forrest compì sette viaggi molto produttivi: a lui dobbiamo Pieris forrestii, Gentiana sino-ornata, Syringa yunnanensis, Trollius yunnanensis, Meconopis delavavyi, molte primule fra cui Primula vialii e P. florinda, diversi rododendri, Jasminum polyanthum, Camellia saluensis e molto altro ancora.

Concludiamo con l’unica cacciatrice: Ynés Mexía (1870-1938), botanica statunitense naturalizzata messicana, nota per la sua collezione di specie di piante provenienti da aree del Messico e del Sud America e per la scoperta di un nuovo genere di Compositae. Nata negli Stati Uniti da un diplomatico messicano e una statunitense, ebbe una vita abbastanza complicata a cavallo tra i due Paesi. In crisi per la separazione dal secondo marito, che prima del divorzio l'aveva anche rovinata economicamente, si era trasferita a San Francisco. Afflitta, per un decennio, da una grave forma di depressione, aveva superato già la cinquantina, quando, nel 1921, grazie alle piante ritrova l'amore per la vita e diventa una raccoglitrice formidabile. Nel breve arco di tredici anni - tanto durò la sua carriera - percorse le America dall'Alaska alla Terra del Fuoco, raccolse oltre 145.000 esemplari, scoprì 500 nuove specie e un nuovo genere (che le è stato dedicato con il nome Mexianthus); coraggiosa, tenace, caparbia, preferiva mete non battute, viaggiando per lo più da sola in modo spartano.

1 John Gerald (1545-1612) botanico inglese, nel 1597 pubblicò The Herball, il più importante e diffuso testo di botanica in inglese per tutto il 1600.