Questa intervista sulla tecnica della Scacchiera presenta un metodo di indagine e gioco (play) terapeutico che negli ultimi anni rientra nel repertorio di psicodrammatisti e analisti che nel loro lavoro amano l’incontro tra immagine e parola.

Sostanzialmente si tratta di disporre su una scacchiera un certo numero di action figures e di personaggi del nostro inconscio collettivo per poi fotografare il quadro e operare una serie di cambiamenti.

Ottavio Rosati l’ha inventata negli anni Ottanta e l’ha applicata ai gruppi alle Cortona weeks di Pier Luigi Luisi e in vari psicodrammi e sociodrammi in Italia e all’estero come Il Piombo e l’Oro del Perdono o il bibliodramma The struggle for Jacob.

La tecnica della scacchiera nasce come una forma di immaginazione attiva di matrice junghiana. In seguito qualcuno l’ha definita uno psicodramma da tavolo che fa luce sulle dimensioni gruppali e sistemiche di un contesto familiare o di lavoro.

La Scacchiera è una tecnica che hai inventato nel 1986. Il paziente rappresenta su di una scacchiera, appunto, i suoi sogni, vissuti e rapporti attraverso l’utilizzo di pupazzetti e action figures presenti nello studio. Nella tua collezione ne sono presenti addirittura 4000, ma il setting può esistere anche avendone a disposizione un centinaio.

Se è per questo ne vanno bene anche dieci.

Certo, ma più possibilità di scelta abbiamo, meglio funziona la Scacchiera. Da dove ti è venuta l’idea?

L’immagine in sé e per sé, quella dell’alternanza di quadrati chiari e scuri, nasce da una torta alle more che l’americanista Fernanda Pivano ordinò alla pasticceria austriaca di Roma in onore di Moreno, l’inventore dello Psicodramma.

Cosa c’entra la Pivano con la torta alle more e la Scacchiera?

Al di là del gioco di parole della “Torta morena”, l’immagine in quei giorni nacque dalla presentazione in Italia del Manuale di Psicodramma di Jacob Levi Moreno. A Milano lo presentammo al Piccolo Teatro di via Ravello con Luigi Zoja, Roberto de Monticelli (il critico teatrale del Corriere della Sera) e Alessandro Cecchi Paone che improvvisò un suo psicodramma sul palcoscenico. In quell’occasione, la Pivano raccontò di un suo viaggio al Beacon Institute di New York dove aveva intervistato Zerka Moreno per il Corriere della Sera. Questo è il clima culturale in cui prese piede la Scacchiera. Dal punto di vista delle emozioni…

Cosa c’entrano le emozioni?

C’entrano per chi crede, come me, nel concetto di “malattia creativa” presentata da Ellenberger nel suo libro La scoperta dell’inconscio (1970) su cui Aldo Carotenuto, il mio primo analista didatta, richiamava continuamente l’attenzione: nessuna scoperta viene fatta per ragioni teoriche e razionali. La storia della psicanalisi e in genere della psicoterapia è tutta costellata da turning point, momenti di crisi personale come quella che Jung visse con la sua celebre Sabine Spielrein e che in modo tempestoso e quasi tragico portò alla scoperta del transfert. Dietro ogni modello teorico c’è una passione o un complesso da risolvere.

Non sono completamente d’accordo, però capisco l’importanza del modello di Ellenberger per alcuni di noi che fanno questo lavoro. Ci sono state numerose scoperte avvenute in clima non turbolento come quello Jung-Freud-Spielrein ed altrettanto valide. Per quel che riguarda la Scacchiera, qual era la turbativa che ti spinse a crearla?

Un’insofferenza crescente per il tradizionale dialogo psicanalitico che aveva raggiunto livelli di nausea. Fantasticavo di cambiare lavoro. Ascoltare e interpretare e commentare a parole in alcuni casi, mi era diventato inutile e impossibile. Mi si chiudevano gli occhi durante le sedute e vivevo dei momenti di imbarazzo e disperazione per la mancanza di comunicazione e di significato che aveva riempito il setting analitico. Non appena introdussi con esitazione e grandi sensi di colpa la Scacchiera corredata di giocattoli, proponendo al paziente di tradurre in pupazzetti…

Immagini…

No no, ci tengo a usare questa parola, anziché quella tradizionale di “immagini” anche perché mi permette di pensare al pitch “pazzi per i pupazzi”. La disperazione e la nausea sparirono come per incanto. Voglio dire che, affiancandola al gioco, la parola ritrovava la sua dignità, la sua importanza e il suo splendore ermeneutico e comunicativo.

Che tipo di formazione hai?

Sono in analisi da quando ho 18 anni. I miei analisti sono stati Aldo Carotenuto, Paolo Aite, Mario Trevi, Claudio Modigliani, Nadia Neri e Stefano Carta.

Non sono troppi?

Non sono tutti. Ho omesso quelli come i Lemoine e Zerka Moreno con cui ho studiato psicodramma. Più che troppi sono tanti. Segno che ne ho avuto bisogno. Sono nato in una famiglia complicata e sono complicato io stesso. E poi sono curioso.

Come l’hanno presa i tuoi colleghi più “tradizionalisti”?

Quelli vicino a me, bene. Gli altri ignorano me come io ignoro loro. Però lentamente la Scacchiera sta prendendo importanza un po’ dappertutto. Anche perché nel mondo della psicanalisi junghiana esiste dagli anni ’50 un approccio chiamato “SandBox Therapy” ideato da Dora Kalff. Spazi di gioco con morbidi pupazzi di stoffa sono fondamentali persino alla Tavistock Clinic che è il Tempio dell’ortodossia psicoanalitica.

Quali sono le differenze fra la Scacchiera e la SandBox Therapy?

La Scacchiera è meno morbida e più teatrale. Ci si muove sopra per ascisse e ordinate. Secondo me è più maschile della casetta di zinco della Kalff che è piena di sabbia modellabile con l’acqua. Nella Scacchiera trovano posto solo personaggi e elementi modulari di legno simili ai praticabili del teatro. Non ho mai usato oggetti della natura come conchiglie o licheni o sassi. Ma qualche mio allievo lo fa. Ciascuno a suo modo.

E i pazienti?

Bene anche se emerse subito che c’era una percentuale di persone che erano più o meno impaurite dalla possibilità di inscenare un gioco di personaggi sulla Scacchiera. Cosa che naturalmente mi sembrò una conferma del suo valore ermeneutico. Ricordo, per esempio, un paziente (magistrato di altissimo livello) che era paralizzato all’idea di dover usare le mani e di scegliere delle figure da repertorio che inizialmente era fatto solo di animali. A parte, un fantasma bianco con tanto di lenzuolo e catena nera.

La versione adulta e terrificante di Casper!

Sì infatti. Il fantasma mi era stato regalato dalla Pivano alla quale la mia idea era piaciuta: la figura conteneva in sé la dialettica bianco/nero della Scacchiera. Alcuni pazienti provano una vera gioia nello scegliere e assortire i pupazzetti. Altri sono molto timidi e tenderebbero ad accontentarsi di quelli che sono poggiati sul tavolino accanto alle tre scacchiere vuote. Anche questo è molto significativo.

È evidente che questi pazienti, così come nella loro vita di tutti i giorni, non riescono a scegliere persone nuove con cui relazionarsi. Anche io utilizzo la Scacchiera e mi hai ricordato di una paziente, un’illustratrice molto in gamba, che non aveva nessuna difficoltà a comporre un quadro con i pupazzetti ma anzi, faceva fatica a non farlo. Era quello il suo modo di esprimersi per farsi comprendere.

Infatti ricordo uno studente di psicologia piuttosto alto che era in piedi a fianco di un mobiletto con le maschere della commedia dell’arte, vari Totò e Pulcinella, a cinque centimetri dai suoi occhi, che mi diceva “ci vorrebbe qualche immagine teatrale. Ma non ne vedo”.

Tornando al tema principale, quali sono gli elementi più importanti da osservare in una scacchiera fatta da un paziente?

Prima di tutto la struttura che esprime l’articolazione o la frammentazione degli oggetti interni emersi dall’inconscio. Un altro elemento è la bellezza.

Cioè?

Il respiro interno dell’immagine, il dialogo tra i suoi componenti, l’imprevedibilità degli accostamenti e la tensione verso la lettura di chi osserva. La bellezza è la voglia di comunicare, mentre la bruttezza sta nella contrazione e nell’avarizia di quanto l’autore mette insieme sulla Scacchiera. Altri elementi sono la forza che emana dalla collocazione, la capacità di collegare personaggi di natura diversissima come, ad esempio, una figura di santo e un personaggio dei fumetti. Una dimensione assai significativa è il gioco di sguardi e di reciprocità tra le varie figure. Qualcuno, purtroppo, affianca gli oggetti l’uno all’altro come su un espositore senza che si guardino o che si rispecchino a vicenda. Qualcun altro, per sua fortuna, crea delle vere e proprie coreografie. Per certi versi la lettura di una Scacchiera ricorda quella di una fotografia di famiglia nell’approccio chiamato “foto analisi”: ci sono famiglie dove nessuno guarda nessuno, famiglie che privilegiano i contatti dei genitori con i figli ma trascurano quello dei genitori fra di loro. L’esperienza che un analista fa nell’analizzare le fotografie torna molto comoda nella lettura di una Scacchiera, ma naturalmente è di grande aiuto anche la conoscenza della storia dell’arte, del cinema, dell’architettura e infine del balletto.

Come mai non hai ancora pubblicato il tuo libro sulla Scacchiera che scrivi da anni?

Ho paura di restarne intrappolato. Di passare il resto della mia vita a fare consulenze e supervisioni. Lo farò subito dopo aver pubblicato la mia raccolta di racconti Le Bimbe Atomiche e aver realizzato, dopo tanti cortometraggi, documentari e trasmissioni televisive, il mio primo film di fiction. Non voglio diventare un saggista.

Comunque hai depositato il marchio e hai pubblicato diversi articoli.

Questo sì. Naturalmente.

Ci sono controindicazioni all’uso della Scacchiera?

Sì perché è un metodo molto potente che in mano a persone immature, non consapevoli e non analizzate, può produrre danni. Pensa a quello che è successo con le costellazioni familiari di Hellinger. Gli operatori della Scacchiera dovrebbero conoscere il formidabile repertorio di raccomandazioni morali e culturali che Alejandro Jodorowsky ha premesso al suo nuovo libro sulla Psicomagia. Prima di tutto, nessuno dovrebbe fare un utilizzo terapeutico della Scacchiera senza aver studiato Psicologia ed aver fatto una buona analisi. Tanto più che nemmeno questi due criteri di per sé stessi bastano a garantirci il meglio. Figuriamoci la loro assenza.

Cosa c’entra la Psicomagia di Jodorowsky con la Scacchiera?

Sono due approcci diversi che contengono alcuni elementi comuni. Il gioco, il contatto, la creazione di immagini. In alcuni casi, la Scacchiera diventa un formidabile strumento di quel metodo che Jung chiamava “immaginazione attiva”, una tecnica approfondita in modo meraviglioso da Marie Louise von Franz. Sto preparando per la rivista Studi Junghiani un articolo su questo tema. La persona che applica a sé stesso la Scacchiera, come nella metodologia di Jung, ha la possibilità di creare una serie di quadri plastici che sono modificabili di giorno in giorno dopo essere stati fotografati e conservati in un dossier.

Vuoi dire che è molto più facile modificare una scacchiera che un disegno complesso e articolato come quelli che Jung ha realizzato per il Libro Rosso?

Proprio così. Quando uso la Scacchiera per me stesso cerco di approfondire la conoscenza di un complesso e di superare i suoi limiti. Qualche volta un’immagine inseguita per ore improvvisamente non ha più energia, non produce più senso perché la sua esperienza paradossalmente ha scaricato l’immagine alla quale sono arrivato. Il traguardo diventa una nuova partenza. Ci vuole coraggio a demolire qualcosa che ha richiesto ore o giorni di elaborazione. Ci vuole onestà nell’ammettere che non sempre la prima o la seconda ristrutturazione bastano ai nostri scopi. La natura plastica e scenografica della Scacchiera permette una trasformazione continua. Un quadro può essere completamente cambiato di senso con l’eliminazione di un oggetto o il capovolgimento di due confini. È come scrivere un file al computer al posto di una pagina battuta a macchina o al fatto di rigirare una scena di un film in digitale anziché su pellicola.

Come clinico ho anche notato che il paziente ricava una certa storicizzazione del suo percorso osservando la sequenza di fotografie di varie sedute fatte con la Scacchiera.

Infatti il potere espressivo di una Scacchiera è immediatamente comunicabile a terze o quarte persone o ad un gruppo con una velocità e una incisività che non sono paragonabili a quelle del riassunto verbale di una seduta di psicoterapia o di un gioco di psicodramma. A proposito di psicodramma, facciamo un’inversione di ruolo. Ora faccio io una domanda a te: qual è la caratteristica della Scacchiera nel tuo lavoro con i pazienti che ti rende felice e ti dà più soddisfazione?

Mi diverte molto vedere i pazienti che si divertono a comporre la Scacchiera e, anche se a volte partono da uno stato d’animo molto tenebroso o triste, giocando a rappresentare la loro psiche e con il mio aiuto, si sentono meglio. Infatti possiamo scherzare e prendere con leggerezza, in alcuni momenti, dei nuclei complessuali che vengono ridimensionati grazie a questo potente strumento. Sono felice quando rendo i miei pazienti sono felici.

Dipende dal fatto che tu fornisci la materia oltre che la mente?

Insieme al paziente creiamo uno spazio di gioco in cui entrambi siamo attivi e, passami il termine, reciproci. Come accadeva quando ero piccolo nel gioco con mia madre: alla Dolto sarebbe molto piaciuta.

Cioè? È evidente che tu ti porti dentro una madre più che “sufficientemente buona”.

Mia madre mi coinvolgeva nelle sue attività per aiutarla e farle insieme. Inoltre, spesso creava momenti di intesa in cui suggeriva cose del tipo: “Ma che ne dici se ci andassimo a prendere un gelato?”. Partecipava spesso ai giochi tra me e i miei fratelli con i nostri giocattoli.

Quindi non vi faceva giocare tra voi per restare in pace?

Proprio così. Lei si divertiva a stare con noi e noi sentivamo che lei era felice nel farlo. Ma adesso torniamo a te e alla Scacchiera. A proposito di gioco, hai qualche caso memorabile breve da citare legato alla Scacchiera?

I casi sono gelosissimi. Se ne citassi uno in particolare, gli altri mi ammazzerebbero per invidia. Faccio prima a dirti quello più recente. Ma sia chiaro che gli altri, quelli che ho dimenticato, sono cento volte più belli. Dunque, si tratta di una giovane donna, proveniente dalla Sardegna, che comprime la sua notevole bellezza sotto vestiti degni di una suora. Viene alla Scuola di specializzazione come tirocinante ed è stupita della velocità mercuriale di giochi e scambi con cui gli allievi approfondiscono la conoscenza della loro psiche. In questo clima festoso e qualche volta aggressivo capita spesso che l’umorismo delle interpretazioni sia spietato ma produca senso. Ad un certo punto la donna che chiamerò con un nome falso, Filippa, incomincia a piangere dicendo che lei è tanto sensibile e ha tanto bisogno di empatia. Emerge che la dittatura delle sue lacrime è una forma di aggressione passiva che cancella tutto e tutti e che la taglia fuori da qualunque relazione e scambio con il prossimo. Filippa non ha vita erotica. Nel finale dello psicodramma la invito a cercare di disporre sulla Scacchiera il suo rapporto con la madre e lei prende due blocchetti di cristallo simili al ghiaccio. Non potrebbe essere più chiara di così. Le chiedo con cosa potremmo ristrutturare la situazione e il gruppo le suggerisce di scegliere una madre buona da un armadietto pieno zeppo di figure femminili di ogni tempo e luogo. Purtroppo Filippa stenta a trovare una madre buona. Insisto. Finalmente dice “Eccola” e (incredibile ma vero!) prende la Regina Grimilde, la matrigna di Biancaneve nel film Disney.

Oltretutto è un personaggio popolare e riconoscibile come negativo anche dai colori, competenze a parte!

Infatti. Con pazienza e tenerezza le ragazze del gruppo la aiutano a trovare qualcosa di buono e devo dire che solo al ricordo mi sento commosso. Così, lentamente, tira fuori dagli armadietti una serie di figure: Nonna Papera con un dolce in mano, Jane di Tarzan, una Winx, Clarabella, Minnie, persino una donnina coniglietto di Playboy e le accumula su un cuscino. Quando siamo arrivati ad un repertorio di trenta pezzi circa, mi domando come posso andare avanti. E qui il Teatro della Spontaneità si collega alla Scacchiera. La invito a infilare questi personaggi nel décolleté del suo vestito. Lo posso fare perché il clima è estremamente contenitivo e siamo otto persone nella stanza. In un primo momento, Filippa inorridisce e scuote la testa. Dopo due minuti di patteggiamento mi rendo conto che siamo di fronte ad una porta creata da anni di traumi cumulativi. Quando finalmente cede e fa entrare sulla pelle queste figure femminili vitali, il cubetto di ghiaccio si scioglie e tutto in lei si trasforma, dalla luce negli occhi fino al colore della pelle e il respiro. Alla fine Filippa dirà che è stata un’esperienza bellissima che riteneva impossibile. Il suo corpo era diventato la Scacchiera che ospitava il femminile proibito dalla madre. Vedi un rapporto fra Scacchiera e Psicodramma?

Sicuramente nella spontaneità della scelta dei pupazzetti come per gli ego ausiliari del gruppo per interpretare i personaggi vecchi e nuovi della paziente. La presenza del gruppo serve a garantire il contenimento e anche una risposta in forma di feedback rispetto ai personaggi della Scacchiera. Nel setting a due la tua soluzione con il décolleté della paziente non sarebbe stata possibile.

Inopportuna, pericolosa e di cattivo gusto. Ma non nel gruppo, come dici tu.

So che in alcune situazioni hai trasportato tutto l’armamentario della Scacchiera sul setting di un Sociodramma.

La prima volta l’abbiamo fatto per il Piombo e l’Oro del Perdono col Parent Circle di Tel-Aviv, un gruppo di israeliani e palestinesi che si incontrano nel segno della pace per elaborare il lutto di persone care morte in guerra o negli attentati come figli, fratelli, coniugi. In quell’occasione abbiamo portato 500 statuine sistemandole su dei tavoli in una veranda circondata da tende ombreggianti. In realtà non c’è la scacchiera ma un vaso di marmo bianco pieno d’acqua, disegnato da Paolo Tommasi, con la quale all’inizio dell’incontro lavavo i piedi dei protagonisti. I personaggi erano dislocati per terra attorno a questa vasca e alcuni momenti di rabbia, disperazione e pathos potevano trovare molto di più che un’espressione puramente verbale. Per la prima volta ho visto le persone scagliare per terra con rabbia immagini di ragni e serpi che rappresentavano la guerra.

È complicato gestire una “compagnia” così numerosa di personaggi che tenderanno, tra l’altro, anche a riempirsi di polvere o a rompersi?

Sì, occorre creare un vero e proprio pronto soccorso di un “centro traumatologico” per riparare continuamente teste, braccia e gambe. Inoltre le statuine devono essere lavate e spolverate spesso soprattutto alla sede romana di Plays che è circondata da un giardino e che ospita due cocker spaniel. Le statuine inoltre, dopo dei giochi con cariche psichiche di morte e destrudo, devono essere ricaricate di energia positiva esponendole per qualche ora alla luce del sole. Non credo che sia solo una metafora. Non so spiegare il perché in termini scientifici, ma la Scacchiera è una macchina per concretizzare l’immaginario e a volte gronda di entropia. Bisogna in qualche modo ripulirla. Disinfettarla.

Marie Louise Von Franz, la famosa allieva di Jung, ha scritto Psiche e Materia nel 1988 in cui sostiene la possibile esistenza di un corpo intermedio o sottile pensabile come “psicoide”. E a questo che ti riferisci?

In un certo senso sì. Secondo Jung gli archetipi dell’inconscio collettivo sembrano operare anche nella materia. Io, per esempio, ho avuto l’esperienza di una sincronicità in cui lo scoppio di un incendio sembrava un’espressione psichica profonda. Voglio dire che la Scacchiera è uno spazio rassicurante perché conferma la possibilità di un unus mundus, cioè di un’unità ultima di energia fisica e psichica. Nella mia vita le esperienze psichiche più significative e vitali non sono mai state intellettuali e verbali ma creative, erotiche e sincronistiche. Quasi sempre legate alla creazione di eventi teatrali o cinematografici, più che di conferenze o discorsi privi della dimensione del gioco. Mi sembra limitativo pensare solo con i pensieri. Forse questa tradizione deriva dalla diffidenza di marca cattolica per ciò che è materiale e corporeo rispetto alla superiorità dello spirito disincarnato. Naturalmente questa opposizione è superata nell’arte ma ne resta traccia nella vecchia psicanalisi di orientamento dialogico. Quando è investita da psiche, la materia è in grado di dialogare con la psiche e di moltiplicarne i valori e la ricerca di significato.

Puoi fare un esempio?

Un esempio di come la verbalizzazione possa confondere le idee, anziché chiarirle, lo prendo da una scacchiera che ad un certo punto trasformai in un vero e proprio hortus conclusus

Intendi il giardino chiuso medievale che si trovava nei monasteri e nei conventi?

Esattamente. In quel caso, ad un certo punto, vidi una farfalla in giardino e pensai di trasferire i personaggi della Scacchiera nel giardino fuori dalla porta d’ingresso dello studio che è davvero un hortus conclusus affollato di molte piante, silenzioso e protetto. Quasi magico. La paziente Concetta, era un’infermiera di mezza età che era rimasta per anni intrappolata dalla relazione fusionale e segretamente tirannica con una madre contadina, quasi analfabeta, di un paese della Basilicata. Una madre senza femminilità che portava i pantaloni in casa e che aveva sempre considerato la figlia un’estensione di se stessa. Come nella tipologia de La Madre Morta di André Green, questa madre lavoratrice, rassegnata e anedonica…

Cioè incapace di piacere? Immagino anche alessitimica, cioè con molta difficoltà ad esprimere i propri sentimenti…

Proprio così. Non aveva mai immaginato che la figlia potesse fare qualcosa di diverso che occuparsi di lei. In Puglia si dice che queste figlie sono scelte sin da bambine perché da grandi “porteranno la madre al sole”, in altre parole, ne diventeranno la badante senza mettere su una propria famiglia. Dopo diversi mesi di analisi con la Scacchiera, la paziente era abbastanza consapevole dell’imbroglio in cui era stata cresciuta. Non si sentiva più privilegiata e piena di nostalgia. Aveva smesso di considerare la madre una divinità e, al tempo stesso, una bambina indifesa e sofferente (la bambina di Concetta) di cui doveva essere l’unica consolazione, persino dopo la morte. Il giorno in cui vidi la farfalla, Concetta mi disse che immaginava di essere stata innestata all’albero della madre come si fa per certe piante da frutto che devono essere fortificate. E ne era molto orgogliosa. Aveva espresso questo fantasma appoggiando in piano sulla Scacchiera una dozzina di bacchette di legno colorate poste a creare una specie di ramificazione. Era chiaro però che questa scacchiera, piatta, schematica e didascalica, non spiegava assolutamente nulla e che forse manteneva in piedi un equivoco. Uscimmo fuori nel giardino e la invitai a scegliere un albero. Lei prese un olivo in vaso alto quasi due metri, poi staccò un rametto di ligustro, lo appoggiò a metà del tronco e disse: “Ecco l’innesto. Quello che mi lega a mia madre”. Poi le si illuminarono gli occhi e aggiunse: “In realtà ho capito che l’albero non è mia madre. L’albero sono io. Mia madre è l’innesto”. A quel punto, la invitai a scegliere nel giardino tre rametti di piante diverse e lei prese un oleandro, una felce e una rosa. Così appoggiandole al tronco divenne chiaro che l’imbroglio di sua madre, favorito dalle sue stesse fantasie, era l’illusione di confondere come innesto quello che era un legame incestuoso di tipo uroborico, cioè endogamico. Se appoggiavo, in questa mega scacchiera vivente, i rami delle altre piante sul tronco simboleggiavo il possibile matrimonio con un ramo esogamico che proveniva da un’altra pianta. Concetta si rese conto che la madre-ulivo era la sua stessa pianta e che quindi non aveva senso parlare di “innesto” di un ulivo con un suo stesso ramo ma solo di “confusione”. L’intera esperienza durò cinque-sei minuti ma fu illuminante. Faceva pulizia. Credo che in questo caso il passaggio dalle parole alla Scacchiera tradizionale fosse stato sostituito da un passaggio ulteriore, quello dal legno morto della Scacchiera al legno vivo delle piante. Convenimmo entrambi che era stata comunque di una Scacchiera e non una semplice seduta.

Nel corso degli anni come si è evoluta la Scacchiera?

Il primissimo cambiamento fu il passaggio da un repertorio esclusivamente animale ad un repertorio di personaggi di ogni genere e fu pressoché immediato. Il secondo cambiamento consistette nell’aggiungere dei moduli di legno simili ai praticabili di un palcoscenico teatrale: così diventava possibile articolare la Scacchiera anche in direzione verticale. Il terzo cambiamento fu nell’aggiungere delle luci e dei puntatori laser oltre che una serie di tavoli laterali con altre scacchiere.

Le altre scacchiere in effetti mi permettono di affiancare alla ricostruzione dell’atomo sociale del paziente che ho in seduta, quella dell’atomo sociale del suo partner. Questo è il passaggio da un lavoro psicanalitico individuale ad un lavoro che è anche interpersonale e sistemico, cioè nella tradizione di Moreno.

Infatti questo forse è stato il cambiamento più importante di tutti. Un’altra tappa fu l’uso di commenti musicali facilitati dall’avvento degli smartphone. Con quello dopo incominciai a proporre di fotografare le scacchiere in serie per poter studiare la loro evoluzione. Poi ho cominciato a fare dei video. Anzi, a farli fare al paziente.

Ci sono molti colleghi e tuoi allievi che utilizzano sia la scacchiera vera e propria sia tecniche molto simili. Che ne pensi?

Innanzitutto vale per la Scacchiera quello che ho già detto per lo Psicodramma: lo Psicodramma non esiste, esistono gli psicodrammatisti. Sono contento e anche curioso del fatto che i miei colleghi o allievi portano avanti il metodo ciascuno a suo modo. Per esempio in Toscana, Luciana Santioli è stata la prima a creare uno spazio di Scacchiera all’interno del servizio pubblico per la prevenzione delle tossicodipendenze. Inoltre, ieri un’altra mia allieva che sta per concludere la Scuola di specializzazione mi parlava con entusiasmo di una combinazione di Scacchiera e realtà virtuale che permetteva di entrare dentro i labirinti della scacchiera guardandoli a livello dei pupazzetti. Temo di non aver capito perfettamente ma mi è sembrato ovvio che questa è la strada giusta. Una strada di ricerche basate sull’entusiasmo in cui ognuno articola il metodo secondo i suoi doni e la sua tipologia in senso junghiano. Per esempio, ti conosco da anni e so nella tua tipologia, l’empatia e il sentimento sono molto importanti ma è pure importante la tua conoscenza dei personaggi desunti dal cinema di animazione e fumetti, che è almeno il doppio di quella che ho io. Così la Scacchiera è un sistema di gioco aperto che consente ad ogni personalità di convogliare nell’incontro col paziente il meglio del suo universo fino al punto che possiamo parlare di una psicoterapia che diventa un incontro fra compagni di gioco di cui uno dei due, naturalmente, la sa un po’ più lunga in fatto di psiche, strutture dell’inconscio e pupazzetti.