Quando le attività antropiche perseguono come unico scopo lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, per ricavarne il massimo profitto economico, si trasformano in un minaccioso strumento di destabilizzazione ambientale, in grado di alterare i delicati equilibri che regolano la vita su questo pianeta.

Sono soprattutto le produzioni industriali su vasta scala e l’espansione urbana, con il conseguente consumo irreversibile di suolo, a incidere pesantemente sulla qualità del territorio.

Le conseguenze si materializzano con estrema rapidità: gli effetti dell’inquinamento e i danni provocati dai cambiamenti climatici sono dei fattori capaci di condizionare oggi e nel futuro, le realtà sociali ed economiche di intere nazioni.

Dall’accurata analisi di specifici indicatori biologici, è emerso che dal 1970 fino ad oggi le attività umane hanno interferito sul naturale funzionamento degli ecosistemi e sullo stato di conservazione della biodiversità.

La pressione antropica ha influito in modo significativo sia sull’ambiente terrestre (75%) sia su quello marino (66%). A livello mondiale si è registrato un calo del 60% dei vertebrati e milioni di km quadrati di territorio sono stati sottratti all’ambiente naturale per essere messi al servizio dell’agricoltura e dell’allevamento zootecnico. La deforestazione della regione amazzonica è responsabile del 25% delle emissioni di anidride carbonica a livello planetario e a causa dell’effetto serra, la temperatura media globale è aumentata di 1,2 °C.

Esiste un sottile filo rosso che unisce in maniera indissolubile il destino dell’ambiente (e degli animali) a quello dell’umanità. Sono ormai numerosi i ricercatori che si applicano alla scienza in modo innovativo, ispirati da una concezione sistemica ed ecologica della vita, che ci porta a scoprire una realtà formata da un insieme di elementi interconnessi e dipendenti l’uno dall’altro.

La salute di una popolazione è strettamente legata allo stato di benessere del territorio in cui vive.

La recente emergenza sanitaria, legata alla pandemia causata dal Covid-19, offre un esempio concreto e drammaticamente attuale di questa complessa rete di fenomeni che opera a differenti livelli e in molteplici contesti.

La diversità biologica è un parametro strettamente legato alla diffusione delle malattie infettive, poiché numerosi animali, soprattutto insetti, uccelli e mammiferi, agiscono come vettori di agenti patogeni (virus, batteri e parassiti) pericolosi per l’uomo.

Se da una parte la diminuzione della biodiversità incide in maniera positiva, riducendo la quantità degli animali potenzialmente contagiosi, dall’altra contribuisce sia a ridurre il numero dei predatori utili sia a sostituire parte dei vettori tradizionali con altri ospiti intermedi, tra cui l’uomo; questo fenomeno incentiva la trasmissione (diretta o indiretta) di malattie per le quali ancora non esistono vaccini e adeguate terapie.

Inoltre, la distruzione e la frammentazione degli habitat naturali, spinge gli animali selvatici alla ricerca di nuovi spazi abitativi e quando le distanze con i centri urbani si riducono, aumenta il rischio di epidemie difficilmente controllabili e potenzialmente a rapida diffusione (pandemie).

Senza dimenticare che spesso le cause scatenanti di questi salti di specie (spillover) da parte di agenti patogeni (virus, batteri e parassiti), sono riconducibili all’utilizzo a scopo alimentare e medicinale di varie specie di animali selvatici, tra cui ragni, serpenti, uccelli, tartarughe, criceti, pipistrelli, zibetti, procioni, visoni, pangolini (piccoli mammiferi squamiformi, simili ai formichieri) e scimmie. Queste abitudini sono difficili da cambiare perché oltre a essere profondamente radicate nelle società tradizionali locali, sono fonte di un mercato redditizio che prospera a danno della fauna selvatica (sono circa settemila le specie cacciate di frodo ed esportate illegalmente).

Tra i vari microrganismi ospitati dagli animali, i coronavirus (CoV), chiamati così a causa della tipica forma a corona delle loro proteine superficiali (spike), sono identificati con le lettere dell’alfabeto greco “alfa”, “beta”, “gamma” e “delta”; gli alfa e i beta-coronavirus hanno particolare predilezione per i mammiferi, mentre I gamma e i delta-coronavirus sono più interessati all’avifauna.

Secondo alcune importanti ricerche epidemiologiche, i beta-coronavirus comunemente ospitati dai pangolini (sotto accusa è soprattutto il pangolino del Borneo, Manis javanica) e da alcune specie di pipistrelli, sono molti simili a quelli che infettano l’uomo (la loro affinità genetica si aggira intorno all’88%).

Nel caso del nuovo coronavirus Covid-19 (isolato nell’uomo per la prima volta alla fine del 2019), che in questo momento sta flagellando la popolazione mondiale, l’origine dell’infezione è probabilmente da ricercare nei pipistrelli (forse nella specie Rhinolophus affinis), ma ancora si cerca di capire se esiste un altro animale che possa aver agito da “amplificatore” per la trasmissione all’uomo.

Studi sulla passata epidemia di SARS, che ha interessato nel novembre del 2002 la provincia cinese di Guangdong, hanno permesso di individuare come fonte di contagio un mammifero arboricolo, chiamato la “civetta delle palme” (Paradoxurus hermaphroditus).

Per quanto riguarda la “sindrome respiratoria mediorientale” (MERS), causata da un coronavirus poco contagioso ma con un tasso di mortalità molto elevato, che nel 2012 ha interessato l’Egitto, l’Oman, il Qatar, l’Arabia Saudita e alcune regioni dell’Asia meridionale, l’untore di turno è stato identificato nel dromedario (Camelus dromedarius).

Anche la pericolosa encefalite scoppiata in Malesia nel 1998 ha trovato negli animali un valido strumento di contagio e diffusione; l’agente patogeno responsabile di questa particolare patologia è il virus Nipah (il nome trae ispirazione dal villaggio interessato dal primo focolaio dell’epidemia) strettamente associato ai chirotteri: in questo caso il focolaio ha interessato i maiali di alcuni allevamenti all’aperto, i quali si sono infettati attraverso le feci rilasciate dai pipistrelli che sostavano sugli alberi.

Per contrastare la diffusione di queste patologie infettive, è necessario intervenire preventivamente attuando delle politiche ambientali rivolte alla tutela degli ecosistemi e della loro biodiversità, adottando adeguate misure di igiene e di comportamento sociale, imponendo il divieto di consumo della carne di animali selvatici potenzialmente infetti (sebbene la pandemia di Covid sia ancora in corso, in molti Paesi asiatici si continuano a vendere animali vivi nei mercati all’aperto).

In alternativa, alcuni biologi hanno suggerito di mettere in pratica delle strategie di prevenzione, consistenti in campagne di immunizzazioni di massa che non riguardano l’uomo ma direttamente la fonte primaria di queste infezioni, cioè gli animali.

Tra le varie proposte al vaglio dei ricercatori vi è quella di impiegare dei vaccini auto-diffondenti, magari utilizzando virus ricombinati, resi innocui tramite tecniche d’ingegneria genetica. Per quanto riguarda i pipistrelli, tentativi sperimentali in questa direzione potrebbero essere fatti impiegando, ad esempio, un vaccino orale specifico per alcuni coronavirus da somministrare sotto forma di pomata, spalmata su alcuni esemplari catturati e poi reintrodotti nelle loro colonie di provenienza. La toelettatura di gruppo (grooming) faciliterebbe la diffusione del vaccino, in maniera tale da garantire un’immunità di gregge sufficiente a contrastare la potenziale diffusione di questi virus.

Tra le numerose patologie zoonotiche (cioè trasmesse da animali che svolgono il ruolo di ospiti intermedi) pericolose per l’uomo e diffuse in maniera globale o circoscritte a determinare regioni del mondo, si possono segnalare, ad esempio:

  • la malattia di Lyme: causata dal batterio Borrelia burgdorferi, si tramette con la puntura delle zecche;
  • la rabbia: provocata da un virus del genere Lyssavirus, colpisce il sistema nervoso e si diffonde attraverso animali selvatici e domestici infetti, come la volpe e il cane;
  • il carbonchio o antrace: provocato dal batterio Bacillus anthracis, si manifesta in animali erbivori selvatici e domestici, tra cui pecore, capre, cammelli, antilopi;
  • la brucellosi: causata da batteri appartenenti al genere Brucella, interessa vari animali, tra cui mucche, pecore, capre, maiali, cani e cervi;
  • la tubercolosi bovina: malattia batterica causata da Mycobacterium bovis e Mycobacterium caprae che colpisce principalmente i bovini, ma anche cinghiali e tassi; varie malattie virali trasmesse dalle zanzare, come la malaria, la febbre gialla o la febbre del Nilo occidentale;
  • la leishmaniosi canina e umana: causata da protozoi parassiti del genere Leishmania, è trasmessa da piccoli insetti chiamati pappataci o flebotomi;
  • la toxoplasmosi: diffusa dal Toxoplasma gondii, un parassita intracellulare che compie il suo ciclo vitale in vari animali, tra cui mammiferi, uccelli, rettili e molluschi;
  • la trichinellosi: interessa principalmente i suini, i cinghiali e i cavalli ed è provocata da vermi parassiti appartenenti al genere Trichinella, le cui larve si depositano nei muscoli, dove poi si incistano.

A completare questo quadro, non particolarmente ottimistico, si aggiunge l’allarme lanciato da alcuni scienziati, che disegnando uno scenario dai contorni apocalittici, ma potenzialmente reale, ci mettono in guardia dai rischi legati al riscaldamento climatico: lo scioglimento dei ghiacciai potrebbe favorire il rilascio di virus e batteri sconosciuti, dormienti da migliaia di anni e potenzialmente nocivi per l’essere umano.