Il Regimen Sanitatis Salernitanum dedica al mondo vegetale, ai “semplici” come venivano definite le erbe con funzione curativa, un’ampia sezione. Solo 18 sono le erbe terapeutiche, a cui è affidata la cura di ogni malattia: tra queste vi sono il croco e il porro. I versi che qui riportiamo sono rispettivamente tratti da un testo latino pubblicato a Francoforte nel 1557, un testo italiano pubblicato a Pavia nel 1835 e un altro del 2017.

A conclusione di questa nota viene presentata la traduzione del Commentario latino relativo alle erbe in oggetto e qualche considerazione per confrontare ciò che si credeva anticamente e ciò che oggi la botanica afferma.

Pepe nero. Cap. LXXV

De pipere

Quod piper est nigrum, non est dissolvere pigrum.
Phlegmata purgabit concoctricemque iuvabit.
Leucopiper stomacho prodest, tussisque dolorique.
Utile, praeveniet motum, febrisque rigorem.

Del pepe

Dissolvente non leggiero,
E non tardo è il pepe nero,
Che la flemma fa sparire,
Ed il cibo digerire.
Al ventriglio il pepe bianco,
E al dolor giova del fianco;
Della febbre presto e bene
Moti e brividi previene.

Grani di salute

Digerire la cena sarà una passeggiata
se di pepe nero l'avrai spolverata.
Anche il bianco è salutare:
gli stomaci infermi sa aiutare.
Il pepe cura tosse e dolori
e della febbre previene i tremori.

Il Commentario. Cap. LXXV

Il pepe possiede numerose proprietà. Tre sono quelle del pepe nero: innanzitutto è efficace nello sciogliere, ossia nel dissolvere, grazie alla sua natura fortemente calda e secca; quindi, purifica gli umori poiché estrae il flemma dall'interno del corpo e lo fa suppurare, allo stesso modo allontana il flemma che dallo stomaco si attacca al petto, riscaldandolo, indebolendolo e sciogliendolo; infine, aiuta la digestione e stimola l'appetito, e ciò si dice soprattutto del pepe lungo.

Cinque, invece, le proprietà del pepe bianco.

Primo, rafforza lo stomaco, come dimostrano Galeno (2., Canone, cap. 558) e Avicenna (Lib. 4., De sanitate tuenda). Secondo, giova alla tosse, in quanto la riscalda, scioglie ed elimina se originata da una sostanza flemmatica fredda. Terzo, come tutte le qualità di pepe, è adatto contro i dolori, in particolare quelli del petto poiché, grazie al suo potere riscaldante, allontana gli eccessi d'aria. Quarto, Avicenna dice che il pepe bianco e quello lungo vanno bene per i dolori pungenti al ventre se bevuti con miele e foglie fresche di alloro. Quinto è molto utile assumere il pepe bianco prima del moto della febbre, cioè l'accesso o parossismo, e questo nella febbre fredda, dal momento che il pepe in qualche modo riscalda e dissolve la materia: con il suo calore rinforza i nervi e consuma la materia che vi è sparsa.

Queste cinque proprietà appartengono, del resto, anche agli altri tipi di pepe, come si legge in Avicenna. Il pepe, inoltre, come nessun'altra sostanza, riscalda i nervi e i muscoli e purifica i polmoni: assunto in piccole dosi, stimola la minzione e distende il ventre.

Il pepe è di tre tipi: bianco, lungo e nero: il frutto che fiorisce o germina ancora sull'albero è detto pepe lungo, quello ancora acerbo e immaturo è il pepe bianco, mentre quello nero è il pepe che è stato esposto ed essiccato al sole.

Considerazioni

Il pepe, re delle spezie, pianta solare, è citato da Teofrasto nel IV secolo a.C., trova anche a Salerno varie applicazioni nelle sue tre varietà: dai dolori, alla tosse, alle febbri.

Il pepe è adoperato come condimento, ma può anche essere usato come stimolante gastrico e del sistema nervoso. È irritante, febbrifugo e rubefacente (per uso esterno) ed ha anche azione insetticida. Dal pepe nero si ottiene anche il pepe bianco, detto “dolce”, che si ottiene eliminando il pericarpo con macerazione in acqua.

Questa spezia, che oggi è facilmente reperibile e che si trova nelle cucine in ogni parte del mondo, ha costituito per lunghi secoli un’importantissima fonte di ricchezza: fino al XVII secolo era chiamata “oro nero” e veniva utilizzata come una vera e propria moneta di scambio. 4.000 anni fa, Egizi, Babilonesi e Assiri si recavano in India nella regione tropicale del Kerala, definita ai tempi il Giardino delle Spezie, per acquistare ed importare nei propri territori le spezie, in primis il pepe. I Greci e, soprattutto i Romani consideravano il pepe un vero e proprio status symbol della classe aristocratica e un bene di gran lusso: Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia racconta che i Romani spendevano inutilmente almeno 50 mila sesterzi l’anno in pepe e spezie provenienti dall’India.

Si racconta che quando Alarico, re dei Visigoti, nel 408 d.C. invase Roma, chiese come riscatto per liberare la città oro, argento e anche 3.000 chili di pepe nero. Nel Medioevo “l’oro nero” mantenne alta la sua quotazione, protagonista indiscussa fu la Repubblica di Venezia e la sua importante rete commerciale marittima. Durante l’epoca delle grandi esplorazioni, il controllo del commercio del pepe passò in mano ai Portoghesi, i quali guidati da Vasco da Gama, approdarono sulle coste del Kerala nel 1492, per poi finire nel XVII secolo a far parte del monopolio inglese e olandese. A partire dal XVIII e XIX secolo, due diversi fattori concomitanti contribuirono al vertiginoso e definitivo abbassamento dei prezzi della spezia: il grandissimo aumento in termini di produzione ed importazione cominciato dai Portoghesi e proseguito da Inglesi e Olandesi e il mutato gusto, nato dall’abbandono della cucina speziata per una nuova scelta che guardava soprattutto ai prodotti dei luoghi.