Il comportamento di attaccamento nell’uomo e nelle scimmie è stato tra quelli maggiormente indagati negli ultimi cinquanta-sessant’anni. Gli autori più qualificati in questo campo sono stati John Bowlby, Harry Harlow, Inge Bretherton e Robert Hinde, solo per citare i più noti. Ora i ricercatori che stanno approfondendo questo tema sono diminuiti, anche perché, di fatto, su questo argomento è già stato scritto tutto quello che si poteva scrivere. Ma sono stati certamente gli studi sull’attaccamento nelle scimmie che hanno definito per sempre che cosa sia e come si manifesti questo comportamento, studi che sono serviti per rivelare cose altrimenti più difficili da dimostrare osservando solo il comportamento dell’uomo, o meglio la relazione madre-bambino.

Comunque, per lo studio del comportamento di attaccamento, bisogna partire sempre dal contatto fisico tra la madre e la propria prole1.

Il contatto fisico del piccolo con la madre, cioè il percepirsi fisicamente e materialmente alla portata della figura materna e sentirsi rassicurati, è un bisogno fondamentale per la prole. Si tratta di un’esigenza primaria, più di quanto lo sia il latte, che invece, sebbene fondamentale per la sopravvivenza della prole, è un bisogno secondario. Il contatto fisico della prole con la propria madre o di chi ne fa le veci, come nelle adozioni, è insostituibile. Il bisogno dell’attaccamento è vitale in un’infinità di specie animali, soprattutto nei mammiferi superiori e quindi anche nelle scimmie, di cui parleremo maggiormente in questo breve articolo.

Dunque, per un piccolo, soprattutto se neonato, avere e sentire fisicamente accanto a sé la propria madre è più importante di qualsiasi altro sostegno materiale. Non a caso, quando un piccolo perde accidentalmente o a causa di una malattia la madre, perde allo stesso tempo l’attaccamento verso di lei e se non interviene qualcuno a prendersene cura, in particolare un’altra femmina, meglio se imparentata con l’orfano e che abbia già avuto dei figli, può perdere la fiducia in se stesso, può cadere in depressione, avvilirsi e morire di inedia prima che di fame.

Stati emozionali

Perché il contatto fisico è così importante per un piccolo? Non potrebbe essere sostituito con qualcos’altro, magari con una macchina o con un fantoccio, con un robot soffice e tutto ricoperto di velluto e pieno di calore? No, non c’è niente che possa sostituire il calore materno nell’uomo, in una scimmia o in qualsiasi altro animale. Perché è insostituibile? La risposta è più semplice di quanto si possa pensare. È insostituibile perché né una macchina né un fantoccio possono trasmettere gli stessi stati emozionali materni suscitati dagli stimoli infantili e viceversa. Questo si può verificare, per esempio, nel caso della scomparsa di un figlio per una madre o della scomparsa di una madre per un figlio. In queste circostanze, cioè nel caso in cui a morire sia un figlio, la mamma ne elabora cognitivamente la perdita, diventa cosciente dell’impossibilità materiale di rivolgergli tutte le attenzioni di cui necessita un figlio. Queste valutazioni emozionali valgono anche nel caso in cui a morire sia la mamma. Tutto dipende dal fatto che stiamo parlando di specie (uomo e scimmia) molto evolute che hanno la possibilità psicologica di valutare gli stati emozionali e di elaborarli, anche se è vero che ancora non sappiamo esattamente come sia la vita cosciente degli animali (d’altra parte non lo sappiamo nemmeno per noi esseri umani). Ciò che è certo, in questi casi, è che la fisiologia di un’attivazione corticale nei mammiferi superiori, non è diversa dalla nostra. Tutte le esperienze vissute sono valutate psicologicamente allo stesso modo2.

Evoluzione dell’attaccamento

Dunque, attaccamento vuol dire principalmente sentirsi protetti da qualcuno e averne la certezza, almeno fino allo svezzamento, cioè quando i figli possono cominciare a comportarsi autonomamente. Il senso di sicurezza della prole, soprattutto quando i piccoli crescono insieme alle loro mamme in condizioni di libertà, e non rinchiusi negli zoo o nei bioparchi come vengono chiamati ora, è fondamentale anche per altre ragioni. Attraverso il corso dell’evoluzione di tutte le specie animali e quindi non solo dei mammiferi superiori o delle scimmie e dell’uomo, gli animali hanno sempre cercato di sviluppare la loro vita sociale in piena sicurezza e hanno conformato la loro socialità in funzione dei numerosi pericoli ambientali. Le scimmie hanno dovuto difendersi intelligentemente per non finire sterminate dai felini e soprattutto dall’uomo. Hanno dovuto sviluppare delle strategie difensive non da poco. I sopravvissuti ce l’hanno fatta, non nel senso che sono stati i più forti, come erroneamente si pensa, ma nel senso che all’interno della loro specie hanno saputo mantenere una certa variabilità genetica e anche comportamentale che ha permesso loro di sapersi adattare alle necessità del momento, soprattutto nella ricerca del cibo.

Quasi tutte le scimmie, come lo scimpanzé, il gorilla e l’orango, sono principalmente frugivore, foglivore e insettivore. Invece noi uomini siamo principalmente carnivori, ma non dal primo momento della nostra esistenza. Probabilmente lo siamo diventati quando siamo passati dalla foresta alla savana. Per esempio, l’Australopithecus, vissuto tra 3,7 e 3 milioni di anni fa, era onnivoro e il Paranthropus (poi estinto), vissuto tra 2,5 e 1.5 milioni di anni fa, era principalmente vegetariano, ma prima di loro, i nostri più lontani antenati, più che di carne si alimentavano di vegetali e tuberi. Per trovare scimmie onnivore, dobbiamo invece risalire a quelle sudamericane e a molte proscimmie africane, anche se in verità queste ultime sono poi diventate più insettivore che onnivore.

Altre variabili dell’attaccamento

Altre variabili che condizionano il comportamento di attaccamento nelle scimmie, soprattutto in quelle che vivono in libertà, cioè nella savana e nella foresta, dal momento che questi animali vivono in strutture sociali molto rigide, sono le posizioni gerarchiche che le mamme rivestono nel gruppo di appartenenza. Le mamme dominanti hanno maggiore libertà di movimento e possono interagire più liberamente con i loro figli. Non devono preoccuparsi del fatto che i loro piccoli ogni tanto desiderano lasciarle per interagire con i coetanei. È difficile che i loro piccoli vengano molestati o attaccati dagli altri membri del gruppo. La cosa è molto diversa per le mamme sottomesse che devono tenere più a lungo tra le loro braccia i loro piccoli per paura che vengano attaccati dagli altri membri del gruppo.

Un’altra variabile non secondaria che condiziona il comportamento di attaccamento è che le mamme siano primipare o multipare. Nel secondo caso i figli più anziani vengono allontanati più spesso e più a lungo perché i più giovani, soprattutto se ancora non sono svezzati, hanno bisogno di più cure e protezioni da parte delle mamme.

Il tutto deve comunque essere valutato in funzione della composizione del gruppo, della presenza dei maschi dominanti e anche di femmine che si trovano nei punti più alti della scala gerarchica. Nel caso in cui ci siano molte femmine multipare ci sono più possibilità per i figli di femmine sottomesse di integrarsi meglio nella società, anche se non è detto che le gerarchie siano permanenti, ci possono essere casi in cui le vecchie gerarchie vengano ribaltate e le femmine sottomesse possano salire nella scala gerarchica.

Vanno poi considerate alcune variabili psicologiche che condizionano le gerarchie e i riflessi che esse possono avere sul comportamento di attaccamento anche in base alle esperienze sociali dei singoli individui, piccoli o grandi che siano. Importanti sono le esperienze sessuali, soprattutto nel momento in cui le femmine diventano sessualmente mature. Se infatti le femmine hanno vissuto delle esperienze negative, queste possono riflettersi sulla relazione che avranno con i loro figli. Si possono cioè manifestare disturbi relazionali molto forti che si ripercuoteranno sul comportamento sociale dei piccoli una volta diventati sessualmente maturi. L’incolumità di questi individui potrebbe essere messa in pericolo in ogni momento. Infatti non sono rari i casi in cui gli individui più deboli e indifesi a un certo punto decidono di lasciare il gruppo di appartenenza, soprattutto se sono dei maschi. Vivendo in una struttura ad harem, è chiaro che i maschi con queste problematiche non sono desiderati in società, mentre le femmine, indipendentemente dalla loro posizione sociale, vengono sempre ben accettate. I membri che vengono allontanati hanno molta probabilità di diventare degli individui depressi. Sono spesso soggetti a scoraggiamenti, a stati d’ansia e diventano molto più vulnerabili degli altri. Un piccolo non sicuro di sé è meno tranquillo, meno felice e risponde al contatto sociale con maggiore difficoltà3.

Conclusioni

Si è parlato principalmente di scimmie, ma, a ben guardare, non sembrano esserci grosse differenze con l’uomo. L’efficacia dell’adattamento si realizza con la competenza e con la certezza di essere aiutati dalla madre nei casi di pericolo e di alte tensioni sociali. I bambini sicuri di sé interagiscono piacevolmente sia con la madre sia con gli altri bambini. Sono felici, poco esigenti e molto più tranquilli nello stabilire delle amicizie. Sono meno molesti e più accondiscendenti. Quando si staccano dal grembo materno, ci ritornano sempre piacevolmente e sicuri che non possa capitare loro niente di spiacevole. La figura materna è la garanzia della loro incolumità. Molti psicologi sostengono che tutto questo si rifletta poi positivamente sul loro comportamento sociale, manifestando, una volta adulti, oltre che una solida personalità, il successo sociale.

1 Simpson, M.J.A. & Tartabini, A. 1992. Control on nipple and body contact by mothers and infants in rhesus macaques. Folia Primatologica, 59(1): 26-32.
2 Caccavari, R. (a cura di). 2017. Il senso della morte negli animali. Parma, Toriazzi Edizioni.
3 Tartabini, A. 2020. La coscienza negli animali. Milano, Mimesis Edizioni.