Ogni anno in tutto il mondo se ne contano più o meno 150 di magnitudo superiore a 6, ma se andiamo ad aggiungere anche le scosse meno forti il numero cresce in maniera vertiginosa. Soltanto in Italia dal 1985 ad oggi gli strumenti hanno registrato oltre 230.000 terremoti, vale a dire oltre 6000 all'anno, di cui 33mila hanno raggiunto 2,5 gradi di “potenza” e 48 - cioè uno ogni 8 mesi - la più preoccupante magnitudo 5.

Ormai lo sappiamo: il pianeta su cui viviamo è inquieto, si agita, dà spesso segni di nervosismo senza mai avvertirci. L'ultima volta neanche un mese fa al largo della Nuova Zelanda, nell'area del Pacifico a Nord dell'arcipelago Kermandec, quando, tra la notte e la prima mattina del 5 marzo tre terremoti di grado superiore a 7 hanno scosso l'oceano facendo temere uno tsunami. Migliaia di persone che abitano sulla costa sono state evacuate e invitate a raggiungere le alture per fronteggiare l'arrivo di eventuali onde anomale. Alla fine il peggio non è avvenuto e questa volta possiamo tirare un sospiro di sollievo.

Ma mai dire mai. La storia ci racconta di eventi sismici catastrofici. Come quello di Shaanxi, in Cina, nel 1556; quello di Lisbona del 1775. E ancora dei violenti sussulti della terra a Messina e Reggio Calabria nel 1908 e, per arrivare a tempi più vicini a noi, ad Haiti, nel 2010. Tutti terremoti che hanno fatto scatenare un'energia superiore a 7° nella scala Richter. Ma il più forte resta quello cileno del 1960, di magnitudo 9,5, la più alta mai registrata dagli strumenti, seguìto da quello di Sumatra nel 2004 e del Tohoku in Giappone, nel 2011.

Il caos prodotto da un movimento tellurico si misura purtroppo anche in morti: 820.000 a Shaanxi, 30.000 a Lisbona, oltre 100.000 a Messina, 230.000 ad Haiti e altrettanti a Sumatra.

Un mostro, un accidente naturale che unisce prodigio e orrore e che fino ad oggi ci ha trovati armati solo della nostra caparbia volontà di capirlo per riuscire prima o poi a combatterlo. Cosa sappiamo e come ci possiamo difendere ce lo ha detto il professor Carlo Meletti, dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in uno degli incontri che la Fondazione Palazzo Blu di Pisa e l'Infn hanno voluto dedicare ai grandi pericoli planetari.

Non ci sono dubbi che terremoti, vulcani e tsunami sono tra gli incubi più frequenti di ieri come di oggi. Nonostante studi, scoperte e strumenti non siamo infatti ancora in grado di prevedere l'arrivo di cataclismi così violenti da mettere in pericolo la nostra stessa vita. Vulcano, dio del fuoco che rovina e distrugge, era ed è rimasta la divinità più brutta dell'Olimpo, tanto brutta che Giunone appena vide questo figlio così sgraziato lo scaraventò dalla montagna.

In tanti secoli siamo però riusciti, se non a vedere, almeno a “ricostruire” quell'officina di Vulcano che è nella pancia della Terra e da cui nascono tutte le sue “inquietudini” e le nostre paure.

“Questo pianeta è fatto a strati - spiega il professor Meletti - prima c'è una striscia fredda e rigida, che chiamiamo crosta e che si sviluppa tra i 6 e i 10 chilometri vicino alla costa per raggiungere anche i 100 chilometri in corrispondenza delle montagne. Sotto la crosta, fino a 2900 metri di profondità troviamo il “mantello”, una larga fascia calda e mobile. Infine c'è il “nucleo”, per il quale ipotizziamo uno stato solido di tipo ferroso”.

Come abbiamo scoperto tutto questo? Certo, solo poeti e scrittori hanno la facoltà di viaggiare fino al centro della Terra. Gli scienziati osservano invece i treni di onde sismiche originate dai terremoti, le quali oltrepassano i vari strati e poi ritornano alla superficie.

“Siamo come i medici che hanno a disposizione solo uno stetoscopio per investigare cosa succede dentro il corpo umano - chiosa Meletti - ecco, i terremoti sono il nostro stetoscopio. In realtà se non ci fossero non avremmo alcuna possibilità di sapere cosa c'è sotto la Terra”.

Così abbiamo imparato che la superficie del nostro pianeta, la crosta, è come un puzzle formato da 13 placche che si spostano a diverse velocità. Il loro “motore” sta nello strato sottostante, composto di materiale molto caldo e fluido, i cui movimenti trascinano le placche fredde soprastanti.

“Noi galleggiamo su questo magma incandescente”, sottolinea il professor Franco Cervelli dell'Infn, che ha ideato e programmato questa serie di conferenze sui pericoli naturali. “Ricordiamoci che, a parte la Terra, Marte e Venere che hanno una crosta superficiale, tutti gli altri pianeti sono liquidi ed è così che noi li vediamo quando li guardiamo al telescopio”.

Dunque le minacce arrivano dalle placche e il fatto che l'Italia sia al confine con la placca africana è all'origine di tutti i nostri problemi. Oggi grazie ai satelliti riusciamo almeno a capire come si muove la crosta terrestre. Ci sono zone del mondo in cui le placche convergono e una sprofonda rispetto all'altra. In questi casi la superficie si accartoccia e si formano le montagne, come è successo per la catena delle Ande. Nel frattempo, però, la parte sprofondata finisce nel “mantello”, si fonde e poi risale verso la superficie formando vulcani. Nell'Oceano Atlantico invece accade che le placche si allontanano e nello spazio che si apre sale del materiale caldo: così si è formato il vulcanismo dell'Islanda.

Infine può succedere, come in California, che le placche scorrano una rispetto all'altra in senso orizzontale. Questi movimenti ovviamente provocano energia, che si accumula nella roccia fredda, fino a quando non viene rilasciata in onde sismiche. Ed ecco il terremoto. Quelli per noi più recenti, dell'Aquila e di Amatrice, hanno creato una frattura di poche decine di chilometri sulla crosta terrestre. Niente in confronto a quello che è successo a Sumatra nel 2004, quando la faglia si è aperta per oltre 1000 km. Tutta l'area del Pacifico, infatti, dal Cile al Giappone all'Indonesia è quella più a rischio, ma anche Grecia e Turchia non sono tranquille.

Per l'Italia il pericolo corre soprattutto lungo l'Appennino meridionale fino alla Calabria e alla Sicilia orientale. Ma un po' tutta la penisola è sul filo del rasoio. Che fare? Poiché niente può prevedere o fermare l'agitazione della Terra, molte le leggende metropolitane che si sono tramandate. Come quella di affidarsi agli animali, che avrebbero il dono di “sentire” in anticipo sia eruzioni che tsunami o cataclismi tellurici. “No”, risponde netto lo scienziato, che traduce la credenza popolare nei termini della fisica. “Un sisma produce onde P e onde S. Le prime non sono quasi avvertite dagli uomini, mentre gli animali ne sono più sensibili. Ma stiamo parlando di pochi secondi prima del terremoto”.

In mancanza di meglio anche la fede è venuta in soccorso. Ce lo racconta Viviana Castelli, dell'Ingv di Bologna, storica della sismologia: “Sono numerosi i santi a cui le popolazioni hanno chiesto aiuto e conforto. Tra questi “protettori” del terremoto uno dei più importanti è certamente Sant'Emidio. Inoltre, ritualità come cerimonie o processioni si tengono ogni anno nelle diverse parti d'Italia per ringraziare dello scampato pericolo”. Purtroppo, però, proprio la statua eretta in onore di Sant'Emidio nella chiesa di Santa Maria del Carmelo a Pennisi, alle pendici dell'Etna, è venuta giù durante una scossa alla fine del 2018. Una “performance” venuta male al paladino delle popolazioni a rischio tellurico.

Gli scienziati, invece, si affidano oggi ai dati del Gps che da 30 anni osserva tutti i movimenti del pianeta. “Ma 30 anni sono pochi rispetto al ciclo dei terremoti”, commenta il professor Meletti. “Perché una faglia generi una scossa forte ci vuole un tempo molto, ma molto più lungo”.

Quindi la parola d'ordine era e resta: “prevenzione”. Prima di tutto applicando la normativa antisismica e mettendo in sicurezza palazzi e monumenti. Aprire una porta, aumentare un piano, aggiungere una finestra, oltre magari ad essere fuorilegge, può diventare pericoloso. Inserire ammortizzatori sismici sotto chiese ed edifici storici può invece attutire le scosse e salvare secoli di storia. “Dal 1968 al 2016 l'Italia ha speso 150 miliardi di euro per riparare i danni dei terremoti”, sottolinea il sismologo. “Il Consiglio nazionale degli ingegneri ha calcolato che con 93 miliardi si potrebbero mettere in sicurezza tutti gli edifici in Italia. Le tecniche ci sono, ciò che manca è la volontà”.

Della prevenzione fanno parte anche le esercitazioni della Protezione Civile, considerate un “must” in tutto il mondo. Tanto è vero che nel 2008 la California, che con i terremoti ha continui problemi, si è inventata un esercizio per tutti i cittadini da mettere in pratica tutti gli anni nello stesso giorno. Così da allora ogni 16 ottobre ad un'ora prestabilita le sirene squillano e qualsiasi abitante di città, villaggio o campagna è chiamato a “drop, cover, hold on”, vale a dire accucciarsi, coprirsi la testa e tenersi stretto a ciò che di solido è a disposizione. Tutto questo può avvenire in qualsiasi momento della giornata, sia se si è sul tram, in autobus, per strada, in casa, sul divano o in qualsiasi altro luogo. Una pratica per essere pronti a reagire velocemente e automaticamente in caso di un'emergenza tellurica. I 60 secondi dell'appuntamento con il “drop, cover, hold on”, sono già stati esportati in molte regioni del mondo. L'Italia, però, non sembra averlo ancora recepito. Nel frattempo, invece, le regole e la burocrazia sono aumentate a dismisura, al punto anche da creare più ostacoli che difese.

“Nel terremoto che ha colpito l'Umbria e le Marche nel 1997 il sindaco di Montefalco fece innalzare impalcature a protezione della chiesa, dove si trovavano gli affreschi di Benozzo Gozzoli. Quella chiesa e quei dipinti ancora oggi stanno benissimo”, racconta Viviana Castelli. “Ma ormai nessun sindaco potrebbe più prendere un'iniziativa tanto utile. Ne è prova una piccola chiesa di montagna nelle Marche, nota come Santa Maria delle Sibille. Non fu possibile puntellarla nel 2016 per una serie di problemi burocratici ed è così andata distrutta dalle scosse sismiche, cancellando per sempre un ciclo pittorico del Seicento”.

Chissà se Sant'Emidio, un po' spodestato dal suo trono di “avvocato” dei terremoti, potrebbe almeno difenderci dalla burocrazia.