Biologa delle cellule germinali, è Dottore di Ricerca in bioingegneria e bioinformatica e ricercatrice all’Università di Pavia; è inoltre professore a contratto all’Istituto Universitario di Studi Superiori (IUSS) di Pavia. Ha trascorso molti anni in USA, UK e Giappone studiando le ultime fasi differenziative delle cellule uovo murine e umane. Insieme a Carlo Alberto Redi è autrice di molti articoli e saggi di divulgazione scientifica tra cui DNA, la vita in tre miliardi di lettere (Carocci ed. 2020), Genomica sociale. Come la vita quotidiana può influenzare il nostro DNA (Carocci ed. 2018), Storia di una cellula fantastica. Storia, natura e cultura dell’uovo (di C.A. Redi e M. Monti, Sironi ed. 2016), Pavia, a stroll through a scientific city (di M. Monti, R. Cockerham e C.A. Redi, Ibis ed. 2018).

Sono una biologa dello sviluppo. Studio la maturazione delle cellule uovo di mammifero (roditori e uomo) e le diverse fasi dello sviluppo embrionale pre-impianto. Non smetto mai di incantarmi davanti alle immagini di oociti ed embrioni (sono bellissimi!) tutte le volte che, seduta al bancone, li osservo al microscopio. Credo di essere una persona molto fortunata perché il mio lavoro coincide con la mia più grande passione.

Adoro viaggiare, immergermi nei rumori, colori, profumi dei posti sconosciuti, adoro leggere e non potrei fare a meno della mia bicicletta gialla. Ho una forte passione per il cioccolato, per il Giappone e per i miei nipoti, non necessariamente in questo ordine.

Da dove le è venuta la passione per la biologia e quale scoperta l’ha più entusiasmata?

Credo che la passione per la biologia sia nata quando ero piccolina e, insieme a mio papà, mi incantavo davanti ai documentari di Piero Angela. Ma… è sicuramente aumentata durante gli anni universitari. Ho avuto la fortuna di lavorare nel palazzo in cui l’abate Lazzaro Spallanzani ha fatto la prima fecondazione artificiale, nel 1777 (Palazzo Botta, a Pavia). Studiare e lavorare in un luogo così ricco di storia e fascino ha senza dubbio aumentato la mia passione per la scienza. Varcare ogni giorno un portone che riporta l’iscrizione: “Quid hic? Intueri naturam. Quo munere? Curiosum esse” (Perché sei qui? Per studiare la natura. A che scopo, perché? Perché sono curioso) può seriamente influenzare una giovane studentessa alle prime armi. E per fortuna è ciò che è successo a me!

La scoperta che mi ha più entusiasmata è stata, senza dubbio, quella di Sir. John Gurdon del 1962. Questo grande scienziato è riuscito a dimostrare che la specializzazione delle cellule è reversibile, ovvero, che una cellula terminalmente differenziata (ad esempio, un fibroblasto) se opportunamente “sollecitata” può tornare ad uno stato indifferenziato per poter re-differenziarsi in qualunque altro tipo cellulare. Questa scoperta ha permesso ad un altro autorevole ricercatore, Shin’ya Yamanaka, molti anni dopo la scoperta di Gurdon, di mettere a punto il protocollo di ottenimento delle cosiddette “iPS cells”, le cellule staminali pluripotenti indotte che rappresentano, oggi, fantastiche opportunità per la futura cura di diverse patologie. Yamanaka e Gurdon sono stati premiati con il Nobel per la Fisiologia o Medicina nel 2012.

In realtà, sono molte le scoperte che varrebbe la pena menzionare. Non posso quindi non citare due bravissime scienziate, Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, Nobel per la Chimica del 2020, che hanno messo a punto la metodica del “taglia e cuci del DNA”, una tecnica sorprendente dalle molteplici applicazioni in ogni ambito della medicina e biologia.

Genomica Sociale è l’ultimo libro che ha scritto in collaborazione con Carlo Alberto Redi: ce ne esporrebbe sinteticamente il significato e in particolare il parallelo concetto di “con-individuo”?

Come è scritto nel libro un numero sempre maggiore di evidenze documenta un sostanziale legame tra il contesto sociale all’interno del quale ciascuno di noi vive e le funzioni del genoma delle cellule somatiche e germinali che compongono il nostro organismo. Fattori ambientali di varia natura possono infatti modificare l’espressione genica delle cellule alterando lo stato fisiologico di tessuti e organi. Le disuguaglianze sociali si traducono così in disuguaglianze di salute, le quali, non solo vengono trasmesse in maniera intergenerazionale, ma determinano a loro volta disuguaglianze di opportunità, di reddito, di rango sociale in un meccanismo ricorsivo che rinforza lo svantaggio sociale che le ha originate.

Nel libro ci siamo soffermati molto sulle disuguaglianze di salute considerando la costituzione del corpo in-dividuale. Oggi sappiamo che il nostro organismo ospita una quantità (sino a pochi anni fa inimmaginabile) di micro-organismi viventi quali protozooi, funghi, batteri, virus che formano il microbiota, microbioma, ovvero un complesso vitale in continua interazione con le attività di tutti gli organi, compreso il sistema nervoso centrale. Tutto ciò contribuisce a ridefinire in modo originale l’identità biologica dell’individuo che diviene un “con-individuo” poichè questo insieme di popolazioni di specie diverse mette prepotentemente in crisi il nostro senso del “sé”. Oggi sappiamo di non essere più quella singolare individualità che credevamo di essere. Il numero di cellule batteriche, in un uomo dal peso medio di 70 chilogrammi, equivale a quello delle cellule umane (alcuni milioni di miliardi di cellule) per un totale di circa 0,2-1 chilogrammi di peso corporeo.

Il microbiota è in continua interazione con le attività di tutti gli organi e non fa eccezione il cervello, di cui risulta un potente modulatore dell’attività fisiologica e dunque in grado di influenzare gli stati comportamentali ed emozionali. Le evidenze fornite dallo studio del microbioma (il genoma di tutto il microbiota) ne mettono in luce un ruolo centrale nel regolare lo svolgimento dei tre processi che impieghiamo normalmente per definire l’identità biologica dell’individuo: il sistema immunitario, le funzioni cerebrali sottese al funzionamento del sistema nervoso centrale e l’impronta genetica fondamentale di ciascuno di noi.

Uno dei suoi assunti è come la disuguaglianza socioeconomica si rifletta sul DNA: anche le disuguaglianze tra i sessi?

Certamente. Potrei fare moltissimi esempi a riguardo ma vorrei che dalle mie parole passasse un messaggio chiaro: solo il 5% delle sperimentazioni cliniche sono effettuate su donne! Vi è una mancanza quasi totale di donne nei trials epidemiologici che hanno descritto i fattori di rischio, sintomi e prevenzione per l’infarto, ad esempio. Nelle donne spesso non c’è dolore precordiale, la sintomatologia viene spesso associata a stato di irrequietezza e ansia ed il mancato soccorso o ricovero è causa di morte evitabile.

Molte delle medicine che assumiamo (anche le più comuni, come l’aspirina) hanno un effetto diverso a seconda che vengano assunte da un uomo o una donna. Sulla base di queste premesse è facilmente intuibile come le donne siano svantaggiate e come lo diventino ancora di più nei Paesi in via di sviluppo o del Sud del mondo. In questi ultimi anni, grazie anche alla campagna “Precision medicine initiative” voluta da Barack Obama e del “The 100,000 Genomes Project” dell’NHS inglese, la medicina sta diventando sempre più una medicina personalizzata, di genere, per garantire ad ogni persona la cura migliore e una personalizzazione della terapia.

A proposito, esistono ancora pregiudizi, nell’ambito della ricerca scientifica, sui contributi delle donne?

Purtroppo sì. Nel mio ambiente (e in molti altri) c’è ancora molta diffidenza nei confronti delle donne, soprattutto se giovani e all’inizio della loro carriera. Ma la situazione non migliora nemmeno a carriera avviata: i numeri parlano. Se consideriamo la sola università (ambiente in cui lavoro io), il divario donne/uomini è totalmente sproporzionato a favore degli uomini. Se ci soffermiamo poi sulle sole posizioni apicali, ad oggi (2021!), in Italia, vi sono meno di 10 rettrici donne a fronte di più di 70 uomini. Credo che questi numeri (e, ripeto, l’Università ne è solo un piccolo esempio) debbano seriamente farci riflettere. Mi auguro che tutte le attività volte alla promozione dello studio delle STEM possano essere d’aiuto alle bambine e alle ragazze che si chiedono “cosa farò da grande”?.. Nulla è impossibile ragazze, basta crederci… …Alice rise: “È inutile che ci provi”, disse, “non si può credere a una cosa impossibile.” “Oserei dire che non ti sei allenata molto”, ribatté la Regina. “Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz'ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione.”

Fa parte del comitato scientifico dell’associazione “Mechrì”: ce ne può sintetizzare le finalità?

Mechrì/Laboratorio di filosofia e cultura è una realtà milanese molto bella che ha preso vita pochi anni fa grazie alla visione e al lavoro dei filosofi Florinda Cambria e Carlo Sini. Mechrí promuove dunque percorsi formativi transdisciplinari che intrecciano filosofia, arti e scienze in modo innovativo e arricchente da ogni punto di vista. Insieme a Carlo Alberto Redi ho partecipato, negli anni, ad un ciclo di incontri chiamato “Linguaggi in transito – biologia” in cui tematiche care a noi scienziati e agli amici filosofi sono state studiate e discusse. Negli anni ha preso avvio la stesura di un lemmario bio filosofico in cui i lemmi, metodo, individuo e forma sono stati analizzati, dissezionati, studiati con un atteggiamento a nostro avviso vincente: quello trans disciplinare.

La scienza fine a se stessa risulta sterile: anche questo spiega il suo impegno in “Make the difference”?

Sì, assolutamente. Credo sia un dovere morale per chi fa un lavoro come il mio mettersi a disposizione degli altri, essere generosi, condividere conoscenza e sapere, aprire le porte dei laboratori e interagire, spiegare, mostrare. Riuscire a cogliere interesse nello sguardo di un bambino e un adolescente è senza dubbio una grande soddisfazione. E poi… è anche utile per noi scienziati: le domande dei più piccoli sono generalmente difficilissime. E se riesci a convincere loro, beh, puoi ritenerti soddisfatto, hai fatto un buon lavoro!

Secondo la teoria epigenetica, le differenze di classe sono responsabili della trasmissione dello svantaggio tra generazioni.

Sì, purtroppo si. Facciamo un esempio. È noto (sono stati pubblicati molti lavori su questo tema) che un basso stato socioeconomico è associato ad una maggior produzione diurna di cortisolo (ormone dello stress) ed un aumentato stato infiammatorio. Lo studio dell’espressione di alcuni geni legati allo sviluppo dell’infiammosoma ha dimostrato quanto i livelli di modificazione epigenetica del DNA (uno tra tutti la metilazione) siano più alti negli individui con basso stato socioeconomico rispetto a quelli che occupano una posizione più alta nella scala sociale e questo, tradotto in termini scientifici, indica che la loro espressione è molto ridotta (questo può comportare un mal funzionamento del gene o della proteina). Queste marcature epigenetiche possono passare alle generazioni future e così il vantaggio o, più frequentemente lo svantaggio, ereditato passa alle nuove generazioni e le ingiustizie si perpetuano.

Che indicazioni possono dare le sue ricerche relativamente all’attuale pandemia?

Parlando di disuguaglianze: a farne le spese sono le persone più vulnerabili, come facilmente intuibile. Consiglio la lettura dell’ultimo rapporto Oxfam su pandemia e condizioni sociali.

Parlando di scienza: sto studiando il processo biologico attraverso cui il corona virus entra nelle cellule. Il fine ultimo è capire come e quando intervenire per bloccare il meccanismo attraverso il quale la cellula internalizza molecole, batteri, virus presenti nell’ambiente extracellulare. In particolare, ci stiamo focalizzando sulla proteina che dirige questo processo ed i risultati che stiamo ottenendo sono molto promettenti. Incrociamo le dita.

Milano è una città dove lo squilibrio sociale è particolarmente evidente?

L’Osservatorio di Milano ha recentemente presentato un quadro molto chiaro sulla situazione della città. La città, negli ultimi anni è cresciuta il doppio del resto d’Italia e questo ha chiaramente aumentato il divario ricchi-poveri: il 9% della popolazione detiene oltre un terzo della ricchezza complessiva e il 24,4% dei giovani è senza lavoro. Sulla base di questi dati (e altri consultabili nello studio di cui cito i dati) credo che la sfida a cui Milano è chiamata a rispondere sia importante. Sarà fondamentale contrastare l’aumento delle disuguaglianze economico-sociali e favorire l’integrazione di giovani e donne nel mercato del lavoro garantendo un equilibrio tra costo della vita e salario. Immagino che questi siano aspetti già presenti nell’agenda di chi governa la città e… mi auguro che i risultati non tardino ad arrivare.

Milano offre opportunità a chi s’impegna nella ricerca scientifica? Quale contributo ha dato alla sua attività e ai suoi studi l’ambiente culturale ambrosiano?

Milano è certamente un ambiente culturalmente stimolante grazie alle sue Università, al Policlinico e ai poli scientifici.

L’interazione con questa città e le sue realtà mi ha arricchito a 360°. Se mi chiedessero di scegliere una attività che, più di altre, ha lasciato un segno, risponderei senza dubbio “Make the difference”, il progetto “Da grande anche io” e lo spettacolo teatrale che, insieme a tanti amici e colleghi ho avuto l’onore ed il piacere di organizzare per i più piccoli: la cellula uovo vista dagli occhi dello scienziato, dell’astrofisico, delle arti e… della cucina. Del resto…

Omne vivum ex ovo.