Gli sviluppi delle neurotecnologie presentano profonde implicazioni etiche perché, in un prossimo futuro, potrebbero decodificare i contenuti mentali.

Le neurotecnologie sono dispositivi in grado di registrare, decodificare e/o modificare l’attività del cervello. Possono essere invasive, quando richiedono l’impianto chirurgico di elettrodi connessi direttamente all’encefalo, o non invasive, nei casi in cui sfruttano l’attività elettrica rilevabile a livello del cuoio capelluto.

I neuro-device possono essere destinati a raccogliere segnali provenienti dal cervello, mediante connessione diretta, i cosiddetti dispositivi di interfaccia cervello-computer (Brain-Computer Interfaces, BCI), oppure volti a inviarli, come nel caso degli strumenti di stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation, DBS). In realtà lo sviluppo delle ricerche ha consentito la produzione di tecnologie ibride, in grado sia di monitorare l’attività cerebrale, per decodificare e raccogliere i segnali, sia di intervenire su di essa1.

Le BCI sono definite strumenti di “brain reading” perché si fondano sull’analogia tra la decodifica di informazioni e stati mentali dalla attività neuronale e l’interpretazione funzionale, semantica, dei contenuti di un testo scritto tramite la lettura. Come riportato da M. Ienca, ricercatore del Policlinico di Zurigo, i dati neurali non forniscono informazioni dirette sul contenuto semantico del pensiero, cioè non sono in grado (per ora) di leggere realmente il pensiero, ma solo di evidenziare differenze di attivazione cerebrale durante differenti compiti cognitivi e da lì ricavare inferenze sui possibili pensieri. Essi lasciano intravedere la possibilità, in un prossimo futuro, di decodificare contenuti mentali quali informazioni nascoste, esperienze visive, addirittura modelli predittivi del flusso di coscienza e scelte riguardanti non solo la programmazione neuromotoria, ma anche le intenzioni, i punti di vista e le scelte delle persone2.

Tecniche basate sulla risonanza magnetica funzionale (RMf) sono state in grado di identificare pattern cerebrali distinti in funzione delle preferenze politiche distinguendo negli USA tra democratici e repubblicani. In particolare, i primi hanno mostrato maggiore attività cerebrale a livello dell’insula di sinistra, mentre i secondi erano maggiormente attivi nell’amigdala di destra. Questi risultati suggeriscono che i repubblicani, conservatori, mostrano una maggiore sensibilità verso situazioni di rischio e conflitto3.

I dati neurali forniscono inoltre informazioni sullo stato di salute delle persone, ad esempio biomarcatori digitali di predisposizione alla demenza. Tali aspetti predittivi possono essere utilizzati da terzi quali assicurazioni, datori di lavoro e operatori economici per il neuromarketing. Dispositivi di neuromonitoraggio sono già utilizzati in Cina per calibrare i flussi di produzione dei lavoratori delle centrali nucleari e in alcune scuole, dove gli alunni vestono un copricapo neurale che rileva l’attività cognitiva per misurare attenzione e apprendimento.

Lo sviluppo delle neuro tecnologie è incrementato da massicci finanziamenti pubblici e privati. Facebook ha per esempio lanciato un programma di ricerca che mira a realizzare una BCI indossabile che consente agli utenti di scrivere nella newsfeed del social network direttamente tramite l’attività [mentale] (in un prossimo futuro, potrebbero decodificare i contenuti mentali). In questo ambito ricordiamo inoltre il progetto Neuralink, di Elon Musk che, a partire da studi sui maiali, è arrivato a realizzare una scimmia che, per mezzo di un microchip impiantato nel cervello, riesce a giocare al videogame Pong con il pensiero, grazie a un sistema wireless. Lo stesso imprenditore visionario si propone la realizzazione di dispositivi per aiutare i pazienti con deficit motori e sensoriali a riacquistare funzionalità perdute: vista, udito, capacità motoria, ecc. Il suo progetto ancora più ambizioso è di consentire, per mezzo dei microchip, di “salvare” i ricordi e “scaricarli” su un altro corpo umano o robot, amplificandoli o cancellandoli selettivamente. In pratica si tratterebbe di un tipo di “hackeraggio del cervello”, una prospettiva di per sé terrificante in grado di suscitare inquietanti interrogativi sulla legittimità e ammissibilità etica di un intervento esterno sul processo cognitivo, terreno sinora immune da ogni interferenza esterna, con ricadute di estrema rilevanza in ogni campo della vita, dalla salute al diritto.

Compagnie quali Emotiv, Neurosky e Muse offrono già da vari anni un’ampia gamma di neurodevice per utilizzo extraclinico e finalità ludiche, di piccole dimensioni e quindi facilmente indossabili (headset) e a relativamente basso costo (da alcune decine a migliaia di euro a seconda della tipologia), per l’analisi del livello di stress, dello stato emotivo, del livello di attenzione4, per il training sportivo o professionale, seppur in assenza di solide evidenze scientifiche.

Implicazioni per la privacy

Il dibattito sulla possibilità di decodificare non solo correlati neurali di elaborazioni mentali ma anche i reali contenuti è ancora aperto, ma le capacità computazionali delle nuove tecnologie rendono tale pratica sempre più realizzabile. Le implicazioni della loro capacità di stabilire una connessione diretta tra i processi cerebrali umani e la computazione artificiale, in particolare i sistemi di IA, sollevano questioni etiche (ma anche sociali e legali) uniche, mai evidenziate in precedenza, in ragione del possibile coinvolgimento di costrutti fondamentali quali il libero arbitrio, l’integrità psichica, l’individualità extra-corporea, la riservatezza.

La gravità etica di tali implicazioni sarebbe ulteriormente amplificata da un utilizzo al di fuori del setting clinico, almeno teoricamente protetto dalle norme deontologiche, con la condivisione dei contenuti del pensiero, ottenuti mediante BCI, direttamente on line, come elaborato da Facebook già da alcuni anni nelle dinamiche di condizionamento emozionale a scopi promozionali.

Il dato neurale inoltre è riscrivibile attraverso la neurostimolazione e la neuromanipolazione, per effetto delle quali è per esempio possibile modificare i gusti musicali di una persona e lo stesso potrebbe accadere in altri ambiti, quali l’adesione ad un partito. Il livello di manipolazione delle profilazioni personali del neuro marketing, in azione ormai da diversi anni per analizzare, predire e influenzare a livello subliminare il comportamento dei consumatori, impallidirebbe di fronte alla eterodeterminazione della condotta umana da parte dei neuroalgoritmi.

I segnali cerebrali, registrabili e utilizzabili con sempre maggiore facilità consentono inoltre di tracciare l’identità individuale e sono potenzialmente associabili ad un singolo individuo, in modo simile a marcatori biometrici quali le impronte digitali o l’analisi del DNA, permettendo l’identificazione/autenticazione di una persona senza la consapevolezza e quindi il consenso del diretto interessato. I neuro dispositivi potrebbero essere utilizzati anche per estrarre informazioni private quali i dati bancari e l’indirizzo di casa.

Conclusioni

Le sempre più avanzate implicazioni della tecnologia digitale sono divenute forze ambientali, antropologiche e sociali, in grado di cancellare la separazione tra sfera privata e sfera pubblica. Oggi è normale avere telecamere e microfoni nelle proprie abitazioni, gli spazi pubblici sono video sorvegliati, le tecnologie del riconoscimento facciale si stanno sempre più diffondendo, i siti web archiviano e recuperano informazioni intime sul nostro conto. Come afferma S. Zuboff: “Un tempo eravamo noi a fare ricerche su Google, ora è Google che fa ricerche su di noi” 5.

Le neurotecnologie offrono un’ulteriore spinta in questa direzione, inglobando domini da sempre privati come quello mentale, il territorio inaccessibile anche all’intrusività dilagante del datismo. Il rischio è quello di una nuova inquietante antropologia, dove l’inner world, la sfera intima da cui dipende ogni altra libertà, non è più garantita.

È quindi sempre più indispensabile stabilire il limite oltre il quale non è tollerabile andare. Occorre definire e realizzare la portata del cambiamento introdotto dalle neuro tecnologie e limitare il loro uso improprio per impedire la violazione dell’ultimo baluardo dell’identità soggettiva dell’uomo, la mente umana.

Bibliografia

1 Fuselli S. Neurotecnologie e tutela dell’integrità psichica. Profili filosofico-giuridici di un mutameno in atto. Journal of Ethics and Legal Technologies 2020; Volume 2(1).
2 Ienca M. Tra cervelli e macchine: riflessioni su neuro tecnologie e su neurodiritti. Notizie di POLITEIA, XXXV, 133, 2019 ISSN 1128-2401 pp.52-62.
3 Schreiber D et al. Red brain, blue brain. Evaluative processes differ in Democrats and Republicans. Plos One 2013; 8(2): e52970.
4 Neurotecnologie e Big Data: la sfida di EMOTIV (apptoyou.it).
5 Zuboff S. Il capitalismo della sorveglianza, LUISS University Press, Roma, 2019.