In realtà il rifiuto materno-filiale è un conflitto di interessi: da un lato ci sono quelli materni e dall’altro quelli filiali. D’altra parte, una mamma non può spendere tutte le energie che ha a disposizione per la propria prole. A volte deve pensare a se stessa e i figli devono fare da soli.

I pochi casi di indagini sul rifiuto materno-filiale sono stati condotti in condizioni di cattività per le scimmie e nei laboratori di psicologia per l’uomo. Queste limitazioni sono dovute al fatto che seguire le scimmie in libertà e da vicino è sempre molto difficile. Nel caso specifico dell’uomo le osservazioni sono state fatte con l’ausilio degli specchi unidirezionali nelle camere di osservazione, per non interferire sulla relazione madre-prole da parte dell’osservatore.

Si può credere che il rifiuto materno-filiale sia la manifestazione più naturale che si possa immaginare. Questo è vero, ma capirne le cause non è facile perché le variabili coinvolte nella relazione madre-figlio sono difficili da tenere sotto controllo. Quelle indipendenti sono l’età del piccolo, il fatto che la madre sia primipara o multipara, il numero delle maternità, il sesso dei figli, la posizione della madre nella scala gerarchica, i suoi legami di parentela con gli altri membri del gruppo eccetera, mentre quelle dipendenti sono i comportamenti manifesti dei quali è difficile interpretare le relazioni con le variabili indipendenti. Come fare per districare questa matassa? Per venirne a capo l’unica soluzione che rimane al ricercatore è quella di cominciare a studiare questo fenomeno in buone condizioni di cattività, per poi estrapolare i risultati ottenuti, con tutte le dovute cautele, all’uomo1. D’altra parte il legame che unisce l’uomo alle scimmie è molto stretto. Entrambi apparteniamo allo stesso Ordine zoologico, entrambi siamo dei mammiferi e abbiamo in comune molti comportamenti e aspetti psicologici. Ed è da qui che cominceremo.

Il rifiuto materno-filiale nelle scimmie

La specie con la quale inizieremo a muovere i primi passi è quella rhesus (Macaca mulatta). È la specie che viene preferita dai ricercatori in quanto è quella che viene tenuta in cattività senza molti problemi e che non modifica affatto la relazione madre-figlio/a sia che si trovi in queste condizioni, sia che si trovi in libertà. Una mamma di scimmia rhesus si relaziona con il proprio figlio o la propria figlia allo stesso modo in entrambe le situazioni, a meno che non si tratti di una diade forzatamente isolata dal suo gruppo di appartenenza.

Per iniziare questo studio è inoltre necessario considerare alcuni elementi non secondari che rendono l’osservazione difficile e il prelievo dei dati comunque complesso. Il primo è chi prende l’iniziativa del rifiuto al contatto fisico, è la mamma o la prole? Inoltre è necessario aspettare che la coppia si sia ricongiunta dopo una separazione; in quest’ultimo caso bisogna individuare chi prende l’iniziativa del ricongiungimento, cioè se sia la mamma o la prole. Un altro fatto non secondario riguarda l’atteggiamento pregiudiziale di molti ricercatori che considerano che sia sempre la mamma a dominare il ricongiungimento o la separazione. Al contrario di quanto si possa pensare, non è sempre così. In questo rapporto il ruolo della prole non è mai secondario2,3.

Ma che cos’è più esattamente il rifiuto materno-filiale? Questa volta la risposta è più facile del previsto, in quanto si tratta di una interruzione fisica o del rifiuto materiale al contatto fisico. Ma come si manifesta? Semplicemente quando la mamma decide di interrompere il contatto o di impedirlo quando il figlio si è già separato e intende ripristinarlo. Materialmente, per evitare il contatto fisico, la mamma interpone tra lei e la sua prole un braccio o gira le spalle per evitare che il figlio o la figlia si attacchi al suo ventre.

Noi pensiamo che tutte le mamme, incluse quelle umane, siano sempre disponibili alle iniziative infantili, che esse acconsentano sempre all’iniziativa del piccolo di separarsi o di ricongiungersi. In realtà una madre può sentirsi infastidita dalle iniziative infantili. Le ragioni di questa disponibilità, o non disponibilità, materna a tutte le intenzioni infantili possono essere dovute al fatto che le mamme sentano l’esigenza di restare sole e gestire la loro vita in libertà e poi alla necessità che i piccoli comincino al più presto a gestire la loro vita sociale e quindi inizino ad interagire con il resto del gruppo, soprattutto con i coetanei. Comunque, tutto questo spesso dipende dal ruolo sociale che le mamme rivestono nel gruppo di appartenenza. È vero che tutte le mamme desiderano che i loro figli comincino al più presto a relazionarsi con gli altri, ma è altrettanto vero che prendono sempre in considerazione il fatto che la prole lo faccia in totale sicurezza.

È vero che i piccoli, una volta lontani dalla madre, incrementano il gioco sociale con i propri coetanei e che questo è molto importante per il loro sviluppo, ma bisogna sempre valutare quanto sia pericoloso, o non pericoloso, farlo e soprattutto consentirlo. Nelle scimmie rhesus, a questo proposito, è stato osservato che i piccoli una volta separati dalla madre incrementano il gioco sociale soprattutto nel caso in cui nel gruppo siano presenti dei parenti, tanto meglio se molto stretti, cioè sorelle e fratelli più grandi oppure cugini e cugine che però ancora non abbiano raggiunto la maturità sessuale, perché dopo le cose potrebbero cambiare.

Non è infatti un caso che le mamme che rifiutano più spesso il contatto fisico dei loro piccoli sono quelle che si trovano in presenza di parenti e che sono, soprattutto, mamme dominanti. Infatti le mamme sottomesse sono molto più restie a che i loro piccoli si separino da loro per andare a giocare con i coetanei. Le mamme sottomesse tendono infatti a rifiutare il contatto dei loro figli molto meno rispetto alle mamme dominanti.

Ma come fanno le mamme a valutare i livelli di pericolosità cui vanno incontro i loro figli o le loro figlie una volta lontani da loro? Lo fanno molto bene perché intuiscono i pericoli sociali intorno a loro. Queste mamme, dominanti o sottomesse che siano, sono inoltre consapevoli delle conseguenze di una sottovalutazione di questo genere di cose soprattutto quando i loro figli sono ancora molto piccoli e quindi vulnerabili. In sostanza, un conto è essere figli di una mamma sottomessa e un altro conto è essere figli di una mamma dominante e la libertà di scelta della relazione madre-figlio è molto più ampia nel secondo caso. In sostanza, i rifiuti materni non hanno mai delle conseguenze di carattere generale sulla prole, ma sono specifici e valutabili abbastanza bene dalle mamme. I rifiuti sono sempre mirati. Non si manifestano mai a caso, altrimenti i pericoli sarebbero enormi per i piccoli che non hanno tutti gli strumenti per valutare le situazioni sociali in cui si trovano.

Però i piccoli non sempre sono inconsapevoli delle conseguenze del loro desiderio di allontanarsi dalla protezione materna, anche se rimanere attaccati al ventre materno serve sempre a evitare i pericoli più gravi. Se poi queste intuizioni infantili vengono adeguatamente interpretate dalle mamme, i risultati sono generalmente positivi per tutti.

In conclusione, la protezione da parte delle mamme va al di là del puro termine materiale costituto dal fatto di avere la propria prole attaccata o non attaccata al proprio ventre. Le mamme trasmettono ai loro figli la propria carica affettiva ad ogni modo e cercano sempre di evitare le situazioni più pericolose per i loro figli, sempre nei limiti delle loro condizioni sociali e della loro posizione gerarchica. Tutte le mamme cercano sempre di trasmettere ai loro figli disponibilità e consapevolezza, nonostante nelle scimmie sia difficile immaginare che una mamma sottomessa possa crescere dei figli che assumeranno da adulti dei ruoli di dominanza nei loro gruppi di appartenenza. Nelle scimmie il ruolo sociale di un individuo spesso viene stabilito sin dalla nascita.

Conclusioni

Non dobbiamo meravigliarci del fatto che il ruolo sociale in un gruppo di scimmie sia condizionato dalla estrazione sociale: il figlio di una mamma sottomessa è difficile che diventi un leader, mentre il figlio di una mamma dominante ha più probabilità che lo diventi. Chi ha studiato la vita sociale nelle scimmie (soprattutto macachi, babbuini e scimpanzé) lo sa molto bene. In un certo senso, purtroppo, anche nell’uomo questa è la regola, anche se è difficile ammetterlo. È molto poco probabile che un individuo che nasce e cresce in una famiglia disagiata e povera possa poi emergere e distinguersi nella società. Qualche volta capita, ma non è la norma. Ovviamente, ci sono degli individui che reagiscono e si ribellano a queste “assegnazioni” precostituite dei ruoli nella società, ma questi casi sono sempre molto rari e associati a tutti i rischi che questo comporta, perché la lotta per l’emancipazione spesso è impari. In tutte le società, di qualsiasi tipo, questi individui alla ricerca della loro libertà sono stati sempre considerati dei ribelli pericolosi. In una vera democrazia, questo non dovrebbe succedere, ma purtroppo è quello che capita.

In conclusione, sono proprio vere le parole di Jean-Jacques Rousseau che più di 250 anni fa scrisse:

Tutto è buono quando esce dalle mani del Creatore, tutto degenera nelle mani dell’uomo.

Note

1 Tartabini, A. 2015. AQS/SBQS: Re-adapted Q-sort procedure to study infant differences in rhesus monkeys attachment behaviour. Journal of Psychology and Behavioral Science, 3(2): 87-113.
2 Tartabini, A. 2015. Rejecting behaviour and separation initiatives as aspects of the mother-infant independence dynamics in rhesus monkey. Universal Journal of Psychology, 3(5): 142-146.
3 Tartabini, A. 2020. Conflict theory. Wall Street International Magazine, 3 Ottobre.