Siamo generalmente portati a credere che le visioni apocalittiche della storia siano il solitario prodotto di drastiche fantasie di scrittori distopici e pur raffinatissimi come George Orwell o Aldous Huxley e che, al di fuori dell’inquietante visionarietà letteraria, l’umanità possa invece trovare le acque tranquille delle proprie certezze abbeverandosi alla fonte apollinea delle scienze esatte. Così non è.

Nel 1973 Konrad Lorenz, considerato il fondatore della moderna etologia, la scienza del comportamento animale, oltre ad essere insignito, insieme a Karl von Frisch e Nikolaas Tinbergen, del Nobel per la medicina, scrive un testo emblematico per l’osservazione in senso evolutivo del comportamento di Homo Sapiens nel mondo contemporaneo: Gli otto peccati capitali della nostra civiltà.

Il testo precede di dieci anni un altro contributo fondamentale di Lorenz, Il declino dell’uomo, in cui lo scienziato sviluppa la sua analisi sul comportamento umano nella moderna civiltà paventandone al contempo la degenerazione: l’uomo, in quanto animale, è vincolato sì alla sua evoluzione biologica ma anche alla sua evoluzione culturale che, al contrario di quanto si è a lungo ritenuto, risponde alle medesime leggi della biologia.

Ciò significa che l’umanità, secondo Lorenz, potrà forse salvarsi dall’estinzione per inquinamento, sovrappopolazione e radioattività, ma per far ciò dovrà probabilmente ricorrere ad un’organizzazione statale così rigida da bloccare l’evoluzione dell’umanità stessa su una «via discendente»1. L’uomo, insomma, immerso nel macro-organismo del suo habitat, cioè il sistema socio-economico che egli stesso si è costruito, potrebbe gradatamente - o rapidamente - subire un processo che in nome del comandamento della «religione tecnocratica» porterebbe a quella che Lorenz chiama «atrofizzazione progressiva di ciò che rende “uomo” l’uomo stesso»2. L’essere umano, come un fiammifero, potrebbe insomma spegnersi accasciandosi sulla propria disumanità.

Tralasciando in questa sede uno dei fenomeni per così dire “patogeni” che Lorenz annovera tra i meccanismi sintomatici della deriva della civiltà, cioè il linguaggio verbale come correlato biologico, ci preme qui ricordare brevemente due modalità di degenerazione socio-culturale, pur legate al linguaggio, da cui lo scienziato mette in guardia nella sua argomentazione: lo scientismo e l’indottrinamento.

Se, nell’ambito della conoscenza, la specializzazione è diventata da un lato una camicia di forza che ha prodotto nell’uomo un generale «svuotamento di senso», dall’altro essa ha favorito nell’individuo moderno la «rinuncia coatta alla comprensione»3: nella società del futuro individui non specializzati si affideranno sempre di più a individui specializzati in un determinato dominio di conoscenza per ovvi motivi legati alle dinamiche della propria sopravvivenza.

Il riduzionismo ontologico o scientismo che prescrive che l’uomo sia un nient’altro-che, cioè nient’altro che «un mammifero dell’ordine dei primati» conoscibile solo mediante ciò che è osservabile e quantificabile, ha da un lato come presupposto quello di negare «che l’esperienza soggettiva abbia carattere di realtà»4, mentre dall’altro corre il rischio di alimentare «la dislocazione del senso della realtà dalla quale è affetta oggi l’economia mondiale»5 che insieme alla tecnocrazia alimenta a sua volta retroattivamente lo scientismo stesso.

In particolare, come già osservato da Teilhard de Chardin, lo scientismo tende, e tenderà sempre più secondo Lorenz, ad annullare le differenze di valore tra i sistemi viventi più semplici e quelli più complessi6: tutto diventerà insomma estremamente semplice in una società “senza individui”, una società che ingloba tutto e tutti sotto un’etichetta conoscitiva indifferenziante.

L’organizzazione a livello planetario che Lorenz preconizza si fonderà «su un immane tesoro di informazioni “scientifiche” comuni a tutta l’umanità. Ma il singolo individuo non avrà accesso che a un’infima parte di questo sapere»7.

La scienza, come del resto tutta la società, sarà soggetta al fenomeno che Alfred Thomas Kühn ha descritto come «autoimmunizzazione» e tutto ciò come conseguenza, dice Lorenz, della sua «massificazione»8. Troppi, infatti, secondo il padre dell’etologia, sono coloro che si rifiutano di ammettere nuovi ragionamenti e pertanto «l’autoimmunizzazione dell’opinione pubblica degli scienziati potrebbe condurre all’inaridimento totale della conoscenza scientifica della natura»9. Il sistema che oggi è aperto potrebbe drammaticamente “chiudersi”.

Lorenz parla della «nevrosi endemica» di un tipo di costruzione sociale che andrà sempre più chiaramente delineandosi e che vorrà, o dovrà, “immunizzarsi” dai corpi estranei dei dissidenti , una minoranza che inevitabilmente sarà destinata a maturare all’interno del macro-corpo sociale teso con ogni suo sforzo ad epurarla. Le strategie di epurazione descritte brevemente e con acume da Lorenz ci ricordano molto le scaramucce da scuola materna o le perversioni dei sistemi inquisitori dell’epoca medievale a cui Sapiens pare essere peraltro molto affezionato: i “sentimenti” degli individui (fedeltà, lealtà, entusiasmo) che seguono l’opinione sociale maggioritaria verranno canalizzati contro la parte minoritaria i cui appartenenti saranno di volta in volta bollati come «cattivi», «sciocchi» o «malati di mente»10. Pare insomma, dalle parole di Lorenz, che se la fratellanza universale è destinata a rimanere lettera stampata sulle moderne tavole della legge occidentale, un bullismo altrettanto planetario si appresta a diventare l’attività promossa da governi atti ad eludere le medesime leggi.

Com’è possibile? Attraverso l’indottrinamento. Lorenz, nella sua analisi del comportamento umano all’interno della moderna civiltà, giunge ad un inquietante paragone coniando un termine che ben descrive la crescente fisionomia parassitaria dell’habitus cognitivo dell’uomo contemporaneo: la «sacculinizzazione»11.

La Sacculina carcini è un parassita che si insedia nel granchio della sabbia, il Carcinides maenas, ed è chiamato in causa da Lorenz come esempio di «evoluzione demolitrice», un tipo di movimento evolutivo che si dirige secondo una diminuzione anziché un incremento di valore. La strategia parassitaria della sacculina è quella di aggredire il suo ospite penetrando al suo interno, rinunciando a occhi, zampe e sistema nervoso per trasformarsi in una ghiandola riproduttiva che dipende in tutto dal corpo dell’ospite.

Il parassita, dice Lorenz, conta sul fatto che sarà l’ospite ad occuparsi di tutto quanto serve alla sopravvivenza e, rinunciando alla propria autonomia, rinuncerà anche alla «quantità di informazione descrittiva» sull’ambiente circostante che ad un individuo autonomo è necessaria per vivere. La sacculina demanda tutto all’ospite. Essa non possiede alcuna «informazione» su alcun elemento del proprio ambiente: le basta “sapere” ciò che “sa” l’organismo che le permette di sopravvivere.

Lorenz osserva con rammarico che la specie umana «rivela ormai inconfondibili segni corporei di domesticazione»12, intendendo con quest’ultima proprio una modalità di evoluzione demolitrice nel senso di un progressivo allentamento delle capacità di adattamento specifico che un individuo sviluppa per vivere in modo autonomo e non “dipendente” come nel caso dei parassiti e dei simbionti.

Spie di questo movimento discendente sono, secondo lo scienziato che scrive molto prima della rivoluzione posta in atto dal web, la rapida diffusione delle conoscenze e il livellamento delle opinioni che all’interno di un gruppo sociale tendono a creare unità e fraterna complicità13.

Un pericolo che pare profilarsi all’orizzonte è quello infatti che pochissimi organi ubbidienti comincino a diffondere le opinioni dei maggiori complessi industriali14. Questo sarà uno dei modi in cui la «crescita quantitativa» porrà fine a quella che Lorenz chiama «evoluzione creatrice» e che, se è ben lontana dalla fede teleologica di un Teilhard de Chardin che pure egli ammira e che vede nella storia evolutiva creazionista un traguardo prestabilito che l’umanità è chiamata a raggiungere, tiene però ben presente che quello che accadrà all’animale uomo dipenderà «da processi che si svolgeranno esclusivamente all’interno dell’uomo stesso»15.

Nel tentativo di stornare il fantasma dell’indottrinamento come male endemico della nuova umanità, il padre dell’etologia si spinge a formulare un’ulteriore drastica ipotesi:

La grande maggioranza degli individui attualmente viventi offre una certa resistenza ai rapidi mutamenti genetici. Ma non possiamo prevedere fino a quando il complesso dei geni dell’uomo attuale, per quanto numerosi siano i geni, riuscirà a resistere a una pressione selettiva che accorda la sua preferenza, in modo particolarmente pressante, ai caratteri della sottomissione acritica e della arrendevolezza all’indottrinamento16.

Pare insomma che il fondatore della moderna etologia avesse già molto tempo fa compreso e messo in guardia da alcune delle linee di deriva che come “possibilità” minacciano l’agire apparentemente incontrastato di Homo Sapiens sul Pianeta Terra.

Sulla scorta delle sue indicazioni, non resta allora che augurarsi che il pensiero scientifico non diventi dogma industriale per tramutarsi paradossalmente in quel suo opposto che per secoli ha combattuto: la superstizione. Tutti i sistemi rigidi e non-flessibili gridano infatti all’idolatria quando qualcosa li minaccia.

La scienza, invece, dice Lorenz «è, nella sua essenza, una parente altrettanto stretta dell’arte quanto il comportamento curioso è parente stretto del gioco»17. È Homo ludens che trova soluzioni ai problemi: l’uomo che “gioca”. Homo oeconomicus passa in genere alla cassa per ritirare i profitti di Ludens. Ma in una comunità di individui che usano educazione e istruzione come arma di coazione domesticante non c’è né scienza né arte né gioco. Soprattutto non ci sono individui.

Note

1 K. Lorenz, Il declino dell’uomo, Fabbri Editori, Milano 2004, p. 170.
2 Ibid.
3 Ivi, p. 149.
4 Ivi, p. 163.
5 Ivi, p. 165.
6 Ivi, p. 163.
7 Ivi, p. 171.
8 Ivi, p. 172.
9 Ibid.
10 Ibid.
11 Ivi, p. 43.
12 Ivi, p. 46.
13 Ivi, p. 57.
14 Ivi, p. 141.
15 Ivi, p. 74.
16 Ivi, p. 172.
17 Ivi, p. 68.