A causa dell’invecchiamento crescente della popolazione la malattia di Alzheimer, e più in generale la demenza, sta assumendo una dimensione notevolmente problematica: si stima che in Italia vi siano circa 1.000.000 di persone affette (6-9% delle persone ultrasessantacinquenni). Il nodo critico della demenza risiede nell’alto grado di compromissione funzionale che limita drasticamente il malato nell’adempimento delle attività quotidiane, fino a determinare la completa disabilità e dipendenza da chi se ne prende cura. Nel nostro Paese oltre l’80% delle persone con demenza è assistito tra le mura domestiche da un familiare, caregiver primario, che assolve tale compito senza specifiche competenze e solitamente senza un’adeguata conoscenza della patologia. Per questo motivo, lavorando in questo settore da più di venti anni, ho pensato di riportare le dieci domande più frequenti raccolte nel tempo da parte dei familiari e di tutte quelle persone che vivono tutti i giorni i problemi dell’assistenza, per cercare di fornire un aiuto immediato e utile.

1. Che cosa è la malattia di Alzheimer?

La malattia di Alzheimer, così chiamata dal nome del neurologo tedesco che per primo la descrisse all’inizio del XX secolo, è una malattia degenerativa primaria del cervello provocata da un accumulo anomalo di una proteina, detta proteina beta-amiloide. Questa malattia colpisce principalmente le persone in età senile e causa un deterioramento ingravescente delle funzioni cognitive e del comportamento: il paziente perde progressivamente l’autonomia funzionale e la capacità di interagire in modo congruo con l’ambiente circostante.

2. Quali sono i primi sintomi per riconoscere questa patologia?

L’esordio della malattia è insidioso e spesso i pazienti giungono per la prima volta all’osservazione del medico dopo 4 o 5 anni dalle prime avvisaglie. I disturbi tipicamente riguardano la memoria recente, la capacità di critica, l’orientamento spazio-temporale, il linguaggio. Va precisato che sono tutti sintomi comuni a molte altre malattie dell’età senile; pertanto, è importante evitare allarmismi e rivolgersi quanto prima a centri specializzati per effettuare una corretta diagnosi differenziale.

3. La malattia può esordire anche con la depressione?

Non è infrequente che la malattia di Alzheimer esordisca con problematiche comportamentali che possono facilmente essere confuse con una sindrome depressiva. Altri sintomi comportamentali spesso presenti all’inizio della malattia sono: apatia, ritiro sociale, irritabilità, labilità emotiva, cambio di carattere o eccessiva accentuazione del carattere preesistente. Ripeto, come già specificato sopra per gli aspetti cognitivi, che questi sono sintomi comuni a molte altre malattie dell’età senile; pertanto, è importante evitare allarmismi e rivolgersi quanto prima a centri specializzati per effettuare una corretta diagnosi differenziale.

4. La malattia di Alzheimer è l’unica forma di demenza?

La malattia di Alzheimer rappresenta il 60% di tutte le forme di demenza, cioè un disturbo delle funzioni cognitive tale da ridurre significativamente l’autonomia nella vita quotidiana. Non essendo la sola forma di demenza ed esistendo anche forme potenzialmente reversibili, una diagnosi accurata e precoce è fondamentale.

5. Si può guarire?

Al momento non è possibile guarire dalla malattia di Alzheimer. Esistono comunque in commercio, in regime di rimborsabilità dal Servizio Sanitario Nazionale, farmaci in grado di rallentarne la progressione. Numerose sperimentazioni sono in corso, ma una soluzione definitiva è ancora lontana. Abbiamo inoltre a disposizione farmaci in grado di contenere, o almeno rendere gestibili, i disturbi comportamentali che spesso compaiono lungo il decorso di questa patologia.

6. È una malattia ereditaria?

La malattia di Alzheimer è una malattia sporadica; i casi familiari sono molto rari (riguardano una percentuale inferiore al 1%) ed esordiscono in età più giovane (40-50 anni).

7. Qual è l’aspettativa di vita?

L’aspettativa di vita di una persona malata di Alzheimer è molto varia e si colloca solitamente tra i 5 e i 15 anni. Non sono comunque infrequenti le eccezioni: ogni malato ha la sua storia.

8. Ho spesso sentito parlare d'interventi non farmacologici che possono essere adottati per il malato di Alzheimer, quali sono?

Negli ultimi anni si sono dimostrati sempre più utili nella gestione del paziente affetto da malattia di Alzheimer i cosiddetti approcci non farmacologici. Essi consistono in varie tecniche di riattivazione come riabilitazione cognitiva e neuromotoria, terapia occupazionale, terapia assistita con animali, musicoterapia, arteterapia, museoterapia e molte altre. Efficaci nel rallentare il declino cognitivo queste metodiche costituiscono anche una risorsa fondamentale per ridurre il carico assistenziale delle famiglie.

9. Esistono dei centri specializzati per la cura di questa patologia?

Distribuiti su tutto il territorio esistono molti centri specialistici multidisciplinari afferenti al Servizio Sanitario Nazionale, diretti in genere da geriatri, neurologi o psichiatri, cui spetta il compito di diagnosticare e trattare in modo appropriato la malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza. Tramite questi centri, al momento noti come Centri CDCD (Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze), è possibile anche avere informazioni su, e in alcuni casi attivare i servizi dedicati e ricevere il necessario e fondamentale sostegno psicologico.

10. Quali sono gli altri servizi pubblici dedicati?

I malati di Alzheimer e di demenza in generale possono usufruire di varie tipologie di servizi assistenziali pubblici: assistenza domiciliare delle ASL o del Comune, strutture semiresidenziali e strutture residenziali. È possibile ottenere tutte le informazioni necessarie sulla localizzazione e le modalità di accesso e funzionamento di questi servizi presso i Centri CDCD, i municipi, le ASL o contattando una delle molte associazioni di volontariato presenti sul territorio nazionale. Ovviamente le modalità assistenziali vanno adeguate secondo le diverse fasi della malattia e le esigenze/difficoltà di chi accudisce il paziente.