Il concetto che “il tutto è più della somma delle parti” non è un ragionamento nuovo, anzi le sue radici affondano nella storia millenaria di varie antiche civiltà (come, ad esempio, quella cinese e indiana) che si riconoscevano in un principio unitario e indivisibile del mondo, e dove il corpo era considerato nella sua integrità, in relazione a ciò che lo circondava.

Sulla scia di questa saggezza, alcune frange della scienza moderna hanno scoperto nuovi approcci sistemici alla realtà materiale, dove non contano solo le singole parti isolate l’una dall’altra, ma anche le loro mutue interazioni.

Ad esempio, nell’ambito della genetica, negli ultimi decenni sono stati compiuti enormi progressi e uno dei temi che ha richiamato l’attenzione dei biologi riguarda l’influenza dell’ambiente sull’espressione del DNA.

Questo interesse ha dato vita a una nuova disciplina chiamata epigenetica (il termine deriva dal greco e significa “al di là dei geni”), finalizzata allo studio di tutti quei fenomeni contraddistinti solo da cambiamenti fenotipici (espressione del DNA), senza alcuna modifica della matrice genotipica.

In altre parole, si è scoperto che determinati stimoli ambientali sotto forma di composti chimici di sintesi (inquinanti atmosferici, pesticidi, diserbanti, coloranti, conservanti, interferenti endocrini, ecc.), sostanze bioattive di origine vegetale, campi elettromagnetici, ecc., possono modificare radicalmente la funzione, ma non la struttura, di alcuni tratti di DNA, determinando l’attivazione o inibizione di specifiche sequenze geniche.

Pertanto, qualsiasi stimolo che abbia una ripercussione su un gene e di conseguenza sulla sintesi di una o più proteine, può essere considerato un fattore epigenetico di importanza rilevante. Alla luce di queste considerazioni il progetto biologico che sottintende alla vita, dovrebbe essere reinquadrato sulla base di due codici fondamentali: uno stabile, costituito dalla matrice del DNA, l’altro variabile e soggetto all’azione delle dinamiche epigenetiche scatenate da vari fattori ambientali.

I meccanismi molecolari associati a questi effetti sono influenzati da particolari modificazioni chimiche (metilazione, acetilazione, fosforilazione, ecc.) che prevedono l’intervento di specifici marcatori capaci di legarsi al DNA o allo strato di proteine (istoni), intorno al quale il materiale genetico si avvolge.

Questo fenomeno permette di attivare una destrutturazione, più o meno reversibile, di alcuni tratti del DNA, in modo da aprire dei varchi utili alla lettura di alcune sequenze, attraverso i quali è possibile silenziare o attivare l’espressione di determinati geni.

Nelle piante e negli animali (compreso l’uomo) esistono numerosi meccanismi in grado d’influenzare l’assetto epigenetico. La metilazione, in particolare, svolge un ruolo importante nei processi di “spegnimento” o disattivazione di molti geni; questa reazione avviene con l’ausilio di specifici enzimi (metiltransferasi), i quali permettono a piccoli gruppi chimici metilici di legarsi al DNA, generalmente a livello della base citosina. Tale reazione può avere vita breve oppure persistere per lungo tempo, in tal caso l’effetto può essere mantenuto per varie generazioni.

Un’altra conferma dell’inaspettata plasticità del DNA arriva dagli insetti, i quali risultano particolarmente sensibili agli stimoli ambientali, come ad esempio la luce, la temperatura o il cibo. Emblematico, al riguardo, è la differenza somatica che contraddistingue l’ape regina rispetto alle operaie. Tale difformità non è dovuta a differenze genetiche ma a un diverso apporto nutritivo: le larve destinate a diventare regine sono nutrite con la “pappa reale”, uno speciale cibo prodotto dalle ghiandole faringee delle api operaie, ricco di amminoacidi, enzimi, oligoelementi e vitamine, tra cui quelle del gruppo B, come acido pantotenico e acido folico. Questa dieta speciale è in grado di influire sull’espressione dei geni, attraverso uno specifico meccanismo epigenetico (metilazione del DNA).

Questi fenomeni sono alla base di processi biologici di fondamentale importanza per la vita di molti altri esseri viventi, compreso l’uomo.

Il cibo, oltre a costituire una fonte di calorie, è in grado di modulare informazioni molecolari capaci di interagire con alcuni tratti del DNA, interferendo sugli “interruttori” che accendono o spengono l’espressione dei geni. Alcune sostanze, come l’acido folico (vitamina B9), partecipano attivamente allo sviluppo del sistema nervoso centrale; una carenza di questo composto, infatti, è responsabile dell’insorgenza della cosiddetta “spina bifida”, malformazione della spina dorsale caratterizzata da uno sviluppo incompleto di alcune vertebre, con gravi conseguente sulle meningi e il midollo spinale.

Molti principi attivi, tra cui curcumina, resveratrolo, epigallocatechina gallato e sulforafano, noti per le loro proprietà antiossidanti e anticancerogene, partecipano all’inibizione di alcuni enzimi metilanti, implicati nell’insorgenza di stati infiammatori cronici associati a varie forme tumorali. Anche una “restrizione” dell’apporto calorico influisce positivamente sulla riduzione dello stress ossidativo, sul metabolismo del glucosio e sull’attivazione di particolari geni direttamente coinvolti nei meccanismi di riparazione dei danni subiti dal DNA. Purtroppo, le stesse ricerche hanno evidenziato che l’inquinamento (metalli tossici, pesticidi, erbicidi, conservanti, additivi alimentari ecc.), l’ansia, la depressione e lo stress psicologico possono interferire in maniera negativa sui meccanismi di modulazione dei geni codificanti per il sistema immunitario e ormonale.

Pertanto, quello che “mangiamo”, “sentiamo” e “pensiamo” influisce sulla qualità della nostra vita presente e futura. Il progetto biologico di ogni essere vivente deve essere interpretato secondo due codici fondamentali: uno di natura stabile, costituito dalla matrice biochimica del DNA (genotipo), l’altro più incline alla flessibilità (fenotipo) e sensibile all’azione epigenetica modulata dai fattori ambientali.

Il DNA contenuto nelle nostre cellule non è più considerato un materiale organico fisso e immutabile. Un essere umano è molto più della somma dei suoi geni: rappresenta l’espressione di una crescente complessità basata su una fitta rete di relazioni e interconnessioni tra il proprio organismo e il mondo che lo circonda.