Attraverso l’antichità e nei secoli che seguirono, lo studio del mondo vivente era conosciuto come storia naturale e quelli che lo perseguivano erano conosciuti come naturalisti. Le idee degli antichi sulle piante e gli animali erano riportate in grande dettaglio negli enciclopedici lavori di quattro maestri - Aristotele, Teofrasto, Plinio il Vecchio e Dioscoride - tutti disponibili per gli umanisti italiani in edizioni a stampa in greco e in latino. Aristotele era l’autore classico maggiormente disponibile per gli studiosi rinascimentali. I suoi numerosi lavori includevano molti trattati sugli animali, compresa la Historia animalium. Mentre le osservazioni di Aristotele sulle piante erano meno accurate delle sue osservazioni sugli animali, il suo discepolo e successore Teofrasto era un appassionato osservatore botanico. Il suo trattato De historia plantarum fu un lavoro pionieristico che rese Teofrasto famoso come “padre della botanica”. Comunque, anche se Teofrasto era maestro nelle categorie botaniche, la sua botanica rimase puramente descrittiva. Non investigò mai alcuna causa fondamentale e la sua “ecologia” fu scarsa e lacunosa. “Era una grande figura del suo tempo”, commenta Emboden, “ma non bisogna paragonarlo a nessun botanico rinascimentale, tantomeno a Leonardo da Vinci”.

Nel primo secolo d.C., il naturalista romano Plinio il Vecchio (Caius Plinius) scrisse un’enciclopedia monumentale intitolata Historia naturalis, comprensiva di 37 libri, che divenne l’enciclopedia scientifica favorita nel Medioevo e nel Rinascimento. In questo enorme compendio Plinio menziona più di mille piante, un numero mai raggiunto in nessun altro libro fino al Rinascimento. Però, secondo Emboden, “non c’è nessuna prova di comprensione o indagine” in alcuna di queste registrazioni. Nei secoli successivi la botanica fu spesso considerata una sottodisciplina della medicina, dal momento che le piante erano studiate principalmente per il loro uso nelle arti curative. Per secoli, il testo autorevole in questo campo fu De materia medica del medico greco Dioscoride, che era un contemporaneo di Plinio. Conteneva riferimenti a 600 specie di piante, organizzate in tre categorie: aromatiche, alimentari e medicinali. Il lavoro venne presto tradotto in arabo e latino e alcune edizioni furono sontuosamente illustrate.

La Materia medica rimase la sola autorità su cui i medici fecero affidamento fino al Rinascimento. Nessun medicamento era considerato lecito se non vi si trovava. Questo uso dogmatico ha grandemente ostacolato lo sviluppo di un pensiero originale sulla botanica ed ha inquadrato la stessa come disciplina quasi esclusivamente al servizio della medicina. Fino al sedicesimo secolo le piante non erano studiate come entità a sé stanti, ma solamente come accessorie alla cura e alle arti mediche. Gli unici altri scritti sulle piante trattavano dei loro usi culinari o del loro ruolo come elementi decorativi del giardino.

Il quindicesimo secolo fu l’epoca degli erbari rinascimentali - libri botanici che contenevano descrizioni e illustrazioni di erbe e piante e le loro proprietà mediche. Con la recente invenzione del torchio da stampa, potevano essere prodotte numerose copie di testi standard mentre l’uso di xilografie e lastre di rame rese possibile per la prima volta riprodurre illustrazioni con totale accuratezza. Presto un gran numero di erbari, modellati sulla materia medica, comparvero da stamperie di tutta Europa e divennero estremamente popolari. La maggior parte degli erbari del quindicesimo secolo divennero edizioni multiple, spesso con titoli diversi. Così un singolo lavoro poteva essere conosciuto sotto nomi diversi il che causò una notevole confusione tra gli storici della botanica e della medicina.

Leonardo aveva grande familiarità con i testi dei naturalisti classici ma si rifiutava di seguire i loro insegnamenti in modo acritico. Invero, egli disprezzava gli studiosi ufficiali che si limitavano a citare i classici in latino e greco. “Costoro vanno sconfiati e pomposi” scrisse pieno di risentimento “vestiti e ornati non delle loro, ma delle altrui fatiche”. Leonardo studiò sempre i testi classici con attenzione, ma poi li mise alla prova sottoponendoli a un rigoroso confronto con la sua osservazione diretta della natura.

Le note di Leonardo sulla botanica sono sparse attraverso i Codici, cui si aggiunge un’ampia sezione sulla botanica nella Sesta Parte del Trattato della pittura, la famosa antologia messa insieme dopo la morte di Leonardo dal suo discepolo Francesco Melzi. Come hanno notato Emboden e altri storici, tra i manoscritti rimanenti di Leonardo può essere trovato meno di metà del materiale del Trattato, a indicare che parti sostanziali dei suoi scritti sono andate perdute. Infatti, Carlo Pedretti ha concluso dalla sua esaustiva analisi della cronologia del Trattato, che Melzi deve aver copiato le sezioni di botanica da un intero manoscritto sulla botanica scritto da Leonardo e andato perduto.

Emboden ha anche sottolineato che la presentazione e la nota botanica sul foglio che rappresenta un giunco e una stiancia suggerisce una foglia da un trattato sulle piante, e Pedretti ha suggerito che Leonardo si sia potuto riferire a tale trattato su un altro foglio della collezione Windsor, dove menziona un progettato “discorso dell’erbe”. Il formato di tale manoscritto avrebbe potuto essere quello dei manuali classici, ma i suoi contenuti sarebbero andati ben oltre quelli dell’erbario tradizionale. “Sembrerebbe”, scrive Emboden, “che Leonardo avesse ogni intenzione di scrivere, o in effetti scrisse, un trattato che spiegasse ogni aspetto della crescita delle piante a lui noto”.

Al centro della teoria botanica di Leonardo troviamo i due importanti temi che appaiono anche nelle altre branche della sua scienza - le forme organiche e gli schemi della natura e i processi di metabolismo e crescita che vi sottostanno. Nei secoli successivi le investigazioni di questi due temi fecero emergere due diramazioni principali della botanica moderna, la morfologia e la fisiologia delle piante. Il termine “morfologia” fu coniato nel diciottesimo secolo dal poeta e scienziato tedesco Johann Wolfgang von Goethe, e il suo oggetto, lo studio della forma biologica, divenne la principale preoccupazione dei biologi della fine del diciottesimo e dell’inizio del diciannovesimo secolo. Lo sviluppo della fisiologia delle piante venne attivato dai grandi avanzamenti in chimica nel diciottesimo secolo. Un secolo più tardi, la perfezione del microscopio permise la crescita di una nuova branca della botanica, l’anatomia delle piante, dedicata allo studio delle strutture e delle parti delle piante, comprese le caratteristiche invisibili ad occhio nudo.

Leonardo, dunque, fu un precursore di due delle tre principali branche della botanica, la morfologia e la fisiologia delle piante. Nei suoi studi morfologici Leonardo osservò e registrò vari schemi di crescita e ramificazione di fiori e piante. In particolare, notò le diverse disposizioni di rami e foglie intorno al gambo - un campo di studi conosciuto nella botanica moderna come fillotassi. Nella sua fisiologia delle piante, egli era interessato in modo particolare al nutrimento delle piante attraverso la luce del sole e l’acqua, nonché al trasporto della “linfa vitale” (zucchero e ormoni nel linguaggio moderno) attraverso i tessuti delle piante. Egli distinse correttamente due tipi di tessuti vascolari conosciuti oggi come floema e xilema e fece delle acute osservazioni sui movimenti della linfa quando l’albero è leso. Leonardo fu anche il primo a riconoscere che l’età di un albero corrisponde al numero di anelli nella sezione trasversale del suo tronco, e che l’ampiezza degli anelli è collegata all’umidità o secchezza di quegli anni. Non tutte le osservazioni botaniche di Leonardo erano originali, ma egli le articolò sempre assai meglio dei suoi contemporanei. In verità, le sezioni botaniche del Trattato della pittura equivalgono a degli autentici studi di botanica teorica.

Testo tratto da: La botanica di Leonardo: un discorso sulla scienza delle qualità, di F. Capra

In collaborazione con: www.abocamuseum.it