Vespera adest, iuvenes consurgite: Vesper Olympo/ expectata diu vix tandem lumina tollit. / surgere iam tempus, iam pinguis linquere mensas. / iam veniet virgo, iam dicetur Hymenaeus. / Hymen o Hymenaee, Hymen ades o Hymenaee!..."Viene la sera e Vespero nel cielo / dopo estenuante attesa accende la sua luce. / In piedi, in piedi giovani; via dalle mense: / qui verrà la sposa, si canterà l’imeneo. / Imen o Imeneo, Imen vieni o Imeneo…"

Così Catullo poetizza Imene, il bellissimo giovinetto pronubo dei matrimoni, immortalato poi nelle arti figurative dalla classicità a Poussin, a Braque. Ma se dalla letteratura e dall'arte passiamo alla scienza e dalla I maiuscola di Imene a quella minuscola dell'imene, ecco venirci incontro un geniale e vulcanico medico riminese che nella difesa di questa controversa parte dell'anatomia femminile spese studi e fama, contrastato e sbeffeggiato dai suoi contemporanei che gli dedicarono un velenoso epitaffio: "A tutti dei e dee d'Averno/ Qui giaccion l'ossa di un baron f.../ che disse mal fin del Padre Eterno/ Il nome di costui fu Giovan Bianchi/ Se tu preghi per lui di fede manchi/tutto il senato ed il popolo di Rimini/ ad un suo cittadino/ più sacrilego e osceno di Calvino".

Stiamo parlando di Giovanni Bianchi (1693-1775), studioso di anatomia, zoologia, geografia, epigrafia, scienziato e collezionista riminese. Figura di spicco nella cultura italiana ed europea del XVIII secolo, si batté polemicamente per svecchiare l'asfittica cultura accademica di derivazione umanistica e rifondò nella sua Rimini l'Accademia dei Lincei, la benemerita istituzione promotrice di una moderna visione della scienza e trasformò il suo nome, facilmente confondibile, in quello, latineggiante, di Janus Plancus. Poi, per passare dalla teoria alla prassi, promosse l'edificazione di una sorta di osservatorio costiero, la Domus Marina, di forma ottagonale con i lati orientati nella direzione dei principali venti, corredata di telescopi ed altri strumenti scientifici per lo studio delle maree.

Della sua abitazione fece un centro di studi e un museo, a metà strada tra il gusto barocco per la "meraviglia" e il rigore illuministico, dove si alternavano reperti archeologici, medaglie, libri antichi e un'inquietante collezione di "preparati anatomici". Proprio per la sua propensione a sezionare cadaveri risultò inviso agli ambienti più retrivi della città, anche se, nel 1769, Clemente XIV lo insignì del titolo di "archiatra pontificio" e il Granducato di Toscana gli affidò all'università di Siena una cattedra che dovette poi abbandonare per contrasti con i suoi colleghi. Perché?

Facciamo un passo indietro e ritorniamo al suo singolarissimo museo, in una delle vetrinette della sezione anatomopatologica era esposta una serie di "imeni secchi". No, non era una forma di mania feticistica, era una delle battaglie anatomiche che il Plancus conduceva contro i negatori della presenza dell'imene femminile, per cui era sbeffeggiato dai suoi colleghi toscani. E la sua furia "documentaria" lo portò a incontrare il sorprendente caso di Teresa Vizzani, che descrisse con dovizia di particolari e riflessioni: "Strani veramente e incredibili oltremodo sono talora gli appetiti umani, massimamente ne' fatti d'amore …" E infatti, fin da giovinetta, Teresa nutrì una spiccata propensione per il suo stesso sesso, tanto che, scoperta una sua relazione omosessuale, fu costretta a fuggire e, per evitare altri incresciosi episodi, si travestì da maschio e si allogò, come servitore, presso facoltose famiglie. Non solo, per meglio mimetizzarsi e non destare ulteriori sospetti, si dotò di un "bel piuolo di cuoio ripieno di cenci, che sotto la camisa teneva e, sempre coperto … a' suoi compagni per baldanza mostrava …" Si creò così la nomea di maschio superdotato e Giovanni, così si era fatta chiamare, fu etichettato come "il maggior donnajuolo di questa terra".

Ma questa sua insperata e indebita fama portò Teresa alla rovina, perché, invaghitasi di una ragazza, la sedusse al punto da convincerla a fuggire con lei. Tallonate dai parenti e raggiunte in quel di Siena, s'inscenò un cruento duello da western, con Giovanni-Teresa che estrasse la pistola e la puntò verso gli inseguitori che risposero con un colpo di archibugio che la ferì gravemente. Trasportata all'ospedale di Siena, spirò dopo qualche giorno e, scopertane la vera identità sessuale e la verginità, divenne un "caso", il suo cadavere oggetto di curiosità, di devozione e addirittura fonte di reliquie. Per evitarne lo scempio, intervenne e ne approfittò il Plancus che, dissezionandone i genitali, se ne servì per dimostrare ancora una volta che l'imene "è una cosa certissima, che in tutte le fanciulle che sono veramente vergini si ritrova …".

L'atteggiamento del Bianchi fu, comunque, di grande apertura, di grande umanità e "simpatia" per le vicissitudini di questa "donna finto uomo", il medico riminese, infatti, concluse la sua relazione clinica così: "In questa guisa finì di vivere questa giovane in età di venticinque anni in circa, dopo d'averne ben otto impiegati in abito da uomo sempre vestendo, e per uomo in questo spazio di tempo da ognuno essendo riconosciuta … e grandissimi segni di costanza in tutto questo tempo nel conservare il suo proposito dimostrò e non lasciarsi mai vincere dall'amore di alcun uomo … ma dall'altro canto molta baldanza e follia adoperando nel voler solamente tener dietro alle donne, queste sole focosamente amando, e per esse a grandissimi pericoli e alla morte persino sottoponendosi".

E se “Plancus”, questo studioso e clinico dalla cultura enciclopedica, ebbe molti oppositori e calunniatori, ricordiamolo invece con i versi elogiativi che gli dedicò un suo grande concittadino, quell’Aurelio Bertola che fu uno dei primi interpreti italiani del nascente Romanticismo: “Buon per te Rimino / che Bianchi vive, / che franco e libero / consulta e scrive …”.