In un pomeriggio di un inverno senza inverno, seduto al tavolino di un caffè di Firenze che sembra un caffè di Venezia, Giuseppe Di Leva parla dell’amico musicista Hans Werner Henze.

“Henze aveva autoironia, cosa non comune fra gli intellettuali di sinistra. Oggi, in TV, recitano l’autoironia, poi si prendono, ridicolmente, sul serio”. “Erano capaci di grandi gesti, gli intellettuali di sinistra”. “Era una generazione che diceva meno ovvietà. Anche quelli presi da se stessi, non erano come adesso”. “Visconti, che era fra quelli che si prendevano più sul serio, aveva autoironia. Metteva le canzonette nei film, Testarda io (La mia solitudine sei tu), della Zanicchi, in Gruppo di famiglia in un interno”. “Henze non voleva essere né sembrare cinico. C’era un di più di tolleranza, allora”. “Era molto gauchiste, più il linea di principio che nelle cose pratiche. Sempre in giro, parlava tedesco, italiano, inglese, spagnolo. Passava molto tempo a Cuba, quando il regime sembrava illuminato. Era anti-mondano, però una sua strana mondanità ce l’aveva. Era un personaggio internazionale, dirlo così è un po’ cretino, ma era di casa a Berlino, a Londra, a Roma… Per questo ha scelto me, non che mi piaccia, ma sono molto italiano”. “Si sentiva emarginato, stava dalla parte dei melodici e in Francia la sua musica non fu suonata per più di mezzo secolo perché Boulez, che stava dall’altra parte, non voleva”. “Era un bell’uomo, di grande persuasione”.

Henze è morto due anni fa mentre era in viaggio verso la novantina e Di Leva gli ha appena dedicato un volumetto, Per Hans Werner Henze (S-EriPrint editore), che raccoglie “le cose che ho avuto occasione di scrivere su Hans”. Di Leva è autore dei libretti di Don Chisciotte, I muti di Portici e Pollicino, l’opera di Henze del 1980 destinata ai bambini che sarà rappresentata dal 24 al 28 febbraio al Teatro Goldoni di Firenze. Il Di Leva librettista si deve alle doti di persuasione di Henze. I due si erano conosciuti nel ’67, a Marino, dove il musicista tedesco abitava. Ed è avvincente sentire la storia di come il giovane Giuseppe arrivò nella villa laziale di Henze, introdotto da Vespignani, e divenne poi amico del suo ospite. Raccontiamo qualche pezzetto di questa storia.

Il principio a Trento, dove lo studente Di Leva raccoglieva quadri per finanziare il movimento studentesco, con l’incoraggiamento del famosissimo Giovanni Camuffo, gallerista della Pop Art in Italia, citato anche da Rotella e Christo. In una serata indimenticabile a Venezia, sulle note della bossa nova Il funerale del lavoratore, Camuffo disse a Di Leva e compagni: “L’idea è praticabile. Vi presento agli artisti. A patto che non vendiate sottocosto”. E gli studenti non vendettero sottocosto, a una mostra alla Marconi di Milano, nel ’67 / ’68 incassarono 13 milioni. Vendendo quadri, Di Leva conosce Vespignani con il quale nasce un’immediata amicizia, proseguita negli anni. “Mi ricordo ancora il suo numero di telefono: 06 7310541. Chissà di chi è adesso”. Poi visse a casa sua, quando Vespignani andò a Bracciano. “A fine anni Sessanta mi porta a Marino e conosco Henze, con il suo fidanzato nerissimo di capelli. Vespignani aveva lavorato con lui quindici anni prima per Visconti”.

Visconti suggerì a Henze di fare Il principe di Homburg di von Kleist.“Nel ’75 Hans è giurato a Montepulciano per un concorso di canto, si innamora del luogo e si mette in testa di fare il Cantiere internazionale d’arte. Vuole inaugurare con il Don Chisciotte di Paisiello. Paisiello è l’Italia: opera buffa, ricchi e poveri insieme. Dell’opera non c’è nemmeno la partitura, va rintracciata in biblioteca a Napoli”. Il 20 dicembre di quell’anno, Di Leva risponde di mala voglia al telefono. “Hans mi propone di riscrivere il libretto di Don Chisciotte di Paisiello-Lorenzi. Lui, appunto, riscriverà la musica. E’ accaduto che il carissimo Renzo Vespignani gli abbia fatto leggere il mio primo testo teatrale, immaginato per una piazza. Ad Hans è piaciuto, il suo Don Chisciotte si rappresenterà in piazza- ecco il motivo per cui ha pensato a me per il libretto. Dunque mi si offre la possibilità di scrivere un libretto per un compositore per cui hanno scritto Auden e Ingeborg Bachman, ma io non so nemmeno cosa voglia dire scrivere un libretto d’opera”. Henze gli dice che imparerà scrivendolo insieme a lui: è sufficiente che lo raggiunga a Stoccarda dove sta lavorando.

L’inconscio del futuro librettista oppone molte resistenze, ma la persuasività di Henze trionfa. A Stoccarda trovano il tempo per andare a vedere Il principe di Homburg messo in scena da Peter Stein, il principe ricorre. Il 16 maggio fanno un sopralluogo a Montepulciano per verificare la preparazione per il primo Cantiere: c’era quasi nulla. Henze implora Di Leva di occuparsi dell’organizzazione con il titolo di codirettore. A nulla valse essere recalcitrante, fare presente il lavoro al Goethe Institut di Milano o dire di non avere idea di cosa significhi organizzare un festival di musica. “Non intendo essere spiritoso dicendo che in queste cose Hans era irresistibile”.

Il musicista spiegava così che cosa fosse quel festival che “chiamavamo Cantiere intendendo un laboratorio dove giovani artisti potevano inventare e sperimentare nuove forme di comunicazioni. Eravamo tutti alla ricerca di un nuovo pubblico che poteva essere inizialmente scettico, diffidente o indifferente, ma che noi speravamo di poter conquistare, portando la gioia di capire e scoprire una nuova dimensione di se stessi”. I poliziani invece di fargli un monumento in piazza, gli rompevano quelli che si rompono di solito, ma questo è risaputo. “In Sicilia non importa far male o far bene. Il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’”.

Forse Tomasi di Lampedusa scriveva per tutti i siciliani d’Italia, che sono molti anche in Continente, toscani, in questa circostanza, poco inclini a perdonare chi fa. In ogni modo, Henze ha lasciato a Montepulciano un’eredità importante e adesso Montepulciano lo sa e la coltiva. “Non so se esistono tesi o tesine sulla nascita del Cantiere. Se non esistono è un peccato” dice Di Leva. Magari si potrebbe partire con la scrittura di un articolo. Non è una promessa né una minaccia.

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