Il nome di Fabio Giachino è uno di quelli da annotare con particolare riguardo nel proprio taccuino. Originario di Alba, ma cresciuto artisticamente a Torino, Giachino è un pianista di tocco e sostanza, capacità che gli hanno fatto rapidamente guadagnare il plauso di pubblico e addetti ai lavori, meriti condivisi con il suo ben rodato trio, che ha in Davide Liberti e Ruben Bellavia una ritmica dalle solide credenziali. Jumble Up (letteralmente "mettere a soqquadro"), pubblicato dalla indipendente e coraggiosa ABeat, rappresenta il secondo capitolo con questo organico. Una bella dichiarazione di intenti di cui ci parla in esclusiva: “E’ un album - ribadisce Fabio - che vede quasi tutte composizioni originali, scritte da me ed elaborate in gruppo; alcune sono idee sviluppate durante alcuni dei nostri viaggi, altre invece sono idee e arrangiamenti nati per caso, altre ancora sono il risultato di un percorso maturato in questi anni di attività, di pratica quotidiana e di concerti.

Ci sono tante influenze diverse in questo disco, ma non nel senso più ortodosso…

E’ vero, ci sono diverse contaminazioni, sviluppate secondo un’idea legata al tempo e all’idea di restituire la contemporaneità e la quotidianità che, a mio avviso, il jazz (o buona parte di esso) ha perso purtroppo da tempo…suonare ciò che si ha vissuto e si vive tutti i giorni, anche a livello di innovazioni sonore. Dalla pubblicazione a qui, siamo già molto contenti. Abbiamo effettuato un tour di presentazione notevole e continueremo ancora seguendo un calendario abbastanza fitto. Inoltre ci tengo a precisare che questo gruppo non è solo la formazione di un leader che chiama altri musicisti a suonare la propria musica, ma è anche e soprattutto un laboratorio di idee, pensieri, riflessioni, “discussioni” dove ognuno apporta la propria personalità e i propri gusti (oltre che musica) nel live (e nei dischi) che proponiamo.

Come il jazz è entrato nella tua vita e quando invece ti sei accorto di essere un jazzista?

Ho cominciato a suonare a 9 anni e la prima volta che ho sentito un disco di jazz ne avevo 13, non mi piaceva e non capivo cosa stavo ascoltando! Alcuni miei compagni di conservatorio più grandi invece abbozzavano già alcuni standard e si divertivano a provare a improvvisarci sopra… io invece non capivo cosa fosse quella roba, e soprattutto non mi andava giù di non riuscire a suonare qualcosa senza partitura! Così un po’ per sfida e un po’ per orgoglio ho cominciato a studiare scale, accordi e tutto quello che riuscivo a trovare riguardo il jazz e l’improvvisazione in generale. Ho scoperto Miles Davis, Charlie Parker, John Coltrane e più li ascoltavo più trovavo chiarezza nella musica e soprattutto in quello che sentivo. Ho continuato così fino a 20 anni circa, quando ho capito che volevo proseguire solo ed esclusivamente in questa direzione (tenevo anche concerti di musica classica fino a quel periodo) e ho continuato a dedicarmici fino a ora, e ovviamente continuo!

Quale è stato il momento decisivo nell'avvio della tua carriera da professionista?

Ho cominciato a suonare con gruppi diversi dai 18 anni in poi, ma le cose sono cambiate da quando mi sono trasferito a Torino, circa 5/6 anni fa. Qua ho iniziato a lavorare e conoscere molti più musicisti creando nuovi progetti, nel 2009 ho cominciato a registrare alcuni dischi e nel 2011 ho pubblicato il primo disco in trio a mio nome dopo aver vinto il Premio Internazionale M. Urbani insieme ad altri contest nazionali. Credo sia cominciato tutto in questo modo!

Ogni musicista ha le sue influenze, vorrei sapere le tue, ma il punto però è un altro, perché ritengo che quello che conta alla fine è il risultato che viene raggiunto, in altre parole la capacità\attitudine di avere nel bene o nel male un'impronta personale, sei d'accordo?

Sono completamente d’accordo, è un discorso fondamentale ma delicato allo stesso tempo. Al di là del conservatorio e degli studi classici, io arrivo dalla tradizione, e la mie influenze (giusto per citare le principali) sono rappresentate da Ellington, Monk, Miles, Bill Evans, Hancock, Coltrane e via dicendo… non è possibile suonare questo tipo di musica senza conoscere e studiare bene i “grandi”… va da sé però che sono nato nell’86 e perciò la mia adolescenza è anche legata ad altri generi musicali come l’R&B, l’Hip Hop, il Rock, ecc… perciò è inevitabile che il background variegato fluisca nel proprio “stile”, ed è proprio qua il fulcro decisivo… bisogna avere ben chiaro in testa quello che ci piace e quello che non ci piace sin da subito, altrimenti si andrà avanti tutta la vita a suonare un po’ in uno stile un po’ in un altro senza centrare mai veramente la propria personalità e senza liberare mai completamente la propria creatività… è il percorso di una vita cercare di esprimere sempre di più la propria essenza.

Quali sono i cardini del bel progetto condiviso con Furio Di Castri che lega due iconoclasti assoluti come Monk e Zappa?

Zapping è un progetto di Furio pubblicato nel 2007 per un organico orchestrale, inciso insieme a illustri musicisti italiani e stranieri fra cui Mauro Negri, Ngyen Le, Rita Marcotulli. Quest’anno ha deciso di riprenderlo in versione ridotta (quartetto classico) coinvolgendo me, Ruben alla batteria e Jacopo Albini al sax in occasione del Festival Internazionale di Smirne (Turchia). L’idea che sta alla base del progetto è “come li avrebbe visti Zappa i brani dell’enigmatico Thelonious? Il tutto filtrato ovviamente dall’estro compositivo di Furio che ne ha dato la sua personale interpretazione creando un mix incredibile di temi, suoni e ritmi!

Ti senti più pianista o compositore?

Io sono pianista, amo la composizione, che per quanto mi riguarda è quasi sempre funzionale a me e al mio strumento. Dedico molto più tempo allo strumento che alla scrittura di solito, anche perché i brani che scrivo o sono di getto oppure hanno una lunga gestazione nella mia testa, finché a un tratto mi si chiarisce il suono che voglio ottenere e allora lo scrivo direttamente.

Come batte il polso del jazz per te?

Batte molto veloce e devo fare attenzione a questo… Sto cercando infatti di abbassare un po’ la “pulsazione”, se mi si concede il termine, per cercare di vivere tutto fino in fondo senza avere fretta o ansie inutili che distolgono solo la nostra mente da quello che ci fa star bene… c’è margine di miglioramento insomma, l’importante è non perdere mai il “beat”!

Ti occupi di qualcos'altro oltre alla musica?

Ho passione per molte cose, sport, cinema, lettura… ma il tempo che ho a disposizione non mi lascia molto spazio per approfondirle purtroppo. Leggere è una della cose per la quale cerco di ritagliarmi più tempo, amo soprattutto argomenti legati a numeri, matematica e fisica, oppure argomenti legati a speculazioni filosofiche sull’universo e sugli eventuali sviluppi!

Il tuo lavoro di musicista è sorretto da qualche fede o etica particolare?

Sono convinto che la passione e la dedizione siano tutto, ognuno con le proprie possibilità, non credo serva altro…il resto sono solo conseguenze.

Cosa ti aspetta in questo inverno?

Ho ancora diversi concerti per presentare questo album ma sto lavorando a nuovi brani e a nuove idee ovviamente con questa formazione (trio) con la quale registrerò un nuovo lavoro e proseguirò il percorso che abbiamo delineato, inoltre ci saranno nuove collaborazioni e nuovi progetti che vedranno la luce nel 2015, alcune anche inusuali… vedremo dove mi porteranno e gli eventuali sviluppi! In ogni caso sul mio sito e sui vari social network tengo tutto costantemente aggiornato, perciò per chi è interessato e vuole seguire la mia attività sarà facile monitorare il tutto.