Approda al Teatro Comunale di Vicenza, sabato 31 gennaio (ore 20,45) e domenica 1 febbraio (ore 18) il Balletto di Roma con l’ultima creazione del coreografo Fabrizio Monteverde, dal titolo Il lago dei cigni, ovvero Il Canto. Tra i più apprezzati autori sulla scena contemporanea della danza italiana Fabrizio Monteverde firma la coreografia e la regia, nonché l'allestimento scenico, per la storica compagnia romana di questa nuova versione di un classico d’eccezione. Così tra le suggestioni di una favola d'amore crudele e i simboli di un'arte che sovrasta la vita, il coreografo italiano reinventa il più famoso dei balletti di repertorio classico su musica di P. I. Čiajkovskij, ma strutturando formalmente quell'originalità coreografica e registica che sono la soglia di qualità della rappresentazione teatrale.

Non è un caso che Monteverde sia l'esponente di una generazione di talenti esplosa negli anni Novanta, e il suo lavoro (ormai trent'anni) di elaborazione stilistica e drammaturgica rende gli spettacoli una sorta di segno unico e riconoscibile. Attento interprete delle suggestioni letterarie e teatrali, l'impronta coreografica di Fabrizio Monteverde si delinea via via nelle profondità invisibili di racconti senza tempo, tra le righe di narrazioni moderne e i risvolti psicoanalitici di favole antiche. E' senz'altro un maestro dallo stile energico e personale, autore di un movimento composto di intrecci e spostamenti di peso che ne orientano coerentemente equilibri e curve dinamiche. Anche in quest'ottica scaturisce un risultato denso di una gestualità rotonda e morbida che richiama nel corpo l'intenzione del moto per esplodere infine in spigolosità nette e decise.

Capolavoro del balletto, sintesi perfetta di composizione coreografica accademica e notturno romantico, di chiarezza formale e conturbanti simbologie psicoanalitiche, Il lago dei cigni è una favola senza lieto fine in cui i due amanti protagonisti, Siegfried e Odette, pagano con la vita la passione che li lega. Una di quelle “favole d'amore in cui si crede nella giovinezza” avrebbe detto Anton Čechov, scrivendo nell’atto unico Il canto del cigno (1887) di un attore ormai vecchio e malato che ripercorre in modo struggente i mille ruoli di una lunga carriera. Con dichiarata derivazione intellettuale dal grande scrittore russo, il Lago di Monteverde trova ne Il Canto il proprio naturale compimento drammaturgico e in un percorso struggente di illusioni e memoria porta in scena un gruppo di “anziani” ballerini che, tra le fatiche di una giovinezza svanita e la nevrotica ricerca di finale felice, ripercorrono gli atti di un ulteriore, “inevitabile” Lago.

Così, persi tra i ruoli di una lunga carriera, i danzatori - interpretati da Odette (Roberta De Simone|Claudia Vecchi), Siegfried ( Mirko De Campi|Placido Amante), Odile (Anna Manes|Azzurra Schena) Rothbart (Luca Pannacci|Michele Cascarano) - stanchi di un’immaginaria compagnia decaduta si aggrappano a un ultimo Lago, tra il ricordo sofferto di un'arte che travolge la vita nel tentativo estremo di rimandarne il finale. Individualità imprigionate in una coazione a ripetere, gli interpreti cercano così di ripercorrere la trama di un Lago senza fine, reiterandovi gesti e legami nella speranza di sopravvivere al finale straziante di una replica interminabile. Condannata a una perenne metamorfosi, donna a metà tra il bene e il male, Odette/Odile sarà cigno e principessa, buona e crudele, amante fedele e rivale beffarda. Metafora di un'arte che non conosce traguardo, cercherà se stessa in un viaggio tormentato d'amore, tradimento, prigionia e liberazione; in un teatro in cui tutto ha inizio e nulla ha mai fine, andrà incontro agli stracci consumati di una vita d'artista con lo spirito bianco di una Venere per sempre giovane.

Un quadro, senz'altro, di estrema attualità, volto a ritrovare le forme e i tempi di una storia, nonché i significati a cui ricondurre un proprio percorso e un desiderio infinito.