Pensate che il jazz sia una parola ostica a partire dalla sua pronuncia? Vi piacciono le cantanti, ma siete stufi di sentire sempre i soliti nomi? Siete pronti a scommettere su una voce destinata a lasciare il segno?

Tutte e tre le domande hanno la stessa risposta, ovvero Greta Panettieri, un talento sfavillante di cui si sono accorti prima altrove (nome di culto negli Usa come in Giappone), e che adesso sta cominciando ad avere le sue meritate soddisfazioni anche in Italia, nel suo totale affrancamento dalle pressioni imposte dal mercato. Quello trascorso è stato un anno vissuto con molta intensità, sulle ali di Non gioco più, il suo nuovo disco (e terzo in studio), dedicato all’irresistibile repertorio di Mina durante i favolosi anni sessanta, mentre la sua vita picaresca negli States ha ispirato il graphic novel Viaggio in jazz, che rappresenta un segno di innovazione e di apertura verso altri orizzonti, in un ambiente se non proprio chiuso di certo poco incline al cambiamento.

Di questo e molto altro ci ha parlato in questa lunga intervista che parte proprio da questo romanzo illustrato

L'idea di raccontare l’avventura negli Stati Uniti un po' c'è sempre stata, la mia è stata davvero un’esperienza lunga e avventurosa e ogni volta che mi trovavo a raccontare le mie vicissitudini newyorchesi vedevo la reazione divertita e a volte incredula delle persone; il commento finale poi era sempre lo stesso, ovvero “Greta, devi scrivere un libro”. Ho scelto di realizzare un graphic novel, perché si tratta di una forma molto contemporanea e avvincente di raccontare, soprattutto perché si porta appresso la forza delle immagini, in questo caso con uno stile molto da fumetto. Nel nostro caso poi alla narrativa, sceneggiatura, illustrazione, ecc., abbiamo messo anche la colonna sonora. Nella confezione c’è anche Under control, un cd che testimonia con immediatezza quella che deve ritenersi la vera protagonista della storia contenuta nel libro e anche della mia storia, ovvero la musica. Ho coinvolto poi la mia amica Jasmin Cacciola e il progetto ha preso il volo. Conoscevo le sue doti di fumettista e creativa, siamo vecchie amiche, e quando è si è concretizzata l'idea del libro il suo è stato il primo nome che ho proposto all’editore. Il credito maggiore lo devo a Edizioni Corsare che non solo ha abbracciato il progetto ma lo ha curato come un figlio in carne e ossa. C’è voluto più di un anno per realizzare il libro, ma ora siamo tutti felici del risultato.

Quando e come ti scoperta cantante?

Prestissimo. Da piccola mi avevano regalato una cassetta con Il flauto magico di Mozart, e mi piaceva cantarne le arie più belle. Ovviamente la mia voce di bambina di 6 anni mi aiutava a raggiungere quelle note così alte, ma ricordo che mi esibivo senza problemi in varie occasioni con parenti e amici dei miei genitori. Poi ho iniziato a suonare il violino, e a 11 anni sono entrata in conservatorio. Il canto ha preso però sempre più il sopravvento e a 13 anni, come racconto nel libro, avevo messo su un gruppo in cui suonavo la tastiera e cantavo. Mi ricordo che, quando intorno ai 14 anni decisi di iscrivermi al corso di jazz, il mio insegnante di piano jazz al primo tema che mi chiese di accennare con la voce per motivi di fraseggio pianistico, mi guardò sbottando “Ok piccola, basta col pianoforte. Tu canti, io suono…

E il jazz invece, quando è entrato nella tua vita?

Sono cresciuta in un ambiente molto creativo, a casa mia si sentiva tanta musica: da Frank Zappa, Jimi Hendrix e Willie Colòn, passando per John Coltrane e Miles Davis fino a Lucio Dalla e Pino Daniele. Quando studiavo classica mi divertivo a cambiare alcune note, insomma a reinterpretare qualcosa e i miei insegnanti mi sgridavano dicendomi che se volevo cambiare le note dovevo fare jazz; così mi sono incuriosita. Ricordo un Natale in cui mi arrivò un libro per pianoforte classico di standard facilitati di Duke Ellington… potevo avere non più di 12 anni. Da Caravan in poi la mia vita è cambiata. Pensa che quel libro ce l'ho ancora.

A un certo punto hai deciso di cambiare aria e te ne sei andata a New York che hai sentito alla stregua di una casa, però poi hai deciso di tornare qui... cosa aggiunge e cosa invece prende una ribalta così importante e totalitaria?

Ovviamente dietro queste scelte ci sono tanti piccoli e grandi avvenimenti dove credo il destino giochi un ruolo molto importante. Il rientro in Italia non è stata una vera scelta; ci sono stati dei fattori determinanti. L'arte dell'improvvisazione deriva anche dalle incognite della vita: crediamo che pianificando gli eventi e facendo delle scelte ben precise ci sia un susseguirsi definito di avvenimenti. Bene, ho capito che non è quasi mai così. O almeno non lo è stato per me. La vita è un susseguirsi di sorprese che a volte mi sembrano dipendere da casi del tutto imprevedibili. Diciamo che, dopo tanti anni a New York, gli eventi mi hanno riportato in Italia e invece di oppormi ho giocato al sequel “vediamo che succede”. Ad oggi sono felice che sia andata così. Non che in Italia le cose siano facili, sicuramente c'è tanto lavoro da fare, soprattutto a livello organizzativo e pratico. Fare l’artista in questo paese e pretendere di lavorare come tale, rappresenta una chimera. Ci si scontra di continuo con intoppi di ogni tipo, spesso anche grotteschi: ma continuo a pensare che l'Italia abbia molto da offrire. Tutto sta nel trovare la strada giusta.

Come si è evoluta la percezione e l'idea stessa della tua musica, o almeno di quello che volevi ottenere negli anni che sei stata lì? Ricorda al nostro pubblico anche della scelta sul nome, ovvero Greta's Bakery...

Difficile dire su due piedi come si sia evoluta la mia musica. La musica è un campo così vasto che ogni giorno si scopre qualcosa e senza che ce ne accorgiamo la musica che abbiamo dentro cambia. Certo le mie esperienze jazzistiche erano limitate finché non sono arrivata a New York. Come ti dicevo, ho iniziato a suonare il violino a 6 anni e probabilmente sognavo di diventare una grande solista; poi è arrivato il pianoforte e contemporaneamente la scoperta del jazz; poi con il canto ho scoperto la forza e la ricchezza che si porta dietro esprimendosi attraverso di esso. Il canto è sicuramente un mezzo più immediato di espressione, anche se bisogna studiare parecchio per esprimersi al meglio e, paradossalmente, in modo davvero libero. Nei primi anni ero attratta dal free jazz, ascoltare Coltrane, Ornette Coleman, Eric Dolphy e non dare conto a nessuno; anche per questo la Berklee School, per la quale avevo vinto una borsa di studio importante, mi sembrava troppo “patinata”. Ho sempre creduto nella libertà di espressione artistica e con gli anni mi sono accorta della perentorietà del linguaggio, delle parole, quindi del pop, del jazz tradizionale e perché no, della musica folk ed etnica, che invece puntano tutto sulla freschezza e la potenza del messaggio poetico. Così sono nati i primi brani miei, oltre che grazie a incontri con altri musicisti che nel tempo mi hanno portato a realizzare gli album di Greta's Bakery. Il nome nasce dal fatto che l’etichetta del primo album, Decca Universal americana, non credeva che il pubblico statunitense sarebbe riuscito a pronunciare il mio cognome, così è nata Greta’s Bakery, un modo simpatico di descrivere il progetto musicale come una panetteria trovi tante specialità diverse nel gusto e nella forma, che come base hanno i soliti ingredienti, un po' come la nostra musica molto variegata, ma genuina.

Qual è la magia della musica secondo la tua sensibilità?

Credo che la cosa più bella della musica sia il continuo ricercare, il continuo cambiamento, ogni volta che faccio un "solo" cerco di cambiare fraseggio, magari non ci riesco, ma ci provo. Non credo di aver raggiunto la "Mia Musica" ma il continuo ricercarla è ciò che forse mi fa continuare a farla.

Quali sono stati gli incontri speciali della tua vita?

Tutti. Nel bene e nel male. Ti dirò che alcune persone che ho creduto nocive e ''inutili'' in realtà hanno condotto a incontri fondamentali. Così come quelli che credevo potessero essere fondamentali spesso si sono rivelati lievi passaggi…

Un altro incrocio particolarissimo è stato con il Brasile; perché la bossa nova costituisce un incontro quasi obbligato per chi possiede la tua formazione?

Nel mio caso l'incontro con il Brasile è precedente allo studio della bossa nova. I miei avevano un caro amico che insegnava italiano in un liceo in Brasile e quando tornava faceva sempre gran racconti su quella terra lontana di Saudade e di Samba. Io ne ho sempre subito il fascino e da quando ho letto il mio primo libro di Amado (Dona Flor e i suoi due mariti), mi sono appassionata alla cultura brasiliana, dalla musica alla letteratura, agli aspetti più tradizionali. Quando ho studiato quel poco di bossa nova che si fa studiando jazz è stato un vero richiamo. Una volta arrivata negli States la musica brasiliana, non solo bossa nova, ha avuto - e ha tuttora - un ruolo molto importante nella mia crescita e ricerca musicale. Suonando con musicisti brasiliani poi si ha la possibilità di imparare le varie sfumature tra i tantissimi ritmi e dialetti di quel grande paese.

Hai firmato un contratto con una major importantissima, ma quanto l'euforia di un contratto così importante si stempera nella voglia di essere libera e indipendente nelle proprie scelte?

Sai il contratto è arrivato verso i 28 anni e non ero già più una ragazzina, se pensi che ho iniziato a suonare a 6 anni avevo già 20 anni di lavoro alle spalle e ti dirò che nonostante la soddisfazione grandissima e la ovvia felicità, non ho mai creduto nella favola del “era sconosciuta e poi all'improvviso il contratto le cambiò la vita…”. Credo dipenda molto dalle proprie aspettative, quando la musica è la cosa che conta di più ti accorgi subito se chi è intorno a te vuole mettere le mani in modo invasivo su quello che fai e capisci che per fare ciò che vuoi fare dovrai lottare. La cosa interessante è che bisogna lottare anche con se stessi non solo con terzi, ad ogni modo la casa discografica non si è accontentata di lasciarci esprimere ma ha voluto entrare nella produzione artistica, affiancandoci dei produttori che la nostra musica invece la volevano proprio trasformare. Lì sono iniziati i problemi e la crescente voglia di tornare liberi. Esperienza comunque molto importante e costruttiva.

A parte che nel jazz hai avuto altri idoli e influenze in territori attigui o anche lontani?

Sicuramente il blues, il gospel, il r&b, il funk sono territori di grandissima ispirazione. Potrei nominarti decine di cantanti o gruppi, a partire dai classici Michael Jackson, Stevie Wonder, George Benson, Donny Hataway, Minnie Ripperton, Roy Ayers, Jimi Hendrix fino ad altri come i Beach Boys, ovviamente i Beatles, ecc., ecc., ma anche il reggae, la musica brasiliana, indiana, balcanica, cubana e perché no la musica napoletana per alcune sfumature melismatiche nell'uso della voce e per la poetica popolare. Sono abbastanza onnivora e curiosa quando si tratta di musica, e se qualcosa mi piace non può non lasciare una traccia anche lieve.

Non gioco più è l'album a più alta densità jazzistica fra quelli che hai realizzato, circostanza curiosa che sia avvenuto proprio qui e non negli Usa...

Beh, conosci il vecchio detto di non vendere gelato agli eskimesi… No, in realtà negli Usa ho fatto tanto jazz anche sperimentale e free ma non ho avuto occasione di registrarlo e come ti dicevo la major ha influito molto nella realizzazione del nostro primo disco, dirigendoci verso una sonorità più pop e r&b. Il ritorno in Italia ha segnato il ritorno all'indipendenza e mi ha dato la possibilità di fare il contrario: prendere dei brani pop e interpretarli in chiave jazz.

Cosa ti aspetti per questo nuovo anno, come lo hai pianificato?

Intanto stiamo lavorando a un nuovo gruppo di inediti che andrà a costituire il mio quinto disco. Sarà anche il primo di musica inedita pubblicato con il nome Greta Panettieri, visto che gli altri erano sotto Greta's Bakery, che in realtà è una band. Visto poi come è stato accolto Non gioco più, stiamo lavorando per uscire il prossimo autunno con il 2° volume di Italian 60's in jazz. Ci sono tante bellissime canzoni che non abbiamo potuto inserire nel primo disco!