Per capire Bobo Rondelli probabilmente la strada più breve è guardare il film che Paolo Virzì gli dedicò qualche anno fa, L’uomo che aveva picchiato la testa. Prima di averlo visto, devo ammetterlo, non avevo le idee abbastanza chiare su questo cantautore livornese: avevo ascoltato i dischi, lo avevo seguito un paio di volte dal vivo, e mi aveva sempre spiazzato la grande distanza tra il suo comportamento sul palco - da un lato - fatto di battute, imitazioni, spacconate, della declinazione poetica del turpiloquio che è propria della sua città, e - dall’altro lato - la densità dei testi che canta, che non di rado si addentrano in profondità a indagare il dolore. Era un puzzle di cui non riuscivo a vedere l’insieme.

Poi ho guardato il film, e ho capito che, un po’ come succede per Tom Waits (se vogliamo citare un riferimento certamente gradito a Rondelli), se si vuole trovare l’autenticità e la verità, bisogna cercarle nelle parole e nella musica delle canzoni. Il resto, compresa l’immagine pubblica, fa parte dello spettacolo, e questo non significa che sia falsa, ma semmai che è - come per Waits - la parte di se stesso che Bobo vuole o riesce a condividere con il pubblico, più o meno filtrata da una maschera. Il film di Virzì è illuminante proprio perché il regista de Il capitale umano non indietreggia di un millimetro davanti al Rondelli privato, senza mai scadere nel superficiale, ma spingendosi avanti quanto basta per far combaciare i pezzi del puzzle di cui parlavo poco fa. Il Bobo del film è qualcuno a cui non si può non voler bene, forse anche perché nasconde le sue debolezze, che affiorano nella pellicola, dietro a quella maschera da intrattenitore.

Mettendo da parte il film, consigliatissimo, l’occasione per conoscere Bobo attraverso le sue canzoni invece è a disposizione di tutti grazie all’ultimo album, uscito da poco per la Sony con la produzione di Filippo Gatti e intitolato Come i Carnevali. Un lavoro che si può mettere accanto al disco precedente, Per amor del cielo per qualità e maturità. E dentro alle dieci canzoni che lo compongono, di verità su Rondelli ce n’è parecchia: intanto nel brano che ricorda la madre, Nara F., oppure in quello sul padre, Qualche volta sogno, ma anche nel pezzo d’apertura, dedicato al poeta Emanuel Carnevali, in cui si ascolta: “Sto come i Carnevali/Ed altri poeti guaritori dell’inutile (…) Io costo molto, anche più caro, dell’inutile/perché son io il più inutile dell’inutile”.

Quando parla della mamma, morta da poco, Rondelli lo fa con la delicatezza affettuosa delle immagini quotidiane: “Mi alzerò e ti vedrò sonnambulo/Con lo scialle sulla tua vecchia poltrona/a finire i cruciverba quelli facili/O rientrare ogni mattina con la spesa/Borbottando vagabondo è ora di alzarsi/E poi sventolarmi in faccia un’altra multa”. Il riferimento al padre è più sofferto, meno consueto: “Qualche volta sogno colori dell’estate/ E un treno che mi porta ad abbracciar mio padre/Come non è mai stato/L’abbraccio mai provato/L’amore ritrovato/per sempre perdonato”.

Il singolo dell’album, di cui è in uscita il video ufficiale, è Cielo e terra, scritto con Francesco Bianconi dei Baustelle, è in effetti l’episodio più cantabile, quello che ti ritrovi a ripetere mentalmente nei momenti più disparati della giornata, nonostante un attacco non esattamente frivolo: “Annebbiami l’anima e portami via di qua/a trovare parole e posti non visti mai/E inventami suoni che sapremo solo noi/Noi due come l’angelo che imita Dio/Voliamo in alto ma cadiamo giù”.

Rondelli ha cinquantatré anni e oltre alla dimensione di figlio descrive a modo suo anche quella padre nella canzoncina più leggera, Autorizza papà, ma poi confessa l’apprezzamento per le ventenni ne La voglia matta ("Cameriere che consiglia/So che potrebbe esser mia figlia/Sì lo so…/Ma non è") per ritrovare in chiusura, dopo la balcanica Ugo’s dilemma, l’ispirazione più pura e profonda nella filastrocca poetica dedicata al Maestro Goldszmit, che preferì farsi uccidere nel campo di concentramento di Treblinka piuttosto che salvarsi e abbandonare i propri allievi: “Dagli occhi tuoi/girotondi di bambini/che si prendono per mano/sotto a un grande arcobaleno/Perché tu hai il mistero dell’amore/gioia di contemplazione”. Un eroe a cui Rondelli, certamente allergico agli eroi, decide di restituire le proprie aspirazioni: “Negli occhi tuoi/c’è uno specchio dove vedo/esser come io vorrei”.