Venus and Mars dei Wings (che il 27 maggio 2015 ha soffiato su 40 candeline) è un gioiello pop che ogni discoteca che si rispetti dovrebbe non soltanto avere, ma anche mettere in bella mostra.

Non che prima di allora McCartney avesse mai smesso di confezionare capolavori: i primi album del dopo-Beatles sono scrigni a cui attingere a piene mani e ancora oggi le band li saccheggiano più che volentieri, spesso non citando la fonte. Basti pensare a McCartney (1970), che a buona ragione può essere considerato il primo disco “indie” della storia della musica, registrato in totale autonomia e con mezzi quasi di fortuna, eppure capace di sfoggiare sperimentazione e canzoni sublimi quali “Junk” e “Maybe I’m Amazed” (giusto per citarne un paio). Oppure a Ram (1971), uscito sotto il caldo tetto della doppia firma Paul & Linda McCartney, dove suite, folk, blues e rock convivono in un’armonia senza eguali. O ancora a Wild Life (1971), prima prova a nome Wings, un “melting pot” musicale dalla coscienza ecologica che inanella deliziose melodie e divertissement, trovando pure lo spazio per una risposta agli attacchi di Lennon nell’intimistica “Dear Friend”. Red Rose Speedway (1973) e Band on the Run (1973) (considerato il Sgt. Pepper di McCartney) rilanciano il ruolo di hit maker di Macca in Europa e oltre oceano, rispettivamente con “My Love” e “Jet” (tra i due album l’altro grande successo commerciale di “Live and Let Die”).

Tuttavia, quello che si avverte con Venus and Mars è una maggiore stabilità di gruppo, una sorta di clima nuovo ed eccitante che induce McCartney a spartire con gli altri membri le responsabilità di un sound, di un disegno artistico e di una serie di brani che preparino il mondo ad ascoltare dal vivo i Wings e non l’ex-Beatle da solista. Non è un caso che da qui in poi (sebbene l’ultimo album del gruppo, Back to the Egg del 1979, veda l’ennesimo cambio di line up) tutti i dischi verranno accreditati semplicemente ai Wings e non più a Paul McCartney & Wings. Il sogno di Macca di un gruppo vero e proprio che si comportasse da fucina creativa in studio e compagine sonora sul palco sembra dunque avverarsi a cavallo tra il 1974 e il 1975, durante le sessioni di registrazione che daranno vita a Venus and Mars e che si svolgeranno in misura cospicua a New Orleans: ambiente che non può che rivelarsi congeniale per una ritrovata verve d’insieme. Questo però dopo aver fatto i conti con la rinuncia, per dissapori vari, di Geoff Britton e l’entrata in formazione dell’americano Joe English alle bacchette.

Dopo la “sostituzione”, la mark più celebre dei Wings è al completo e comprende: Paul McCartney, Denny Laine, Linda McCartney, Jimmy McCulloch e Joe English. L’album, con un singolo n.1 negli USA, “Listen to What the Man Said”, rappresenta la migliore vigilia discografica del primo tour mondiale: un prodotto curato nei minimi particolari, ispirato ed energico.

Non si può negare che per una manciata d’anni i Wings abbiano alimentato significativamente il sogno, a tratti desiderio bruciante, del bassista più famoso della storia: un nuovo gruppo con cui fare grande musica, capace di vendere milioni di dischi e di chiamare a sè folle oceaniche, un modo per vedere ancora un futuro davanti e non solo un passato dietro le spalle. Il suono è di carattere, sicuramente figlio del rock anni settanta, ma dalla mentalità alquanto aperta. Non capita infatti spesso di trovare in sequenza una ballad dal sapore folk (la title track), l’esplosione del brano da live show per antonomasia, “Rock Show”, con imprevedibili intarsi melodici e parlati che si affacciano fra riff, cavalcate di basso e possenti colpi di batteria (la struttura è più da prog che da rock and roll), un pezzo che ha tutti i carati del pop d’autore come “Love in Song” e il vaudeville di “You Gave Me the Answer”, che tanto ci riporta a quel modo di appropriarsi della tradizione che i Beatles inaugurarono con “When I’m Sixty-Four” e di cui Paul era l’alfiere. Uno scorrere sorprendente di freschezza compositiva e voglia di suonare che passa da un lato all’altro senza l’ombra di un punto debole.

Per Macca il nuovo sound è l’ideale per “filtrare” le proprie intuizioni compositive e sentirsi a sua volta libero di affiancare loro anche brani firmati dagli altri componenti: “Medicine Jar” di McCulloch è un’ulteriore testimonianza dell’affiatamento dei nuovi Wings, un pugno di rock allo stomaco con un anima un po’ torbida (si parla di droga), “cromaticamente” perfetta in scaletta e compagna ideale della successiva “Call Me Back Again”, fra i migliori esempi dell’epoca di un McCartney ruvido e rock. Della stessa scuola è “Letting Go”.

Anche le tematiche sono variegate ed intriganti, con quel tocco visionario e fantascientifico che colora di mistero diversi brani. Sì, perché se “Magneto And Titanium Man” è una giocosa incursione nel mondo dei fumetti Marvel, che anche la musica sottolinea bene, le immagini evocate da “Spirits of Ancient Egypt” (“…I can drive a Cadillac across the Irish sea…”) e “Venus and Mars (Reprise)” (“…Standing in the hall of the great cathedral/ Waiting for the transport to come/ Starship 21ZNA9 a good friend of mine studies the stars/ Venus and Mars are alright tonight…”) appaiono più inclini alla sperimentazione, sia dal punto di vista fonetico che contenutistico, coerentemente con quella libertà che fa del rock and roll una delle più grandi forme d’arte di sempre. In questo lo studio Hipgnosis di Storm Thorgerson, artefice di svariate cover del rock nonché perfetto traduttore dell’arte visionaria dei Pink Floyd, è stato una scelta indovinatissima, non solo perché ha fruttato ai Wings un riconoscimento come migliore copertina del 1975, ma anche per il modo in cui è stato interpretato il contenuto dell’opera: un qualcosa di esteticamente perfetto come le sfere (le due palle da biliardo su campo simboleggiano i pianeti del titolo) e pure indomabile e misterioso come il deserto (nella foto interna), fra l’altro l’unico luogo della Terra con un aspetto “lunare”. Bella poi, dentro, la grafica stilizzata coi movimenti dei pianeti, ripresa anche sulle scritte di copertina.

Nell’album è presente, come si diceva, la hit “Listen to What the Man Said”, sicuramente il momento più “McCartney” di tutto il disco: la ballata perfetta, tanto naturale e coinvolgente nell’afflato melodico quanto non scontata nella struttura e nell’arrangiamento, che ad un certo punto la porta a confluire in “Treat Her Gently (Lonely Old People)”, altro squisito inno “mccartniano” dedicato agli anziani e alla solitudine (naturale pensare a “Eleonor Rigby”). Lo strumentale “Crossroads”, un rifacimento dal sapore country blues del tema di una soap opera, è l’ingrediente imprevedibile e gustoso che chiude un album in cui i Wings dicono magnificamente la loro come gruppo.

Da tenere presente che alle session di Venus and Mars appartengono pure alcuni brani pubblicati diversi anni dopo: “My Carnival” (b-side di “Spies Like Us”), la jam “Lunch Box/Odd Sox” (sul retro di “Coming Up”) e la “New Orleans” di Linda (sul postumo “Wide Prairie”). I primi due sono oggi rinvenibili in digitale nella ristampa del 1993 (insieme a “Zoo Gang”, che è invece un brano appartenente alle session di “Band On The Run” e usato per la colonna sonora di una serie televisiva britannica) e nel cd bonus dell'edizione della “Paul McCartney Archive Collection” del 2014, unitamente ad altro materiale raro del periodo, fra cui “Let's Love” e “4th of July” che poi furono affidate rispettivamente a Peggy Lee e John Christie.