Premettendo che è stata la prima volta a cui ho assistito a un live di Apparat, vorrei cercare di tenermi il più lontana possibile da encomi o elogi stucchevoli che perdono la loro forza proprio nella troppa vanità.

Per tutta la durata del concerto però non ho potuto che trattenere la pelle d'oca, "If you feel this, you're still alive" ho pensato tra me e me arcuata e trepidante sulla mia poltroncina nel cuore della platea. Al margine tra le mie aspettative e la realtà. Nei ricordi di un film in bianco e nero qualcuno disse che la pelle d'oca è la reazione al tocco di un fantasma. E fantasmagorica la performance lo è stata.

La preview del roBOt festival di quest'anno ha voluto fare il botto, un botto verificatosi in tutti sensi, dal principio, con l'imminente sold out, sia con la standing ovation finale tra scrosci di complimenti, ed entusiasmi eccitati. Le good vibes firmate Sascha Ring posseggono come al solito una tale forza dicotomica da trascendere tutto il resto. L'eclissi dell'entropia. Se tutto va invetabilmente in frantumi, esiste un non tempo e un non luogo dove questo può sospendersi. L'ambizione e la messa in pratica di volere dar vita a un ambiente piuttosto che a un'idea. Tra miele e graffi, con profonda densità, tra ritmi lascivi e guerrieri, l'elettronica e il suono di un violino si incontrano proprio come la performance contemporanea si disvela in culla al moderno, quale è il Teatro Comunale di Bologna. Vertigini e margini. Proprio come quanto spettacolare fu vedere la scultura Arch of Hysteria di Louise Bourgeois appesa a mezz'aria davanti alla Venere del Pontormo nella mostra Fiorentina del 2012, Arte torna arte, un progetto che ha indagato il rapporto tra l'arte e la memoria, proponendo opere di artisti contemporanei che, guardando alla storia, ai capolavori del passato, utilizzandone l’iconografia, ne hanno rielaborato il pensiero.

Soundtracks live mi ha ricordato (soprattutto nei momenti vocali di Sascha) un'opera conservata alla collezione Gori di Pistoia, Melancolia II nata dalla collaborazione tra Robert Morris e Claudio Parmiggiani, conosciutisi per caso proprio a Celle. Entrambi gli artisti hanno da sempre dimostrato un interesse verso lo spazio e l'arte antica, tant'è che per l'installazione sopracitata decisero appunto di estrapolare alcuni elementi dalla Melancolia di Dürer. La ruota, il poliedro, la sfera e la campana in bronzo di Parmiggiani, che abbandonate con raffinata eleganza tra le canne di bambù sorprendono per la straordinaria bellezza solitaria, per il rintocco fragile, come passare con un dito sul bordo di un calice perdendosi in quella ciclicità vetrata.

E poi dalla soavità, al disturbo di frequenza. I suoni si infittiscono come interferenze e mi ricordano i 13 distorted TV sets del 1963 di Nam June Paik. Tra un pacato classicismo e una frizzante sperimentazione filtra la sonorità di Apparat, e come richiestomi dalla musica stessa mi sono lasciata trasportare da associazioni astoriche, affini probabilmente a qualche risonanza. Non trascurabile, l'attenzione che il musicista tedesco rivolge alla parte dei visuals. Una sonorità che si traduce in visione pura, tattile, tra superfici e forme, a tal punto che l'occhiello sul nostro sentire diviene una luna tenuta tra le mani.

Complessivamente quindi un ottimo concerto, una performance che non lascia indifferenti neanche i più scettici, che ho tentato di tenere lontano da lodi fiaccanti intrise di sentimentalismo che troppo ben si attaccano alle "prime volte". Il mio è sicuramente un arrivederci, curioso. Un musicista, Apparat, che attraverso la passione e la ricerca, cura letteralmente ogni minima good vibe. L'occhio ascolta, l'orecchio tocca.
roBOt08, ed è solo l'inizio.