Chissà che voce aveva quell’uomo armato o disarmato che cantava nel 1400. Sentiamo gli echi di quella voce perché ognuno di noi in qualche modo porta con sé i suoni dell’umanità, ma sono echi che includono molti enigmi. Il musicista che si fa ammaliare da quella voce, si fa ammaliare dall’essere insieme uomo contemporaneo e remoto. Universale.

“Io penso - dice Fabio Lombardo, direttore artistico dell’ensemble L’Homme Armé - che in coloro che frequentano la musica antica ci sia una forte ricerca di radici. Nell’ambito della cosiddetta rinascita di interesse per la musica antica c’è stato il recupero degli strumenti originali, è facile rendersi conto che uno strumento del ‘400 non è uno strumento del ‘700. Ma questo diventa delicato per quanto riguarda la voce. Nessuno può ricostruire il corpo di un uomo di allora. Il lavorare con la voce, dunque, necessita di una ricerca come per gli strumenti, ma sposta l’attenzione su aspetti antropologici. Dalla musica al comportamento e al pensiero”.

Renato Baldassini e Fabio Lombardo, presidente e direttore artistico dell’associazione, hanno fondato L’Homme Armé negli anni Ottanta a Firenze, animati dal desiderio di immergersi nella musica vocale rinascimentale. Il loro è stato un incontro fortunato al Conservatorio. Dopo decenni sono un po’ orgogliosi perché di quell’epoca sono rimasti pochi gruppi e in pochissimi esiste ancora il concetto del gruppo protagonista al di là del leader. Baldassini spiega che sono state fondamentali le scelte fatte subito: l’affiancare i corsi ai concerti, l’ottenere discreti risultati sul piano dei finanziamenti, il confronto con altri artisti. Lo studio è incessante, raccontano, e la fiamma si rinnova.

L’Homme Armé è un’antica canzone borgognona su un misterioso uomo armato al quale bisogna fare attenzione, con doppi sensi sulla guerra, gli infedeli e qualche risvolto più osceno. Questo fu il nome prescelto dai giovani Renato e Fabio (e nei secondi anni di piombo qualche sospetto lo destava) perché “su questa melodia sono costruite moltissime messe polifoniche dalla prima metà del Quattrocento alla seconda metà del Cinquecento. E’ un caso rarissimo una melodia così lunga nel tempo. Quello che ci piace del nome è che rappresenta la trasformazione: una canzone profana che diventa messa”. “Il rigore è una costante del lavorare su musica così lontana, la ricerca porta inevitabilmente a concepire l’interpretazione musicale come un’ipotesi - spiega Lombardo -. Chi dice il contrario mente. Nessuno può essere certo. Siamo sempre in cammino, con una grande passione, un fuoco che brucia, vuoi capire, vuoi arrivare a qualche cosa. Di volta in volta presentiamo tappe di un percorso che non sappiamo dove arriverà”.

Anche per questo l’attività discografica del gruppo è molto limitata, una decina di uscite in tutto: c’è una perplessità nel fermare qualcosa che è in divenire oltre al fatto che il mercato è saturo “e lo diciamo facendo una carezza”. Senza carezze: il mercato è straripante, un cambio epocale è in corso e molti sono i dubbi sulla reale utilità dei dischi. In questo momento della sua strada L’Homme Armé sta frequentando cantanti di età diverse, una quindicina in tutto, per un dialogo fra la maturità e la passione più ardente della gioventù. “Affrontare repertori complessi, progetti che pongono tanti problemi richiede ai cantanti un’adesione concettuale, al di là degli aspetti contrattuali”. “Una cosa che ci piace sottolineare è che abbiamo cominciato il percorso con la musica contemporanea quando in città non si parlava di contemporaneo, nel 2000. Siamo stati fra i primi e anche un po’ criticati dai puristi dell’antico. Studiando la musica del passato, confrontandoci con le prassi esecutive e facendo una continua riflessione sull’esecuzione, decidemmo il grande salto: affrontare il contemporaneo con lo stesso approccio. Presentiamo programmi originali di musica antica e contemporanea. Alcuni ascoltatori ci hanno detto dopo questo tipo di concerto: non capivamo più dov’era il moderno e l’antico”.

Insieme Claudio Monteverdi e Arvo Pärt, per dire. Oppure Carlo Gesualdo da Venosa e Giacinto Scelsi. Nati nel 1567, 1935, 1566 e 1905: ecco l’uomo universale, armato della sua musica assoluta. “Siamo orgogliosi di fare concerti dai quali il pubblico dovrebbe uscire con qualche idea in più”. Come la Missa Ockeghem, liturgia di musiche, immagini, architetture tra Rinascimento e Contemporaneo, presentata a Fabbrica Europa insieme con Tempo Reale Electroacoustic Ensemble. Da anni i tenaci Baldassini e Lombardo propongono i Concerti al Cenacolo, una serie di appuntamenti musicali che si svolgono nella sala dell’Ultima Cena affrescata a San Salvi da Andrea del Sarto, secondo Giorgio Vasari, il pittore senza errori. Uno degli immensi capolavori di Firenze. E’ facile immaginare il fascino sospeso di questi concerti e quanto la bellezza di Firenze sia imprescindibile, ma è poi così facile la vita dell’Homme Armé a Firenze? “Firenze è una città d’arte, quindi ispiratrice. Ma la musica in Italia rientra nell’arte? Da scelte che certi personaggi fanno, mi verrebbe di dire di no, la musica rimane a sé stante. Molti specialisti di arti visive non sanno niente di musica e questo è il frutto di una visione della storia dell’arte incentrata su arti visive e plastiche”.

A questo punto servirebbe davvero la voce sconosciuta dell’uomo rinascimentale, l’uomo dalle conoscenze intrecciate, senza confini. Quello che, se sapesse che oggi un medico ti visita un dito e non si accorge che sei moribondo, lancerebbe un grido nei secoli.