Gustavo Cerati è una delle figure più importanti della musica argentina. Non c’entra il tango, qui siamo dalle parti del rock, laddove la definizione corrisponde alle caratteristiche originali, ossia a quelle di un genere libero, sperimentale e in continua trasformazione: una manciata di formule che fungono da pista su cui lanciare emozioni urgenti, osservazioni sul mondo, denunce, visioni sonore e altro ancora, traendo spunti utili ovunque, dalla novità tecnologica così come dall’imprevisto del momento.

Naturalmente alla base del rock ci dev’essere il desiderio di comunicare e non di trincerarsi in elucubrazioni accademiche o esibizionismi fini a se stessi: il vero rock è stimolo, partecipazione, gioco, sorpresa. E a volte rottura. Cerati ha tenuto conto di tutto ciò e ne è stato una delle reincarnazioni più sincere in assoluto. Se infatti avesse cantato in inglese le sue canzoni sarebbero patrimonio di un pubblico mondiale. Eppure il fatto che non lo abbia voluto è l’ulteriore dimostrazione di quanto questo artista credesse in una musica senza compromessi, senza forzature e strumentalizzazioni di sorta.

Già facendo così, concentrandosi cioè sulla sua lingua e la sua cultura e portandole a confrontarsi e fondersi con le varie declinazioni del “mainstream” anglofono, è riuscito in un’impresa incredibile: quella di dar forma a un continente ideale che raccogliesse nel nome di un solo rock latino americano tutti i paesi del Sud e Centro America in cui si parla lo spagnolo, e persino le comunità ispaniche degli USA. Il cosiddetto “Rock Nacional”, che è sempre stato un orgoglio e uno dei marchi di fabbrica della nuova scena musicale argentina a partire dai Sessanta (alcuni esponenti celebri: Los Gatos, Sui Generis, Charly García, Luis Alberto Spinetta… ), è diventato quindi in mano ai Soda Stereo - il gruppo che Gustavo Cerati (voce, chitarra) ha fondato insieme a Zeta Bosio (basso) e Charly Alberti (batteria) - la bandiera culturale di un unico spazio vastissimo, fino a poco prima diviso da molti confini e chiuso nelle sue proprie espressioni artistiche, folk o rock che fossero.

Un’unione possibile solo attraverso la musica, certo, ma non per questo meno vera e comunque il segnale di qualcosa di grande che dimostra quanto il concetto di identità potesse venire esteso. I Soda Stereo sono stati indubbiamente i principali responsabili di tale svolta. A Cerati non è servito cantare in inglese nemmeno per chiamare su di sé l’attenzione dei grandi nomi internazionali e collaborare con loro: fra questi possiamo citare Roger Waters, Eric Clapton, Andy Summers e Vinnie Colaiuta (ma Cerati e i Soda Stereo erano ben noti anche ai Queen e agli U2). Si pensi che gli era stato pure proposto di andare in tour insieme a Stewart Copeland e Summers come voce principale del tributo ufficiale “latino” ai Police, in sostanza di essere lo “Sting” del progetto: offerta che a malincuore declinò per concentrarsi sul suo disco solista all’epoca in lavorazione (Bocanada, 1999). Mentre il pubblico europeo è più facile che si sia accorto di lui nel ruolo di musicista, coautore e produttore al fianco di Shakira, sua devota fan e amica.

Cerati comunque è rimasto dal primo all’ultimo giorno una persona umile, estremamente riconoscente, entusiasta e contraddistinta da una totale dedizione verso l’arte. E certamente con le idee molto chiare. Lo sapeva da subito dove voleva andare, fin da quando gli era stata regalata dal padre la prima chitarra, quella su cui studiava meticolosamente gli assoli dei suoi idoli rallentando col registratore il nastro per sentire distintamente tutte le note da suonare, creando diteggiature personali che poi applicate al suo repertorio sono diventate oggetto di studio delle nuove leve di chitarristi. Quella voce poi, così piena e duttile, calda nei bassi e forte negli alti, con un’intonazione fuori dal comune e un falsetto invidiabile, ce la doveva per forza avere di natura. Anche l’università è stata un veicolo nel raggiungimento del suo sogno e infatti è così che ha conosciuto la prima volta Zeta Bosio.

I Soda Stereo sono partiti dal post-punk, la new wave e lo ska “impazzito” del debutto omonimo del 1984, per esplorare qualunque genere facesse gola alla loro creatività, come l’electropop, il soul, l’alternative rock, il rock puro e crudo, il progressive e la psichedelia. Se i primi album già contenevano pezzi memorabili, molti dei quali destinati a divenire inni da stadio, da Doble Vida (1988), registrato a New York, dove troviamo in qualità di produttore e musicista aggiuntivo Carlos Alomar, chitarrista e coautore in svariati dischi di David Bowie, e Chris Botti, futura star del jazz e fido trombettista di Sting, prende forma un sound sempre più importante e di classe che sa miscelare in modo altamente caratteristico tutte le influenze, compreso il folk e la musica andina in generale.

Nelle mani del “power trio” (tipo di formazione composta da chitarra, basso e batteria) il pop-rock assurge a livelli qualitativi che non sempre le classifiche “capiscono”, eppure la grandezza e la magia stanno anche qui: nel modo in cui il gruppo si è fatto seguire da un pubblico via via più vasto, stimolandolo, proponendo testi e musiche tutt’altro che scontati e ammiccanti (En la ciudad de la furia, per esempio), e suoni che, se si sapeva da dove provenivano, erano condotti altrove. Un livello di libertà artistica e di complicità col proprio pubblico a dir poco esemplare che tocca l’apice il 14 dicembre del 1991 col concerto a Buenos Aires presso la Avenida 9 de Julio (una delle strade più larghe al mondo) di fronte a oltre 250.000 persone (c’è chi sostiene fossero 500.000), a tutt’oggi la maggiore affluenza della storia dell’Argentina per un evento di musica (ma non devono essercene stati tanti di eventi così in tutto il Sud America).

Il tour era quello che accompagnava Canción Animal (1990), fra gli album di maggior successo e con più riconoscimenti (da MTV e Rolling Stone), che rappresenta anche uno sguardo al rock degli anni Settanta. E se il successivo Dynamo (1992) cambia le carte in tavola e mescola psichedelia, brit pop, grunge ed elettronica in un composto geniale che ancora oggi risulta inedito e dichiara tutta la sua originalità (anche la prova vocale è impressionante), il capitolo conclusivo Sueño Stereo (1995) è un emblema per raffinatezza ed equilibrio, un capolavoro di art rock che Rolling Stone mette al 4° posto fra i dischi più importanti di sempre del rock latino americano.

La storia “di studio” dei Soda Stereo si concluderà qui e nel 1997 ci sarà un lungo tour di addio dal titolo El Último Concierto, seguito 10 anni dopo da quello della reunion chiamato Gira Me Verás Volver. Tra i tantissimi successi della band, solo per un avere un piccolo orientamento di ascolto, ricordiamo: Profugos, Persiana americana, En la ciudad de la furia, Corazon delator, Un millón de años luz, De musica ligera, En remolinos, Primavera 0, Ella usó mi cabeza como un revólver, Zoom.

Anche fuori dai Soda Stereo però Gustavo Cerati continuerà imperterrito la sua “rivoluzione in musica”, consegnando alla storia una discografia solista di infinito pregio, oggetto di ammirazione e studio tanto quanto la carriera col gruppo. Album solisti Cerati ne aveva già licenziati un paio ancora mentre era nei Soda, parliamo di Colores Santos in coppia con Daniel Melero (1991) e Amor Amarillo (1993), lavori che rivelano un gusto per la sperimentazione e la ricerca di una chiave di lettura personale delle nuove tendenze sonore: il primo è un pop elettronico del futuro (ancora oggi), il secondo una declinazione solista delle sonorità di Dynamo con pezzi davvero memorabili a partire dalla title track e il singolo Te llevo para que me lleves.

Il debutto solista vero e proprio per certi versi, almeno come indipendenza e volontà precisa fin dall’inizio, rimane però Bocanada (1999): un disco che ne conferma il talento strabiliante, un’alchimia di elettronica, trip hop, alternative rock e world music che ha fatto gridare al genio anche alla critica più severa. Si ascoltino, giusto per avere un’idea dell’originalità e la bellezza del lavoro, brani come Tabú, Bocanada, Puente, Verbo carne e Río Babel. Ma ogni album sarà un centro pieno e uno sguardo nuovo che non intende ripetersi.

Nasceranno così il dolce e raffinato pop elettronico di Siempre Es Hoy (2002), la potente scossa rock come non si sentiva da tempo di Ahí Vamos (2006) e quell’ultimo incantevole capolavoro di Fuerza Natural (2009), dove elettrico, acustico ed elettronica creano un abito perfetto a ritmi e melodie che vanno dal brit pop di classe, al country, passando per il rock e il folk andino (Fuerza natural, Déjà vu, Tracción a sangre, Desastre, Rapto, Cactus, … ). Qui dietro poi c’era anche un progetto video molto interessante, una sorta di film in grado di legare i brani in un disegno stile “concept”.

Una menzione a parte la merita 11 Episodios Sinfónicos (2001) in cui Cerati rivisita varie canzoni del periodo Soda Stereo e solista con un’orchestra sinfonica, precorrendo il tipo di esperimento, come atmosfere e scrittura orchestrale, che avrebbe fatto Peter Gabriel su Scratch My Back (2010) e il successivo live New Blood (2011). 11 Episodios Sinfónicos è registrato dal vivo al Teatro Avenida di Buenos Aires con una qualità impressionante e la performance vocale dell’artista è qualcosa di incredibile per intensità e precisione. Il 15 maggio del 2010 dopo un concerto a Caracas nell’ambito del tour di Fuerza Natural, Gustavo Cerati subisce un ictus e cade in un coma da cui non si risveglierà più. Muore per complicazioni respiratorie il 4 settembre del 2014 all’età di soli 55 anni.

Il lutto è pesantissimo e raggiunge tutti i fan sparsi per le Americhe e il mondo. In Argentina sui cartelli elettronici delle strade a pedaggio, e un po’ in tutta Buenos Aires, compare in segno di ringraziamento e di commiato la sua espressione più nota: “Gracias totales!”. Troppo ci sarebbe da dire anche sul Cerati autore di versi, un poeta filosofo con un occhio acutissimo sull’animo umano. Lasciamo quindi ai versi finali di Fuerza natural il compito di concludere questo articolo: “Mi sono perso nel viaggio, non mi sono mai sentito così bene. Tutto è davanti, tutto mi sta parlando. Sta cambiando l’aria. Non mi sono mai sentito così bene”. Ciao Gustavo…