Armeggiavamo ancora per sentire musica con economici e spartani giradischi portatili che si chiudevano a valigetta. Le chiamavamo fonovaligie. Le sue manovre erano semplici ed essenziali: una manopola per il volume, una per il tono. L'altoparlante, lo chiamavamo ancora così, era sacrificato nel coperchio della valigetta o sul suo fianco. L'avvio avveniva spostando leggermente a destra il suo braccio. I prezzi accessibili ne determinarono tra gli anni Cinquanta e Sessanta una diffusione pari a quella del televisore. Ogni casa borghese finì per possederla, arginando un po' l'autorevolezza della radio. Resistevano grandi e fragilissimi dischi a 78 giri, rumorosi e fruscianti, che non avevano una vera e propria cover, ma una busta di carta anonima con fregi e disegni monocolori con un buco al centro che rendeva visibile l'etichetta.

I grandi divi della musica di allora, come Frannkie Laine, Harry Bellafonte e i leggendari Platters, transitavano dal pesante 78 giri al più maneggevole e infrangibile 45 giri. Erano i tempi delle feste danzanti pomeridiane fatte in casa, i balletti, sotto il controllo vigile dei genitori, e per far musica ognuno dei partecipanti portava i 45 giri della sua piccola collezione, personalizzati con un’etichetta col proprio nome per evitare indebite appropriazioni. Ballavamo, tentavamo innocenti avance abbracciandoci al suono di seducenti slow e si sognava molto, poco curandoci del suono spesso sgraziato della volenterosa fonovaligia e dei dischi stressati e consumati da un uso continuo... Eravamo giovanissimi e fantasiosi e le prime travolgenti cotte trovavano in quelle canzoni così maldestramente riprodotte le colonne sonore delle nascenti e spesso brevi storie d'amore. Il grande trentatré giri, il fantastico long playing, aveva prezzi inavvicinabili.

Poi ai primi degli anni Settanta irruppe sul mercato la grande novità della stereofonia e cominciammo ad ambire tutti ad ascoltare la nostra musica con due altoparlanti. I primi esemplari avevano ancora la forma della valigetta, un po' cresciuta nelle dimensioni con due grossi coperchi, in ognuno dei quali celato un altoparlante. Gli slogan pubblicitari pressanti e insistenti ci convinsero che quello era il vero modo di riprodurre la musica e farla giungere a tutte e due le orecchie in par condicio d’ascolto, per sentirci al centro di un'orchestra o di una band. Scesero in campo agguerritissime marche italiane e straniere allora in voga. Ad aggirare i prezzi proibitivi ci pensò la redazione della diffusissima e americanissima rivista, forse la più letta in Italia a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo: Selezione dal Reader Digest, che propose un suo giradischi stereofonico venduto a rate. L'ascolto della musica in casa cominciò a essere più impegnativo perché al giradischi andavano staccati i coperchi e distanziati opportunamente per riprodurre alla meno peggio una sala da concerto e il numero delle manopole aumentò: i pomelli dei toni divennero due, per gli alti e per i bassi, e nacque quello del bilanciamento. I primi possessori si sentirono piccoli registi del suono alle prese con l'aumentato numero dei comandi. Fu un ottimo affare per chi produceva musica. Arrivarono i dischi stereofonici, molti dei quali definiti stereo compatibili, per farci capire che sui nuovi scintillanti apparecchi potevano suonare anche i vecchi dischi, definiti, con un pizzico di compassionevole benevolenza, monofonici.

L'onda della novità della stereofonia diventò sempre più travolgente, invasiva e prepotente, con i primi degli anni Settanta, seguendo i miti della nascente High Fidelity, l’agognatissima Alta Fedeltà, salutata e incoraggiata da un consistente numero di riviste specializzatissime come, per ricordane qualcuna, Discoteca Alta Fedeltà, Stereoplay, Suono Stereo Hi-Fi. La musica in casa diventò un affare serio. Radio, giradischi, registratore diventarono termini fuori moda. Fu indispensabile avere un impianto con giradischi, preamplificatore, amplificatore di potenza, sintonizzatore e finalmente le due casse. Per i più fanatici si potevano inserire in questa filiera elettronica diaboliche apparecchiature come gli equalizzatori ambientali.

E adottammo tutti un linguaggio iniziatico fatto di espressioni e termini che pronunciavamo spesso senza capirne a pieno il significato: distorsione armonica, risposta di frequenza, impedenza, watt, ohm. Le manopole, i cursori, i display con lancette che si agitavano a suon di musica divennero una miriade. Guai a chiamare altoparlanti i diffusori che si fecero sempre più grandi e tonanti. E che discussioni sulle riviste specializzate e tra i neofiti! I giradischi: preferibilmente svizzeri o tedeschi. Le casse acustiche? Le europee, olandesi, inglesi, svedesi col loro timbro asciutto o le grosse americane dal suono più morbido e pastoso? E gli amplificatori? I tradizionali americani o quelli nipponici? E nelle nostre case, insieme ai debiti e alle rate, fecero trionfale e invadente ingresso veri e propri banchi di regia. Col cursore del volume potevano produrre suoni apocalittici da far tremare i vetri di casa. Mettere su un disco era un rito, ma anche un problema. Il braccio doveva essere leggerissimo come una piuma, il disco andava delicatamente spolverato con un panno antistatico, meglio se accompagnato da uno speciale detergente...

Tutto questo perché? Perché per sentire il quinto concerto Imperatore di Beethoven eseguito dai Wiener Philarmoniker diretti da Carlo Maria Giulini e Arturo Benedetti Michelangeli al pianoforte, dovevi sentirti al centro del Musikvereinsaal di Vienna. Il pieno orchestrale si concentrava magicamente davanti a te, da sinistra arrivavano i violini e da destra le trombe; la tastiera del pianoforte sembrava stendersi dall'uno all'altro diffusore attraversando tutta la parete del tinello. Questa l'alta fedeltà? Più fedele dell'originale: un'acustica perfettissima, come non la trovavi nemmeno in un auditorio.

L'arrivo dei cd ha aggiunto un nuovo tocco di tecnicismo e di perfezionismo perché sono invulnerabili, non si consumano e non si graffiano come i vecchi vinilici. Ma i vinilici, fragili e delicati sembrano alla riscossa. Sono tornati e promettono di farlo alla grande! Le vecchie fonovaligie, invece, ormai sono solo a disposizione dei nostalgici e degli appassionati di vintage nei siti di vendita in rete. Ma quelli della generazione degli ultra sessantenni pensano a questi imperfetti strumenti di riproduzione sonora con un pizzico di nostalgia, ricordando che con quelle goffe valigette hanno vissuto i loro amori con Ben King e con Gianni Morandi e hanno avuto i primi affascinanti approcci con la Sinfonia Patetica di Tchaikovsky e la Pastorale di Beethoven. Questi giradischi portatili, per parafrasare la terminologia dell’High Fidelity, avevano con l’originale un rapporto assai poco fedele, ma sicuramente più coinvolgente ed emozionante.