Fabrizio Squillace è più di una scommessa nel panorama indipendente italiano. Dalla più remota provincia italiana (catanzarese di nascita), possiede un solido background di ascendenza folk nella sua diramazione rock, oltre a una predilezione per Nick Drake e Tim Buckley.

Chitarra acustica e voce rappresentano una sfida semplice per quanto impegnativa: per Squillace costituiscono il terreno ideale per sottolineare un talento forgiato da una gavetta umile per quanto fruttuosa, che ora potrebbe giocarsi le sue carte anche in ambito internazionale. Ad aumentarne l’eco anche il video che accompagna Sleep, una sua bella canzone che sottolinea le dure condizioni di chi arriva dall’altra parte del Mediterraneo sperando in un futuro migliore, e costituisce lo spunto per un’intervista in cui Squillace parla di sé e delle sue (più che legittime) aspirazioni che ruotano attorno al progetto Fab: “Non si può restare indifferenti - spiega - alle cronache quotidiane. Il video gode della firma di Hedy Krissane, attore e regista tunisino che da qualche anno vive in Italia, e della partecipazione di rifugiati politici che sono stati accolti a Briatico, non molto lontano da Tropea. Con la segnalazione degli amici Teresa Simone ed Eugenio Capellupo, che si sono poi occupati della realizzazione tecnica del clip, ci siamo poi incontrati a Roma, una città in cui ho vissuto occupandomi di tutt’altro, dal momento che ho conseguito la laurea in Giurisprudenza e un diploma in critica giornalistica in un momento di riflessione artistica. Ma le passioni che covano dentro di noi, come è noto, non si possono reprimere mai”.

Il brano possiede un bel tiro, definiamone meglio la sua evoluzione…

Leggendo l'ennesima notizia relativa a un barcone carico di migranti affondato nel Canale di Sicilia, ricordo il trafiletto che parlava di una bambina di appena un anno, affogata assieme a tante altre persone. Questo mi colpì profondamente, al punto da scrivere una ninna nanna, raccontando a una piccola ragazza qualcosa del mondo in cui viveva. "Teach me how to face my big mistakes", dice una delle frasi del brano, una sorta di implorazione. Direi che è capace di riassumere profondamente il senso di Sleep. Ringrazio anche per il contributo fornito, la Cooperativa sociale ONLUS Mediaglob di Lamezia Terme, AlfaVideo produzioni e il sostegno del Comune di Briatico e della Provincia di Vibo Valentia.

È il palco il luogo in cui ti senti più a tuo agio? Ti ricordi quando ci sei salito la prima volta?

Il contatto con il pubblico per chi suona è qualcosa di imprescindibile. Sono salito sul palco la prima volta a 17 anni, accompagnato dai fratelli Cefaly, due musicisti che a Catanzaro erano uno snodo dal quale prima o poi bisognava passare, con tanti concerti e cover suonate in giro per la Calabria. Quindi la naturale evoluzione con la costituzione dei Sense, un gruppo che strizzava l’occhio al grunge e la new wave più viscerale. Con loro siamo stati parecchio in giro per l’Italia, vincendo diverse manifestazioni che ci hanno garantito l’accesso a palcoscenici di grande prestigio.

Diciamo che la tua musica è una valvola di sfogo nei confronti della tua vena più intimista, in fondo spesso la scintilla parte da una chitarra acustica…

Mi è sempre piaciuta questa dimensione, in fondo è un modo per non perdere il contratto con se stessi. Parallelamente ai Sense, avevo un’altra esigenza, ovvero quella di sviluppare un repertorio più raccolto che occhieggiasse anche a nomi di assoluto valore della scena italiana del calibro di Vinicio Capossela e degli Afterhours, senza dimenticare i padri fondatori, come Neil Young e Bob Dylan.

La tua musica parte da una forte riflessione esistenziale che si apre alla speranza, almeno questo mi è parso l’asse su cui hai realizzato Bless, il tuo primo e.p. di sei tracce…

Si è trattato di un viaggio quasi spirituale, parte di un mosaico molto personale che si rifà sempre a quell'idea di "un occhio a me e un altro a quello che mi circonda". C'è una preghiera laica e piena di sarcasmo (Bless), una riflessione sul tempo che scorre (Time), un tributo a Bobby Sands, protagonista della storia nordirlandese (Sands), il lamento colmo di speranza di un uomo che si è smarrito (“I have a heart”) e poi il rapporto padre-figlio (Something about love) e il tema della perdita, intesa quasi alla maniera di Ian Curtis (Last night out). Li abbiamo suonati abbastanza in giro, ricevendo anche un doppio invito a Londra che mi ha lusingato.

Potrebbe essere una delle direzioni da percorrere nel futuro…

Certamente dal momento che i testi sono in lingua inglese, che è la padronanza minima se uno vuole fare un percorso internazionale. Sto limando gli ultimi dettagli dell’album che condensa ciò che ho da dire in questo mio momento artistico e che vedrà presto la luce. Dalla primavera sarò pronto a suonare dovunque mi vorranno come Fab.