Attrice, socia-fondatrice della compagnia ATIR, Arianna Scommegna ha ottenuto importanti riconoscimenti come i premi “Hystrio” e “Ubu”. Il suo repertorio va dai classici greci alla contemporaneità di Testori.

Cosa vuole raccontarci di lei?

Sono una donna di quarantadue anni che vive con la sua famiglia a Cernusco sul Naviglio e ama il teatro così tanto da avere costruito da venti anni un'altra famiglia che si chiama Atir (Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca).

La sua vita si dipana, dunque, tra famiglia e teatro, allora i significati di "persona", "personaggio", "maschera”, come si giocano tra di loro per una che di lavoro e, non solo, sta sul palcoscenico?

Cerco autenticità, sia nella vita che sul palcoscenico, cerco di non mentire. Non è semplice perché la menzogna è dietro l'angolo, è apparentemente più facile, poi però indurisce l'anima ed è difficile con gli anni sciogliere le rigidità. Non amo un solo tipo di personaggio, pur mantenendo un mio carattere mi piace stupirmi prendendo forme diverse. Amo le maschere ma non la schiavitù rispetto a queste, sia nella vita che in teatro.

La donna oggi: liberazione o integrazione?

Tutte e due, il percorso credo sia di liberazione dalla schiavitù dei secoli passati per lavorare insieme, uomini e donne, integrandosi. Per fare questo è imprescindibile cercare e trovare un dialogo profondo, collaborativo e pacifico con il mondo maschile. A volte ci si trova ancora (da entrambe le parti) di fronte a muri difensivi arroganti e ignoranti, ci vorrà molto tempo ancora per arrivare a una parità ma solo il confronto pacifico potrà aiutare questa liberazione. Abbiamo bisogno di sostegno, tra noi, e con il mondo maschile, per trovarlo dobbiamo aiutarci e farci aiutare, è un lavoro lento, quotidiano, le conquiste degli anni passati possono essere sotterrate in poco tempo da una cattiva educazione. Non bisogna arrendersi, fondamentale è trasmettere un esempio ai nostri figli.

Come vede la relazione tra la donna e il potere?

Il potere è negli esseri umani, è una forza che nel corso della maturazione della vita ognuno impara a dosare e gestire. L'uomo nei secoli ha sempre dominato sulla specie animale e ha cercato di farlo anche sulla natura stessa. La donna, in una posizione svantaggiata, ha sviluppato e coltivato nella sopravvivenza un'intelligenza creativa e pacifica che le ha permesso di crescere e lottare per superare la condizione di schiavitù. Questo le ha dato una forza straordinaria. Oggi molte donne hanno un potenziale energetico creativo che potrebbe essere una grande risorsa per gli esseri umani e per il pianeta.

Esiste ancora uno stereotipo della donna milanese?

Milano ormai non ha più un solo volto, gli stereotipi della donna manager imprenditrice di se stessa non funzionano più in una realtà come questa, metropolitana e multietnica. Rispetto a molte altre città italiane è sicuramente quella meno provinciale di tutte, sono un po' di parte perché la amo. Milano non è proprio la città più bella d'Italia ma, tra tutte, è quella dove si trovano razze di tutto il mondo e questo può essere una grande risorsa perché impedisce il formarsi di stereotipi e costringe i cittadini, anche se non vogliono, ad occuparsi della realtà.

Cosa ne pensa del rapporto della donna con l’uomo contemporaneo: confronto o scontro?

Assolutamente confronto, a testa alta certo, ma confronto. Quando non c'è più spazio per il dialogo arriva lo scontro e può trasformarsi in guerra, ovvero lo stadio più primitivo e sterile nell'evoluzione dell'essere umano. Dobbiamo educarci senza paura a tenderci la mano, è faticoso, non dà risultati immediati ma non è tempo per la guerra.

Sessualità, maternità, lavoro: tre fili che sintrecciano, confliggono o si elidono?

Si intrecciano continuamente e per questo diventano linfa l'uno per l'altro. L'eros è una componente fondamentale nella vita e nel lavoro teatrale, è la spinta creativa e genitrice. Qualche giorno fa ero in un momento di sconforto sul lavoro e mio figlio tredicenne mi ha dato un consiglio che mi ha aiutato molto, poi io ho aiutato lui a fare i compiti ed è stato un pomeriggio indimenticabile. Il nostro lavoro ha bisogno di nutrimento umano e la famiglia per me è uno dei luoghi di crescita quotidiano.

Eros, generatività, famiglia, esperienze fondamentali che nella sua vita convergono e trovano uno spazio di senso anche nella sua attività. Cosa rappresenta per lei il teatro?

Un teatro credibile, intenso che cerca autenticità con onestá intellettuale. Un teatro popolare perché il teatro deve essere di tutti, non solo di un'élite e che parli alla gente di oggi. Essendo un atto contemporaneo, deve poter essere fruibile nel momento in cui si attua, nasce e muore nel qui e ora dello spettacolo, domani sarà già un'altra cosa. I testi teatrali possono sopravvivere nel tempo non gli spettacoli.

Si potrebbe parafrasare “La vita è sogno” di Calderòn de la Barca con “La vita è teatro”?

Per me la vita comprende anche il teatro e il teatro è un luogo dove gli uomini, se vogliono, possono riflettere sulla loro vita. La vita è sempre più assurda, incantevole, violenta, dolcissima, dura, terribile e imprevedibile di qualsiasi immaginazione teatrale.

Lei è una grande interprete di Testori: che cosa l’affascina di più del grande scrittore lombardo?

Il suo essere poliedrico, artista, scrittore, pittore, poeta, critico, drammaturgo. Testori non è un uomo che si può incasellare in una sola definizione. La sua intelligenza colta e la sua passionalità intrisa di fede e cultura popolare lo rendono un grande narratore del '900.

La sua interpretazione di Cleopatràs di Testori la rende personaggio umano, donna forte, di potere, ma anche fragile e sola, i movimenti frenetici del corpo e delle mani, i timbri della sua voce colorano non solo di emozioni la vita personale e sociale di Cleopatràs, ma sembrano attribuirle anche un’identità di genere mutabile, intercambiabile, scivolando da uno stato all'altro con sorprendente naturalezza, rendendola misteriosamente affascinante. Cosa si prova ad essere Cleopatràs?

Testori ha regalato testi che permettono agli attori di intraprendere nella recitazione un viaggio spirituale e fisico vicino a un'esperienza mistica. Non lo dico per fare la fricchettona, lo penso veramente. Le sue parole contengono carne, sangue e spirito, ti implorano di essere un animale e allo stesso tempo una canna al vento. Pochi drammaturghi riescono a fare questo. Quando recito Cleopatràs sono assolutamente cosciente di tutto quello che accade, sono lucidissima, ma in questa totale consapevolezza vivo un abbandono, un trasporto fisico ed emotivo che è dato proprio dalla forza delle parole di Testori.

Anche la sua Mater Strangosciàs è impersonata in maniera straordinaria e commovente tanto quanto è commovente e straordinario il testo di Testori, si ha l’impressione che lei abbia interpretato quello che succedeva nella mente e nel corpo dell'autore quando stava componendo il suo lavoro, come se fosse dentro di lui, come se fosse lui. Qual è il suo vissuto?

Dopo un anno circa dal debutto di Cleopatràs ho sentito la necessità di proseguire il lavoro sui Lai testoriani, non mi bastava la chiusa rabbiosa urlata dalla regina della Valassina. Sentivo il bisogno di una carezza, di un abbraccio, di dire la parola perdono senza paura; di salutare con un bacio la vita, proprio come fa la Mater col pubblico nelle ultime battute del testo.

L'Arianna, nella vita e/o sulla scena, quale/i Teseo e quale/i Minotauro ha incontrato?

Gli incontri che si fanno sono delle opportunità per crescere e trasformarci. Ho lasciato e sono stata lasciata sull'isola, come nel mito di Arianna, ma ogni esperienza, pur dolorosa, mi ha permesso di fare un percorso di crescita. Ora sono in un momento felice della mia vita affettiva.

Tiene seminari sulla recitazione attraverso il training fisico e vocale: ce lo può spiegare?

I miei laboratori sono finalizzati alla costruzione di personaggi teatrali.Quello che faccio nel laboratorio è cercare di passare la mia esperienza teatrale, un po' come nella scuola di Don Milani, dove non c'è il maestro che "sa" ma un compagno che ha fatto un percorso e cerca di trasmetterlo.

Ha fondato l’ATIR: quali sono le finalità e i progetti?

Siamo partiti in 6 nel '96 col desiderio di fare teatro, uniti dalla bellissima esperienza di Romeo e Giulietta, regia di Serena Sinigaglia, dopo 20 anni siamo qui in tantissimi, bambini, ragazzi, anziani, attori, educatori, religiosi, professori, studenti, architetti, designer, scenografi, attrezzisti, registi, drag queens e kings... intorno al teatro Ringhiera col desiderio di tenere vivo un luogo di resistenza alla solitudine della periferia cittadina, uno spazio dove la creatività ci tiene vivi e uniti.

Il suo palcoscenico di riferimento è il Teatroringhiera, nel cuore di Gratosoglio: che stimoli le dà vivere la realtà di un quartiere periferico?

Le periferie cittadine, dove c'è poca natura e molto cemento, casermoni dormitorio in cui la gente spesso si ritrova sola e risucchiata dalla tv o dal frigorifero, è un contesto dove il teatro è necessario.

Testori ha scritto pagine indimenticabili sulla periferia milanese: cos’è cambiato, antropologicamente e socialmente, negli ultimi anni?

Nelle città del nord, specialmente in un capoluogo come Milano, nelle zone lontane dal centro, i meridionali di una volta sono diventati gli extracomunitari di oggi, la periferia di Milano ha sempre accolto generosamente. Il grande cambiamento è proprio la multiculturalità, con le difficoltà e i pregi che ne comporta.

Lei, come la sua amica e collaboratrice Serena Sinigaglia, viene dalla Scuola Paolo Grassi: che cosa vi ha dato?

Tantissimo. Disciplina, allenamento, costanza, pazienza, ascolto, ci ha permesso di incontrare maestri diversi tra loro, capaci di stimolarci e soprattutto ci ha fatti incontrare, facendoci lavorare insieme con ruoli diversi. Ha segnato le basi per poter far nascere ATIR; noi l'abbiamo portato avanti per venti anni e l'abbiamo fatto crescere come un figlio ma è nato lì, nel cortile della Paolo Grassi.