Era l’odore della mia pelle che cambiava, prepararsi prima della lezione, fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza. Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consunte ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi. (…) L’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma danzo con la mente, volo oltre le mie parole e il mio dolore. Danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare.
(Rudolf Nureyev, Lettera alla danza).

Classe 1989, sguardo magnetico, corpo tatuato meravigliosamente atletico. Una statua che danza, un’energia che incombe e travolge. Molti lo hanno definito il nuovo Rudolf Nureyev, a ragione. Oggi Sergei Polunin è un astro nascente, direi ormai splendente, nell’Olimpo dei migliori ballerini classici sulla scena mondiale. Giunto alla notorietà del grande pubblico per la sua performance nel video Take Me to The Church del cantautore e musicista irlandese Andrew Hozier-Byrne, conosciuto come Hozier, diretto da David La Chapelle [1], Sergei era già conosciuto dagli amanti e dai buoni conoscitori di quella splendida arte suprema che è il balletto. Non era passato inosservato. Quando ho avuto la fortuna e l’onore di vederlo volteggiare in Coppelia al teatro Stanislavsky di Mosca, non l’ho più lasciato, e ho iniziato a seguirlo in tutti gli spettacoli possibili (quando si riesce a trovare il suo nome in affiche, cosa non semplice), dal Lago dei cigni a La Bayadere, oltre che sulla stampa. Se quella russa, inglese e americana ne parlano ormai da tempo, quella italiana ha iniziato a farlo abbastanza recentemente, dopo il video di La Chapelle e l’esibizione in Giselle al teatro La Scala, nel 2015. Tanto più che, nello stesso 2015, il mensile Danza & Danza (un must del settore) lo ha dichiarato ballerino dell’anno.

Nato in Ucraina, da Galina Polunina, casalinga, e Vladimir Polunin, operaio, Sergei prende le sue prime lezioni di ballo a soli tre anni, a quattro entra in un'accademia di ginnastica artistica, dove comincia un serrato programma di allenamenti che da quel momento scandiranno rigidamente tutta la sua vita. Ma la sua passione è la danza. La famiglia non è ricca, come spesso accade nel mondo di questi talenti dell’est Europa (lo stesso Nureyev ricorda quando alternava scuola di danza e campi agricoli) ma la forza di volontà e la voglia di emergere, oltre che un talento innato, hanno il sopravvento. E poi la fortuna aiuta gli audaci, sempre. Nel 1999, partecipa a un'audizione per il Kiev’s State Choreographic Institut, esibendosi in un'improvvisazione su un'aria di Luciano Pavarotti che colpisce particolarmente gli esaminatori, vista la sua giovanissima età. Accettato dalla prestigiosa accademia, si trasferisce a Kiev con la madre, vivendo in un piccolo appartamento (un’unica stanza in periferia), mentre il padre si sposta in Portogallo per lavoro.

Nel 2003, grazie a una borsa di studio della Rudolf Nureyev Foundation (ecco il primo grande legame con il maestro), Polunin entra a far parte della British Royal Ballet School e si trasferisce a Londra. Nel 2009, viene nominato primo solista e nel 2010 primo ballerino, il più giovane nella storia del Royal Ballet, a soli diciannove anni. Polunin deciderà di lasciare questo prestigiosa compagnia, nel 2012, mostrando insofferenza a una situazione dove, a suo parere, un artista non riusciva a esprimersi al meglio, a causa di vincoli di varia natura, con la forte e frustrante sensazione di una reale impossibilità a decidere qualsiasi cosa su di sé e il proprio lavoro. Nello stesso anno, Sergei incontra, a San Pietroburgo, Igor Zelensky, ex primo ballerino del Kirov Ballet e del Royal Ballet, oggi direttore artistico del Teatro moscovita Stanislavsky e del Teatro dell'opera e del balletto di Novosibirsk. Gli viene proposto il ruolo di primo ballerino a Novosibirsk e a Mosca, con la libertà di esibirsi dove voglia. Sarà proprio Zelensky, considerato mentore e padre, a suggerirgli di partecipare al talent show televisivo russo Big Ballet dedicato alla danza, talent che Polunin vince e che gli conferisce popolarità in Russia, cui seguono apparizioni televisive, collaborazioni con stilisti e servizi fotografici su varie riviste, come Vogue. The Observer l’ha definito "il ballerino più naturalmente dotato di questa generazione", il New York Times lo descrive come "Un ballerino favoloso, con una tecnica d'acciaio e una meravigliosa linea", mentre il Telegraph "Il James Dean del balletto mondiale”. La stella vive tra valigie e aerei ma sempre con immensa energia. Volatile e leggero. Intenso e coinvolgente. Penetrante e volitivo. Sicuro ma sfuggente.

Sergei, se pur giovane, dimostra grande maturità e voglia di cambiare molte cose nel mondo del balletto classico, vorrebbe anche creare una fondazione a suo nome che sostenga i ragazzi negli studi di danza, proprio come è capitato a lui che, tredicenne, è approdato a Londra grazie alla Fondazione Nureyev. È anche attivamente coinvolto in varie iniziative benefiche, come la Fondazione Hear the World, di cui è ambasciatore, per la quale ha tenuto un laboratorio di danza, a Mosca, con i ragazzi non-udenti del gruppo di ballo Angely Nadezhdy (Angeli della Speranza, [2]) impegnata nel fornire cure e assistenza a bambini malati di cancro. Lo vedremo presto in Dancer, film documentario diretto da Steven Cantor, prodotto da Gabrielle Tana, a lui dedicato.

Sentimentalmente legato oggi alla magnifica Natalia Osipova, etoile del Bolshoi, Sergei vuole ballare solo con lei. Un intreccio magico di linee armoniose, tecnica d'acciaio e intensità espressiva. Una coppia degna di una favola, alla quale non c’è che da augurare il meglio. Splendidi cigni.

Premi e riconoscimenti

• 2002 Premio "Serge Lifar" al Concorso Internazionale di Balletto
• 2006 Medaglia d'oro e premio della giuria al Prix de Lausanne (2006)
• 2006 Vince lo "Youth America Grand Prix/YAGP"
• 2006 Medaglia d'oro al Concorso Internazionale di Balletto "Serge Lifar"
• 2007 "Young British Dancer of the Year" nel Regno Unito
• 2011 "Critics' Circ le National Dance Awards" categoria miglior danzatore classico maschile
• 2012 Vincitore del Russian TV-project & competition Big Ballet
• 2014 "Soul of Dance Award" del Russian Ballet magazine
• 2015 Ballerino interprete dell’anno, Premio Danza & Danza

[1] www.youtube.com/watch?v=c-tW0CkvdDI
[2] http://www.hear-the-world.com/en/about-us/campaigns-events/sergei-polunin-tanzworkshop/sergei-polunin-dance-workshop.html

Per maggiori informazioni:
https://www.facebook.com/sergeipoluninitalia/?fref=ts

Fotografie di Simonetta Sandri, Teatro Stanislavsky, Mosca, 2016