A un mese dalla fine della settima edizione del Festival del Cinema Mediorientale, tenutasi a Firenze, la città può seguire gli sviluppi di una cinematografia non più confinata ai tempi stretti di un festival, ma apprezzata dalla distribuzione. Merito degli organizzatori del Festival, Lisa Chiari e Roberto Ruta, che perseguono con passione e abilità l'idea di mostrare come si vive la quotidianità nei paesi del Medio Oriente, in aperto contrasto con l'idea diffusa dai media che siano solo teatri di guerra. Dei due nuovi film in distribuzione, il primo, Viaggio da paura, è di Ali Mostafa, considerato uno dei più talentuosi giovani registi degli Emirati. Descrive il viaggio da Abu Dhabi a Beirut che tre amici compiono, attraversando luoghi bellissimi, più intenti a ricomporre un'amicizia in crisi che preoccupati della guerra intorno a loro. Il secondo, Appena apro gli occhi di Leyla Bouzid (Francia/Tunisia 2015 ), è la storia, assai coinvolgente, di una sedicenne nella Tunisia ante rivoluzione, che sfida i pesanti divieti che impediscono alle donne di mostrarsi in pubblico, per riuscire a cantare nei locali.

Dei film presentati nei giorni del Festival, però, sembra che ne vedremo nelle sale uno soltanto, The Idol, (Palestina, UK, Qatar, Olanda, Emirati Arabi Uniti, 2015), del palestinese Hany Abu-Assad, ben noto al pubblico per la rassegna di suoi film realizzata nel 2014. Tutti i film proiettati in questa edizione, sottotitolata Live &Love, parlano di vita e amore con la guerra sullo sfondo, trattando problemi in cui possiamo riconoscerci, così coinvolgenti da far passare la guerra in seconda linea.

La protagonista di Peur de rien (distorto nella versione export in Parisienne), Francia 2015, è un'indomita diciottenne libanese che cerca la sua identità malgrado gli ostacoli e la scarsezza di mezzi a sua disposizione. Per lei la guerra è un rumore di fondo nella sua vita, ben più insidiata dal parente che la dovrebbe ospitare a Parigi per permetterle di frequentare l'Università nella grande città, visto che la famiglia non le dà aiuto in denaro. Interessante la costruzione del film, che ci mostra una Parigi che muta al mutare delle storie d'amore che lei vive con uomini diversissimi, in una ricerca coraggiosa e non scevra di dolori e delusioni. Attraverso i suoi occhi seguiamo anche alcune lezioni di storia dell'arte di una grande insegnante, che accresce l'entusiasmo della protagonista verso la conoscenza. Il film ha ricevuto molti premi, che hanno reso famosa a livello internazionale la regista libanese Danielle Arbid.

Fra una proiezione e l'altra la ricostruzione delle vite quotidiane è stata ulteriormente approfondita attraverso la descrizione e la degustazione del cibo. Abbiamo avuto un buffet libanese offerto in conferenza stampa dal ristorante La valle dei cedri, è stata preparata cucina VegetArab il secondo giorno del Festival, le delight del Bahrein hanno accompagnato una selezione di corti di quel paese, e la serata finale è stata festeggiata con alcuni dei piatti più amati del Medio Oriente e con una fantasia di dolci orientali. Di grande interesse la presentazione del libro Pop Palestine. Viaggio nella cucina popolare palestinese di Fidaa I A Abuhamdiya e Silvia Chiarantini (ed. Stampa Alternativa), presentato in sala, è molto interessante se si vuole conoscere meglio il paese. Un viaggio tra strade, pentole e fornelli, dal sud al nord della Palestina,, partendo da Hebron e spostandosi a Betlemme, Ramallah, Gerusalemme, fino a Gerico, Nablus e Jenin. A ciascuna di queste città è dedicato un capitolo in cui sono riportate le ricette tipiche. Sono trascritte sia quelle viste realizzare durante il viaggio dai venditori di strada che quelle delle padrone di casa e dei cuochi dei ristoranti. Pagina dopo pagina, si “assaggia” una Palestina diversa, popolare, vista dall’interno delle sue cucine. Da cui traspaiono cultura e aspirazioni del popolo palestinese. Si apprende con stupore che le inimicizie religiose non sono ataviche, visto che cristiani, musulmani ed ebrei usano gli stessi dolci per le feste religiose di ogni confessione. Daniele de Michele "Don Pasta", scrive nella prefazione: “Questo libro è talmente immerso tra le storie che le ricette sono un momento di tregua, di pace prima della tempesta, dolce, malinconica, poetica tempesta, che questi avventurosi compagni di viaggio ci hanno regalato. Perché parlare di Palestina è un non senso, non ne parla nessuno in questi termini, a pochi viene in mente di considerarla meta turistica, nessuno immagina che ci sia una vita oltre la guerra, che esista una cucina che non sia da campo”.

Ancora del popolo palestinese si parla nel film The Idol, che ha vinto il Premio del Pubblico di questa settima edizione. Racconta l’incredibile storia di Mohammad Assaf, il ragazzo che, pur vivendo nella Striscia di Gaza, riesce a vincere il talent show Arab Idol. Gli episodi che narrano di lui e della sorella bambini, impegnati con tutte le loro forze a suonare in quel contesto di povertà e isolamento, sono la parte più straordinaria del film.

Quasi a pari merito per gradimento del pubblico Barakah meets Barakahdi Mahmoud Sabbagh (Arabia Saudita, 2016, 88’) ha costretto i direttori artistici Lisa e Roberto ad assegnare una Menzione Speciale a questa che è la prima commedia romantica mai girata in Arabia, dotata di una “prospettiva originale e coraggiosa nel raccontare l’Arabia Saudita di oggi e le sue nuove generazioni”, secondo le parole da loro pronunciate nella cerimonia di premiazione.

Come Best Short Film una giuria di studenti della New York University Florence ha scelto Talk Radio Teheran di Mahtab Mansour (Iran, Francia, Italia, 2015), perché “ ...riporta storie di donne forti e indipendenti ...umanizza il Medio Oriente attraverso uno sguardo sulla vita quotidiana delle donne e disperde gli stereotipi occidentali sul ruolo femminile nella società iraniana...”.

È importante citare anche A Syrian love story. Coproduzione anglo-siriana, racconta, con modalità inedite e avvincenti, gli sviluppi della storia di una famiglia, quella costruita da Amer e Raghda, che si sono incontrati in una prigione siriana, ivi detenuti per la loro militanza politica contro il regime. Nel 2009, quando il regista Sean McAllister si imbatte per la prima volta nella coppia, Raghda è in carcere e ha lasciato ad Amer la cura dei loro 4 figli. Ben presto però arriva la “primavera araba” a sconvolgere la regione e a cambiare il destino di questa famiglia. Il film ripercorre un’incredibile odissea verso la libertà che coinvolge il regista in prima persona, arrestato dai servizi segreti durante le riprese. Mc Allister si rapporta in modo così umano con tutti i componenti della famiglia, che ne diventa un riferimento, più volte richiamato a seguirne le vicende nel corso di ben cinque anni. Testimonianza delle terribili ripercussioni provocate dal regime sono le scelte dolorose e inaspettate dei protagonisti. Il linguaggio originalissimo, frutto della profonda partecipazione emotiva del regista, fa sì che film e backstage formino un tutt'unico, in cui il principale protagonista, anche se inquadrato pochissimo, è proprio il regista stesso.

È di fronte a una cinematografia di tale livello che si capisce tutta l'importanza che può avere un festival del cinema nel processo di avvicinamento di culture diverse. Creando conoscenza, trasforma sospetto e paura in interesse. Anche perché, nei giorni del festival, i messaggi profondi e dolorosi sono stati inframmezzati da altri di assoluta levità. Ad esempio fa un bel contrasto col film appena descritto il corto Blue, anch'esso fra i premiati, girato in Siria da Abo Ghabi, che ci racconta come, in un luogo sotto assedio senza acqua né elettricità (il campo profughi palestinese di Yarmouk), la musica da sola riesca a dare speranza. Ayham Ahmad, seduto al suo pianoforte malridotto, è come se, facendone sgorgare la musica, illuminasse le tenebre e desse da bere agli assetati!