Carcere della Dozza, periferia di Bologna. Palazzo Madama, centro di Roma. Carcere della Dozza, periferia di Bologna. L’Appennino da attraversare e riattraversare, sorvegliati dalla polizia penitenziaria, milioni di universi interiori nei quali viaggiare. Celle e squallore, tutti i giorni, la magnificenza dell’aula del Senato un giorno, per un’ora e mezza di un lunedì temporalesco nel primo pomeriggio, poi azzurro capitolino. Tramonto barocco, luna piena.

Il Coro Papageno, immaginato da Claudio Abbado e formato da detenute e detenuti della prigione bolognese e da alcuni volontari, il 20 giugno ha cantato a Palazzo Madama su invito del presidente del Senato Pietro Grasso che ha voluto dedicare il concerto per la Festa europea della musica 2016 al “ricordo dell’indimenticabile Maestro e Senatore a vita”. Nel suo saluto al pubblico, Grasso ha detto che Abbado ripeteva: “Chi non ama la musica, chi non conosce la musica, va aiutato subito, perché è una delle cose più importanti della vita”. Grasso ha aggiunto di sentirsi vicino, con le istituzioni, ai detenuti, alle forze dell’ordine, alle autorità, agli operatori e ai volontari: “All’associazione Mozart14, ad Alessandra Abbado, ai senatori Elena Ferrara e Luigi Manconi rivolgo i miei più sinceri ringraziamenti per l’impegno profuso in questa iniziativa”.

Appena entrati a Palazzo Madama, accompagnati dalla loro direttrice Claudia Clementi (cognome incoraggiante), pare che i coristi della Dozza siano stati frastornati dalla bellezza, al punto di vacillare, ma che abbiano affrontato il colpo con un certo stile. Vestiti di una maglietta blu acceso e la scritta Papageno in arancio, diretti dal maestro Michele Napolitano, dopo Fratelli d’Italia, hanno intonato brani tradizionali da tutto il mondo, in nome di una rinascita sociale senza confini, e l’Ave Verum Corpus di Mozart in omaggio ad Abbado.

Dalla Cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi, poco distante, la luce dei capolavori del Caravaggio si spandeva idealmente su tutti gli esseri umani in aula. La luce dell’arte somma di Michelangelo Merisi, anima inquieta, assassino in fuga, vittima di se stesso, di un’atmosfera fosca, di quell’attimo fatale che separa la scelta giusta da quella sbagliata. In prima fila, seduto sullo scranno di chissà quale senatore, Nicola Piovani, totalmente partecipe, avvolto da un’aureola di ritmo, dolcezza e sincerità.

Alla fine del programma, lunghi applausi e quattro bis fra i quali Let it be dei Beatles. Gli spettatori in piedi, una carcerata riccioluta in lacrime di commozione. Lunghi applausi alla civiltà che di tanto in tanto riappare. Alla civiltà che ha permesso di portare chi era buttato in galera, rimuginante sulla propria vita sciupata a scoprire la musica, a farne parte, a diffonderla e chi non sta in galera a essere spettatore attento, solidale senza condiscendenza.

Il prigioniero Giovanni: “Non vedo più le sbarre, cancelli e divise, la mia mente è altrove e mi trovo catapultato in un altro mondo, tutto diverso, che a me prima era sconosciuto, ed ora ci sono dentro con grande soddisfazione”. La prigioniera Natalya: “La musica è il richiamo della vita. La musica va oltre ogni cosa, oltrepassa anche le mura che ci circondano e vola in alto dove è semplicemente libera. E la musica in qualche modo ci aiuta a essere liberi”. Il prigioniero Daniel: “La musica è il perfetto suono della mia anima e ciò che rappresenta il mio grido profondo; la mia sete di libertà è appagata quando mi lascio trasportare dalla musica […]. La musica è il mio modo di vivere, senza barriere, confini e prigionia”. Il prigioniero Amhed: “Arriva giorno, il più complicato di tutti, al concerto con il pubblico esterno mi sono trovato in difficoltà e chiedevo a me stesso di farcela anche questa volta. Ma mi guardava il nostro maestro Michele che ci diceva sempre: “Andate sul palco e dimostrate che siete in grado di vincere il vostro dubbio” […]. Ci mancano due concerti: quello dell’11 giugno con il pubblico esterno (avvenuto in carcere n.d.r.) e quello del 20 giugno 2016, è la cosa più straordinaria che mi è capitata… cantare in Senato a Roma. Spero di coltivare questa opportunità e di continuare a cantare anche quando sarò scarcerato”. Il prigioniero Daniele: “Non esiste il colore diverso della pelle, non esiste l’uomo o la donna, non esiste il detenuto-detenuta o la persona libera, esterna al carcere. Esiste solo la voce, che partendo da ciascuno di noi si unisce a tutte le altre per creare quella forza armoniosa del suono di più voci che si uniscono in un unico canto, che è quello dell’unità al di sopra delle diversità, nella speranza di trasmettere a chi ci ascolta l’emozione di essere abbracciati dal suono di un’unica, potente voce corale”. Verso le diciotto e trenta, i Papageni sono scivolati via, senza che l’apparato di sicurezza fosse palese. Regia accurata. In occasione di questo giorno solenne sono stati rinchiusi in gabbia, anche se purtroppo non hanno preso l’ergastolo anzi nemmeno un mese: il buonismo, il razzismo, il qualunquismo e la retorica, l’Inno di Mameli ormai è sopra le parti. Fratelli d’Italia, l’Italia ogni tanto si desta: che grande momento a Palazzo Madama.

Il Coro Papageno è accompagnato da Federica Vignoni, Eleonora Matsuno, Jamiang Santi, Nicola Bignami, Massimiliano Canneto, Natalie Dentini (violini), Francesca Turcato, Laura Garuti (viole), Luca Bacelli (violoncello) , Marco Forti (contrabbasso), Claudio Napolitano (pianoforte), Diana Paiva Cruz, Khalil B.F. (percussioni).