Quattro anni. Il tempo necessario per terminare Dancer, il documentario / biopic interamente incentrato sulla vita e la carriera del danzatore ucraino, Sergei Polunin. Senza dubbio uno dei maggiori talenti che l'arte tersicorea ricordi, si è distinto anche per le scelte fuori dagli schemi. Nato a Cherson, Ucraina, nel 1989 Polunin detiene il singolare primato di essere diventato il più giovane principal dancer della storia del Royal Ballet di Londra.

Tuttavia, nel 2012 decide di abbandonare quella che gli pare un’istituzione troppo rigida per il suo mirabile talento e di divenire freelance per avere la possibilità di esibirsi nei maggiori teatri del mondo, a partire dallo Stanislavsky di Mosca diretto da uno dei suoi mentori: Igor Zelensky. È del 2015, invece, l’attenzione del pubblico planetario, grazie al videoclip di Take me to church di Hozier che lo vede danzare sulle note del cantautore irlandese per la regia di David LaChapelle e la coreografia di Jade Hale-Christofi. Videoclip che possiamo considerare come apripista di Dancer, in uscita il 9 e il 16 settembre negli Stati Uniti ed entro i primi mesi del 2017 nel resto del mondo. L’uscita del film ha dato modo di scambiare qualche parola con il regista Steven Cantor, per approfondire la conoscenza di un progetto così unico nel suo genere.

Dancer ha richiesto parecchio tempo per le riprese. Può dirci quali erano i suoi obiettivi come regista e darci qualche dettaglio in più sull’idea originale che ne ha portato alla realizzazione?

Quando la produttrice - Gaby Tana - mi ha presentato Sergei, sono rimasto sorpreso da come la sua reputazione di ‘bad boy’ non avesse nulla a che fare con il ragazzo così timido e riservato che avevo davanti. Era a un crocevia nella sua vita ed era chiaro che il percorso che aveva davanti sarebbe stato molto interessante, garantendo sia un’occhiata al rigido mondo del balletto sia alla sua mente enigmatica. Ho voluto far parte di questo viaggio e grazie a Gaby e Sergei mi è stato possibile.

È stata la prima collaborazione a così stretto contatto con un danzatore?

La mia fidanzata Jocelyn Steiber era una ballerina professionista e mia figlia Clara, di 13 anni, adesso frequenta The School of American Ballet ed è molto brava. Ho collaborato con loro parecchio ovviamente e le ho filmate per anni. Tuttavia, da un punto di vista professionale, non ero mai andato così a fondo nell’universo del balletto.

Che sfide si è trovato ad affrontare dirigendo Sergei Polunin?

Sergei è stato aperto e generoso, nonché molto concentrato per tutte le riprese, che sono durate quattro anni. Non è un grande comunicatore via telefono o email e alcuni cambi di pettinatura hanno dato qualche problema di continuità. Ma a parte queste piccolezze è stato un vero piacere lavorare con lui e amavo le nostre interazioni sul set. Oggi lo considero un amico per la vita.

Su quali aspetti della sua vita privata e professionale ha deciso di focalizzare l’attenzione?

Abbiamo preso in considerazione gli inizi e siamo arrivati fino ai giorni nostri, quindi abbiamo coperto tutto. Spesso ho fatto notare che a 22 anni aveva già fatto molto più di chiunque io conosca. Cresciuto in quattro paesi diversi, diventato il più giovane principal dancer della storia del Royal Ballet, licenziatosi, vista la propria reputazione messa allo sbando, trasferitosi a Mosca e diventato una star della TV russa per poi decidere di ritirarsi. Io a quell’età stavo semplicemente lasciando il college e mandando curriculum per il mio primo lavoro.

Come pensa che il pubblico reagirà alla pellicola, visti i diversi approcci verso il balletto in Paesi diversi?

Penso che siamo stati in grado di raccontare una storia universale. Una storia di sacrificio e devozione, nonché tutto quello che un individuo è costretto a passare – insieme alla propria famiglia – per arrivare all’apice. Alla fine sia il pubblico sia le persone coinvolte sono lasciate libere di capire se ne vale davvero la pena.

Che criteri ha utilizzato per scegliere i co-protagonisti del documentario?

Le persone che appaiono nel film sono quelle che conoscono meglio Sergei – i suoi genitori, i nonni e i più cari amici. Abbiamo pensato di intervistare anche esperti e addetti ai lavori per rendere il tutto più oggettivo, ma alla fine abbiamo deciso di lasciarlo più intimo e più aderente alle esperienze di Sergei stesso.

Può raccontarci qualche aneddoto interessate che è capitato durante le riprese?

Ce ne sono stati molti, ma uno in particolare mi è caro. Stavamo girando con Sergei e la sua fidanzata, Natalia Osipova a St. James Park, quando abbiamo deciso di fermarci vicino a delle anatrelle. Non si può dar loro cibo, ma Sergei e Natasha hanno deciso di lanciare un piccolo pezzo di pane. In un attimo ne sono stati sommersi, è stato molto bello e divertente per tutti noi.

Pensa di lavorare ancora con Polunin in futuro?

Lo spero davvero. Abbiamo collaborato molto bene e penso che questo film gli aprirà molte porte che fin’ora gli sono state precluse. Magari faremo un sequel tra una decina d’anni, staremo a vedere…