“È come se quello che ci è capitato stesse al centro della nostra vita, dentro un recinto. Fuori va tutto bene, ma è impossibile allontanarsi da quel recinto”. Nick Cave spiega così la sua vita, e quella della sua famiglia, dopo la morte accidentale del figlio Arthur, precipitato da una scogliera di Brighton, il 14 luglio 2015, nel film One more time with feeling, diretto da Andrew Dominik e passato a fine settembre nelle sale italiane. Poco dopo, forse, Cave mette a fuoco ancora meglio: “Il tempo è diventato elastico. Posso andare avanti con la vita di tutti i giorni, posso fare tante cose, ma alla fine l’elastico si accorcia, e mi riporta a quel trauma”. Mentre lo dice allarga lentamente le braccia, e poi le richiude in un istante, facendo combaciare i pugni stretti.

Nick Cave in macchina, in casa mentre si veste, in studio, al mixer con il figlio Earl. Nick Cave con la moglie Susie al tavolino di casa, mentre mostrano un quadro dipinto da Arthur quando aveva cinque anni, che ritrae la stessa scogliera, e il punto esatto, in cui ha trovato la morte. Nick Cave che parla in sottofondo, oppure che racconta un dolore che non può essere raccontato. Testimonianze che sembrano pezzi di cuore tagliati via, necrotizzati, anneriti.

Ecco, il film è un’operazione chirurgica eseguita con il bisturi. Sul cuore di Nick Cave, ma anche su quello degli spettatori. Non ci sono scene di pianto, non c’è disperazione manifestata, non ci sono concessioni alla spettacolarizzazione della sofferenza. Eppure raramente ho visto raggiungere l’essenza del dolore con questa efficacia. “Non sono depressa, ma a volte sento una depressione che causa dolore fisico” dice Susie, che attraversa tutto il film con una bellezza e una grazia fuori dal comune.

Al centro del documentario doveva esserci, e in effetti c’è, l’ultimo album del cantautore australiano (ormai inglese d’adozione), Skeleton Tree. Quando uscì, ai primi ascolti, quasi tutti collegarono le canzoni, mai così profondamente cupe prima (e stiamo parlando di un autore che già di per sé non è noto per la leggerezza), alla tragedia personale. Invece quei brani erano stati scritti prima che tutto ciò devastasse la vita della famiglia Cave. Per questo Nick si interroga, in qualche modo, sul carattere “profetico” di quelle canzoni, sull’ombra scura che quei testi, e in parte quelle musiche, proiettavano su un futuro diventato incubo. Sulla musica è difficile sapere fino a che punto l’accaduto abbia influito. La registrazione delle versioni definitive è avvenuta dopo: quindi quasi certamente quel dramma ha inciso sulla forma, ha spinto Cave e il sodale Warren Ellis ad asciugare, ma forse sarebbe meglio dire a scarnificare, gli arrangiamenti. A lasciare, come per l’albero del titolo, una specie di scheletro delle canzoni in cui il silenzio, la voce grave di Cave, il contributo discreto dei Bad Seeds e gli inserti di Ellis trovano un equilibrio delicato, creano una materia fragile, capace di sgretolarsi per un piccolo peso in eccesso, come la parete di una scogliera a picco sul mare di Brighton.

A quanto pare a Nick Cave quelle canzoni non erano piaciute quando le aveva scritte e suonate la prima volta. Invece, dopo la tragedia, sono diventate le canzoni giuste. Forse sta qui il carattere “profetico” di queste composizioni: sono state scritte da un Nick Cave vecchio per un Nick Cave nuovo, che ancora non esisteva. “Mi guardo allo specchio e nel riflesso vedo la stessa persona di prima. Eppure sotto quella pelle, non c’è più quel Nick, ce n’è un altro”.

Le canzoni appartengono all’album, ma all’interno del film diventano ancora più significative, trovano la loro collocazione naturale, e i sottotitoli in italiano (anche quando Nick canta) aiutano a penetrarle più profondamente, anche se a volte l’interpretazione autobiografica (che è solo una delle possibili), diventa l’unica plausibile, con una piccola e comprensibile forzatura.

La chiusura, sui titoli di coda, è ancora più straziante del girato (uscito sia in versione tradizionale che in 3d): una registrazione audio di Arthur Cave che canta Deep Water, un brano scritto dal padre per Marianne Faithfull. Sono gli ultimi tagli impietosi di quel bisturi che disegna sul nostro torace il ritratto (perché in fondo One more time with feeling è questo) del nuovo Nick Cave, quello che non riesce ad allontanarsi dal recinto del dolore, quello che vive in un tempo elastico, e al dolore è condannato a tornare continuamente.

'One More Time with Feeling' trailer from #KyivMusicFilm on Vimeo.