Per me, il neorealismo non è in ciò che si mostra, ma nel come lo si mostra. È semplicemente un modo di guardarsi attorno senza convenzioni e senza pregiudizi. Certa gente è ancora convinta che il neorealismo serva solo a mostrare un determinato tipo di realtà, precisamente la realtà sociale. Ma allora sarebbe soltanto propaganda. Si proporrebbe un programma: mostrare soltanto certi aspetti della vita. Qualcuno mi ha definito un traditore della causa neorealistica, mi ha accusato di essere troppo individualista, troppo individuo. Sono invece convinto che i film che ho fatto finora siano stilisticamente legati al primo cinema neorealista, che cioè raccontino con semplicità le vicende di certe persone. E tutte le volte che racconto la storia di qualcuno, cerco di mostrare qualche verità.

(Federico Fellini)

Queste le parole di Federico Fellini in cui sono evidenti le intenzioni di un regista che si difende e, anche in maniera piuttosto decisa, da alcune accuse che gli furono rivolte sul suo modo di intendere e fare cinema, neorealista, in questo caso. Considerato l'avantesto della Dolce Vita, Le notti di Cabiria vince l'Oscar come miglior film straniero nel 1958.

Ho trovato davvero molto attuale la figura di quest'esile e atipica donna che lotta per trovare la sua dimensione e affermare la sua esistenza nel mondo. Per tutta la durata del film, ho interpretato le azioni di Cabiria come il chiaro tentativo di gridare il suo bisogno di essere riconosciuta come una persona che ha diritto, non meno di altre, di guadagnarsi i suoi preziosi momenti di felicità. La sua è una storia di morte sfiorata e rinascita. A un passo dalla morte si trova già all'inizio del film, quando rischia di annegare nel Tevere, dove viene gettata dal suo amato Giorgio, il quale pensa bene di derubarla e lasciarla dov'è. Così come rischia di morire alla fine del film, quando Oscar tenta di ucciderla nel lago di Albano. Non si accorge, Cabiria, delle vere intenzioni di questi uomini senza amore, la sua ingenuità non glielo consente perché è un personaggio ingenuo, dai sentimenti buoni e che tale resterà fino alla fine del film.

Il divo e la donna di borgata. L'incolmabile distanza tra i due

Lei è bello come la sua casa
Con assoluta ingenuità vive anche l'incontro con il suo divo Alberto Lazzari che, semplicemente per trascorrere del tempo, la invita a stare da lui per una serata. Ecco, questo momento per Cabiria rappresenta probabilmente la realizzazione di uno dei suoi grandi sogni: una vita alla quale ha sempre pensato, che le fa spalancare gli occhi e la catapulta a tutti gli effetti in una dimensione onirica. La casa in cui viene ospitata Cabiria è quasi un monumento al divismo, un luogo di culto, ricco di oggetti esotici (abitudine molto frequente di alcuni registi quella di inserire oggetti fuori dall'ordinario). Grandi armadi a specchio si aprono e si chiudono quasi seguissero una musichetta. Cabiria si guarda attorno estasiata mentre il divo sempre più distante è assorto nei suoi pensieri, non l'ascolta nemmeno. Seppure ripresi nella stessa camera, è come se li dividesse un muro altissimo.

Il culmine di questa lontananza anche emotiva tra i due, probabilmente, è nel momento in cui il divo fa partire la Quinta di Beethowen e lei, sempre più piccola, ascolta e umilmente dice la sua, riportando l'intera situazione alla realtà, volendola quasi ridimensionare, livellando la palese distanza. ... manco io, domani non ci credo più! In un certo senso, è come se, con la sua spontaneità, rendesse il suo interlocutore più umano. Alberto Lazzari è, infatti, una figura cinica e realistica, incarna il divo per eccellenza che non ha bisogno di conferme dal mondo esterno.

Arriva l'amante di Alberto Lazzari, Jessie, e Cabiria sparisce di scena. Rinchiusa nel bagno, subodora quella realtà tanto sognata e la spia dal buco della serratura, provando un piacere senza dubbio voyeuristico, come se assistesse a un film e noi assieme a lei. Questo momento è significativo anche per una motivazione precisa e importante: diventa centrale lo sguardo femminile, ossia quello della spettatrice che ora è consumatrice di film.

La nostra protagonista inciampa in una realtà che non le appartiene e ci inciampa due volte quando è costretta ad andar via da quella casa e batte la testa nel vetro della porta ritornando subito alla sua vita, quella vera. Cabiria non è l'attrice che ci si aspetterebbe di vedere sullo schermo in quegli anni ancora post-bellici, dove il modello femminile che prevale è sicuramente un altro. Il suo atteggiamento è caricaturale, è quasi una macchietta e nella gestualità somiglia a un burattino.

Dunque, da una parte il divo che il pubblico già conosce e ammira, indifferente, come se fosse anch'egli una vittima inconsapevole di quel sistema di mercificazione dei ruoli cinematografici e non. Dall'altra, Cabiria che non sa ancora chi è e cosa vuole e spera solo in una vita diversa. E, fino alla fine, si illude che questo possa accadere, investe tutte le sue speranze in un uomo, Oscar, che scoprirà volerla uccidere. Crolla ancora una volta il suo castello di illusioni e Cabiria esprime la volontà di voler morire, in un crescendo di grida che racchiudono tutto il senso della disperazione finale.

In questo suo spasmodico desiderio di amare ed essere amata, Cabiria è una donna in transizione, che agisce per conto suo, assecondando emozioni e istinto. Per quanto non sia sostenuta da nessuna struttura sociale in senso rivoluzionario è una donna che rivoluziona, o almeno ci prova, uno status di cose. Rischia tutto fino alla fine, non teme le conseguenze e porta avanti con coraggio il suo ideale di libertà personale.

L'elemento onirico/magico e l'elemento religioso

Dopo aver realizzato solo tardi che Giorgio l'ha lasciata annegare ('t'ha buttata a fiume, le dice Wanda), Cabiria decide di dar fuoco ai vestiti e agli oggetti di lui, in un gesto simile a un rito magico. Il fuoco è una presenza costante nel film. La luce è lunare, netta e in contrasto con il buio più cupo e inquietante. Forse è anche nel contrasto tra luce e ombra che possiamo cogliere la dimensione onirica. Siamo proiettati in questa dimensione onirica già quando entriamo in casa di Alberto Lazzari, lì Cabiria sogna e immagina una vita diversa.

Il momento culmine di questa dimensione onirica risiede nel gioco del prestigiatore che sottopone Cabiria a un'ipnosi in cui tocca abilmente tutte le corde della sua anima e che le permette, ormai avulsa dalla realtà, di esprimere i suoi desideri e mostrare le sue debolezze. Cosa desidera realmente Maria "Cabiria" Ceccarelli? Alla fine di quest'esperimento ignora ciò che le è appena successo. Il fascio di luce che illumina il suo volto la isola dal resto della sala e anche da noi spettatori. Un palcoscenico nel palcoscenico, se vogliamo, dove si manifesta la sua illusione più grande.

E in questa finzione, addirittura il prestigiatore sente come necessario il bisogno di riportare tutti alla realtà, palesemente scosso dal dramma individuale messo in scena Cabiria. Dentro questa finzione, il prestigiatore ricorda molto il regista, produttore di immagini. In questo momento, è come se fossimo seduti in sala con gli altri ad assistere allo spettacolo.

Interessante è il modo in cui il mondo religioso e quello laico dialoghino tra loro. Cabiria decide di accodarsi alla processione diretta verso la chiesa del Divino Amore per chiedere la grazia, cioè quella di essere salvata. La processione sembra quasi incastrata nella trama del film, è un momento che arriva in maniera improvvisa. Se è vero che l'elemento religioso non è sempre negativo, è anche vero che qui nessuno assiste al miracolo e la fede non porta da nessuna parte. Anche le prostitute, sue amiche, sperano di essere salvate dalla strada, sperano in un ''miracolo''. Si salverà mai Cabiria? Ci chiediamo …

Ha suscitato non poche polemiche la presenza dell'uomo con il sacco che aiuta i più bisognosi e compie opere di bene. Quest'episodio era stato inizialmente censurato dalla chiesa perché si vedeva il mondo laico muoversi per l'assistenza volontaria. Cabiria si fa accompagnare a casa, profondamente turbata dalle scene pietose a cui aveva assistito. Laica è anche la figura del frate al quale Cabiria si rivolge prima di sposarsi con Oscar e che non può confessarla proprio perché laico.

Il dramma individuale di Cabiria

Non si tratta di un film sulle prostitute; ho scelto una prostituta come protagonista, sia per un mio gusto per le esemplificazioni estremiste, sia perché oggettivamente il rapporto di un uomo con una prostituta è forse uno dei più brutali che esistano.

(Federico Fellini)

Il mondo che viene rappresentato smette di essere caricaturale probabilmente nel momento in cui il dramma individuale di Cabiria si fa sempre più evidente. La nostra protagonista non si vergogna della sua vita da prostituta, è solo una piccolo-borghese che ambisce a uno status sociale più elevato e che sogna continuamente. Nel momento in cui sale in macchina con Alberto Lazzari, entra perfettamente nella finzione cinematografica, compare e scompare dallo schermo, presagio forse del suo destino.

Noi spettatori partecipiamo al dramma di Cabiria dall'inizio alla fine e non sappiamo quando si consumerà, fino a quando è lei a rivolgerci un rapido sguardo, una sorta di ammiccamento, un invito a lasciarsi andare alla bellezza della vita, nonostante tutto, nonostante la sua sconfitta e le speranze rese ormai vane. Dentro di sé, coltiva ancora la gioia di vivere che è resa esplicita dalla danza dei ragazzi che incontra sulla strada. Ma Cabiria, per essere felice, deve davvero trovare marito? Cosa cerca? La sua storia è senza conclusione.