Abbiamo provato ad arrestarlo, a rallentarlo, a far finta che non esistesse, ma alla fine il futuro è arrivato anche dalle nostre parti. Niente riferimenti alla politica, per carità, come al solito sto solo parlando di musica. La cattiva salute del cd, la miopia delle case discografiche e l’anacronistica guerra di retroguardia al download gratuito sono tutti argomenti di cui ho scritto più volte da queste parti. Il modo di fruire la musica è cambiato, e si sta evolvendo quotidianamente: la difesa cieca è durata fin troppo, ora il giorno della svolta è arrivato anche per l’Italia.

Se questa introduzione non vi dice nulla, vi do una notizia. Sto parlando di Spotify il servizio sbarcato sul “nostro” web nel mese di febbraio, che è destinato, con le evoluzioni che ne seguiranno, a cambiare per sempre le abitudini di noi ascoltatori. Funziona così: si scarica un software dal web, ci si iscrive, e immediatamente si ha a disposizione una discografia sconfinata, praticamente quasi tutto ciò che esiste, pronto per essere ascoltato quando decidiamo di cliccare su play. Un po’ come se dietro casa avessimo un enorme capannone pieno di dischi e uno sherpa veloce come la luce che cerca l’oggetto dei nostri desideri.

Vi do qualche istante per rileggere. Fatto? Allora confermo: è tutto vero. Forse prima di andare avanti potreste fare un salto direttamente sul sito www.spotify.com e fare la conoscenza con questo bengodi. Altrimenti continuate a leggere e segnatevi il link.

La rivoluzione non sta (soltanto) nel fatto che ciò che prima dovevamo pagare, ora lo possiamo ascoltare for free. Di diverso c’è anche che qui abbiamo tutto a disposizione, ma non siamo più padroni di nulla. Passando per questo canale, infatti, il concetto di “proprietà” della musica svanisce, perché tutto quello che potete sentire grazie a Spotify non diventerà mai del tutto vostro. A seconda della versione che sceglierete, se vorrete pagare (più avanti spiegherò qualche dettaglio) sarete in grado di scaricare le canzoni, ma i file funzioneranno soltanto finché resterete abbonati.

Insomma, se dobbiamo scomodare oggetti del passato a cui siete abituati, più che a uno scaffale pieno di dischi, Spotify somiglia alla vostra stazione radio preferita, con la differenza che qui potete scegliere da soli quale pezzo mettere, quando farlo partire, quante volte lo riascoltate e con che cosa continuate dopo averlo sentito. Sarà l’assassinio definitivo del mercato musicale come l’abbiamo sempre inteso? Certamente gli cambierà i connotati, e può darsi che contribuisca a ridurne le dimensioni, o che sia una scorciatoia più che sufficiente per gli ascoltatori occasionali e distratti, ma la vedo anche come un’opportunità di promozione nei confronti dei veri appassionati, che dopo aver curiosato tra le tracce di un album, potranno acquistarlo, magari in vinile, potendo godere anche dell’oggetto fisico, delle note di copertina, di foto e grafica e del libretto dei testi.

Nel mio caso, per esempio, in questi giorni ho ascoltato Push the sky away, il nuovo album di Nick Cave & The Bad Seeds, che comunque ho deciso di comprare. Ma lo stesso vale per il desiderio di rimpinguare la discografia di Scott Walker, i cui dischi si trovano difficilmente in negozio, e che invece posso “provare” in pochi secondi passando da Spotify. Oppure potrei dirvi che ho voluto assaggiare Lisa Hannigan, prima di vederla dal vivo qualche giorno fa come supporto al magnifico live di Glen Hansard a Firenze. Anche in questo caso, a bordo palco, ho preso due dei suoi album.

Andiamo per ordine, però, con qualche istruzione di massima. Prelevate il sofware e completare l’iscrizione. Potete anche farlo passando da Facebook, se volete. Per sei mesi potrete ascoltare tutta la musica che desiderate, completamente gratis, semplicemente sopportando qualche spot, neppure troppo invasivo. Al termine di questo tempo di prova, dovrete scegliere tra tre diverse soluzioni: continuare a non sborsare un centesimo, ma oltre alla pubblicità avrete anche un limite di 10 ore di ascolto al mese, pagare 4,99 mensili e liberarvi di questi due limiti, oppure 9,99 per il pacchetto Premium, che consente, oltre ai benefit della versione Unlimited, anche la possibilità di ottenere file ad alta qualità (320 Kpbs), di scaricarli e ascoltarli senza essere connessi a internet, e di usare il tutto su dispositivi portatili iPhone, iPod, iPad, Android, eccetera.

Poi ci sono le innumerevoli applicazioni che possono integrare il lettore, per esempio quelle che suggeriscono o compongono playlist, o quelle che permettono di partire dalle recensioni su una rivista e lanciarsi in un viaggio consapevole, fatto di rimandi, citazioni, similitudini, consigli. Il sistema è in continua evoluzione, e ognuno potrà usarlo a proprio piacimento. Magari ne parleremo ancora tra qualche tempo, provando anche a capire se questa immediata disponibilità di tutto non corrisponda in qualche modo a un’impossibilità di selezionare quello che è veramente fatto per noi. E’ una questione complessa, da rimandare.

Intanto forse un modo di comprendere, anche visivamente, quello che ci permette di fare Spotify è curiosare tra gli scaffali di John Peel, lo storico dj radiofonico britannico il cui materiale oggi è a disposizione di tutti noi. Entrate virtualmente nel suo studio all’indirizzo
http://thespace.org/items/s000004u, scegliete Record Collection (il piccolo baule da cui spunta un Lp in basso al centro), e poi, una volta di fronte alle costole dei Long Playing, cliccate su una lettera dell’alfabeto per cominciare a scegliere. Capirete subito che il mondo della musica, per come lo avete conosciuto fino ad oggi, non esiste più.