In un nuovo tour di Sting non manca mai l’Italia, terra dove il musicista è di casa in tutti i sensi, come testimonia la sua Tenuta il Palagio a Figline Valdarno (Firenze): azienda agricola a tempo pieno ma anche dimora personale per diversi mesi all’anno.

Dopo l’intima data milanese d’assaggio a marzo, il cantante-bassista inglese (che è un asso pure con la chitarra) torna quindi in estate per la seconda tranche del tour con due tappe più consistenti (a Cividale del Friuli il 25 luglio e a Mantova il 28) per ribadire la vena rock dell’ultimo 59th & 9th, disco eccelso che fa seguito all’esperienza discografica e teatrale di The Last Ship: opera in ogni caso da riscoprire assolutamente in quanto va a completamento di un ideale percorso di ricerca in ambito folk sfociato in materiale originale di enorme bellezza.

L’idea alla base di 59th & 9th, il cui nome si rifà all’incrocio newyorkese che il musicista attraversava ogni mattina per raggiungere lo studio dove è stata registrata la maggior parte del lavoro, era probabilmente di staccare la spina da un progetto molto intenso a tutti i livelli - con il quale aveva “rovistato” parecchio anche nel proprio passato - e di attaccare quella dell’elettricità più pura: ciò che ne è uscito si è rivelato davvero una scossa, a tratti adrenalinica, che rimanda quasi più a The Police che alla carriera solista, in termini almeno di continuità di “decibel” lungo la scaletta di brani. Poi si sentono anche tutti gli accorgimenti armonici, compositivi e tecnici che sono il marchio di fabbrica di Sting, insieme all’inimitabile voce da “soprano maschile” e al gusto unico, e si capisce che il nuovo disco non è un ritorno al passato o al rock, ma la continuazione di un cammino artistico esclusivo in cui le connotazioni di “popolare” e di “colto” si integrano e si arricchiscono a vicenda in una sintesi mai predefinita e sempre naturale, un perfetto equilibrio degli elementi.

Nell’ultima parte del disco sono peraltro presenti anche atmosfere acustiche - dal folk alla “world” - di grande fascino e qualità che accompagnano l’energia accumulata fin lì verso altre riflessioni musicali e tematiche: un colore “necessario”, segno dell’impegno umanitario di Sting (Inshallah e The Empty Chair) e allo stesso tempo dell’interesse per certe sonorità e tradizioni che ormai gli appartengono tanto quanto il rock. I musicisti. Oltre al “sodale” Dominic Miller alla chitarra, immancabile spalla e tocco sopraffino delle sei corde dai tempi di The Soul Cages (1991), l’album ha visto coinvolto alla batteria in diversi pezzi pure un altro storico compagno di Sting: Vinnie Colaiuta. E tra i fedeli collaboratori non si può non citare Rhani Krija, abilissimo percussionista che rappresenta il “link” alla “world music” in tante produzioni del cantante a partire dal 2003.

Tuttavia vari, come numero e genere, sono i musicisti chiamati per le session che han dato vita a 59th & 9th e fra questi si fanno notare sicuramente Jerry Fuentes, Diego Navaira e Derek James dei Last Bandoleros, gruppo fautore di un solido e caldo “classic rock” qui impiegato nelle parti corali dell’irresistibile singolo di lancio I Can’t Stop Thinking About You e in qualche altro contributo sparso dei singoli membri. La loro abilità di insieme si potrà però apprezzare sul palco dal momento che nel tour in corso faranno da “backing band” al nucleo (quasi un “power trio”) composto da Sting, Dominic Miller e Josh Freese (batteria), più Rufus Miller (chitarra). A loro inoltre si aggiunga ai cori e alla chitarra ritmica Joe Sumner, il figlio del cantante, e si avrà una “big band” improntata a una pienezza rock del suono, con accenti “Tex-Mex” qua e là per gentile concessione dei Last Bandoleros.

La setlist dei concerti, per quanto suscettibile di cambiamenti da tappa a tappa, vede una perfetta mescolanza dei repertori, con hit irrinunciabili del periodo Police (Message in a Bottle, Roxanne, Every Breath You Take) e di quello solista (Englishman in New York, Fields of Gold, Fragile) e la riproposizione di pezzi non così prevedibili (Synchronicity II, Spirits in the Material World, She’s Too Good for Me) che faranno la felicità dello zoccolo duro dei fan, unitamente ad alcune cover altrettanto sorprendenti (tra cui una Ashes to Ashes di David Bowie, eseguita chitarra e voce da Summer figlio a metà set).

59th & 9th sarà presente attraverso un buon numero di pezzi che ne delineano il carattere e ne dimostrano la forza all’interno del repertorio più classico: dagli immancabili nuovi inni I Can’t Stop Thinking About You e 50.000 (dedicata alle tante star della musica scomparse nel 2016), al rock nudo e crudo di Petrol Head (praticamente una nuova Demolition Man), dalla delicata raffinatezza dell’ecologista One Fine Day al folk dal sapore modale e antico di Heading South On The Great North Road (in genere in apertura di concerto). Non perdetevi il nuovo live, se potete, ma non perdetevi nemmeno l’ascolto per intero dell’ultimo album: un lavoro che declina il rock a meraviglia, tenendo d’occhio la strada fatta e quella che verrà.