Dodici canzoni intrise di sonorità eterogenee e significati ambivalenti, Trenches è un disco d'esordio, che racconta esperienze vissute dentro e fuori la musica in un caleidoscopio di suoni grezzi e parole piene di intimità.

L'album di debutto (che non però non è tale, le canzoni parlano e ci dicono che dietro la musica ci sono anni e anni di passione), richiama emozioni diverse brano dopo brano, trasportando l'ascoltatore a differenti stadi d'abbandono: non è questa la missione che la musica dovrebbe recare con sé?

Spogli d'ogni pregiudizio e lontano da tendenze del momento, Dugini, Petrarchi, Zatini e Pagani hanno voluto trasporre nel modo più naturale il loro suono 'live' (il disco è stato registrato in un'unica sessione, e mixato in modalità mono), alternando stili personali e originalità, pur tenendo sempre in mente l'immenso patrimonio artistico lasciato dai grandi del passato. Miscelando rock alternativo di varie scuole (soprattutto americano anni '90), country desertico, blues primitivo, psycho-punk, shoegaze, paisley underground, pop-noise, ballate acide e sonorità alt-country, il suono ruvido e crossover della band coinvolge, mantenendo attitudine e capacità di risultare credibile muovendosi su un terreno difficile come è quello di chi fa musica oggi.

Questo disco è un libro aperto di ricordi, di storie condivise e di avventure: i dodici brani sono il risultato di un lavoro collettivo, seppure svolto senza esplicita progettualità. Perché l’unica cosa che conta è la libera circolazione di idee: ogni canzone è espressione dello spirito indipendente della band. Ed è per questo motivo – di assoluta autonomia compositiva e non necessaria ricerca della perfezione – che ogni brano ha sì una sua identità, ma altrettante sfaccettature e suggestioni sonore. Da ciò nasce il fine comune del gruppo, che è sempre stato il compimento della propria passione, senza vincoli legati ad asserzioni tecniche, mode, o coinvolgimenti esterni.

Trenches - dal titolo forte ed evocativo - ci lascia in eredità, se un messaggio un'opera artistica deve (e può) tramandare, un pensiero urgente, che difende le resistenze del tempo, e rivolge lo sguardo alle speranze della nostra adolescenza: laddove visioni futuristiche si sono perdute, o sono state disilluse dal vanificarsi (a contatto con la realtà) di concetti relativi ad amore, pace e libertà, la musica riavvicina al sogno. Quello a cui l'uomo ambisce, e che il riparo nelle trincee moderne, le 'zone di sicurezza' dove si celano le nostre fragilità, sta lentamente - ma inesorabilmente - cambiando le prospettive della vita.

La band Stolen Apple si è formata a Firenze nel 2008 dalle ceneri dei Nest, autori di due lavori pubblicati rispettivamente per Urtovox/Audioglobe (Drifting, 2001) e Zahr Records/Blackcandy - Audioglobe (Isnt’ it?, 2007). Del nucleo originario, (materiale e notizie su myspace.com/nestband) restano due membri fondatori, ovvero Riccardo Dugini (voce, chitarra), e Luca Petrarchi (voce, chitarra); a completare l’organico Massimiliano Zatini, già aggregato ai Nest come percussionista in alcuni esperimenti acustici e qui al basso, e Alessandro Pagani (già batterista dei Subterraneans e una delle menti di Valvola/Shado Records), presente nella formazione per un periodo a metà degli anni ’90 quando il gruppo era denominato Malastrana.

Il nome della band è stato ispirato dalla storia di Ernst Lossa, bambino jenish ucciso nel 1944 dai nazisti nell’ambito del loro programma di sterminio degli individui non autosufficienti, narrata fra gli altri da Marco Paolini nel suo spettacolo Ausmerzen.