Uno storico del futuro dovendo indicare in una parola qual è stato il carattere dominante della cultura e della civiltà del secondo decennio del duemila, potrà assai probabilmente usare il termine “sballo”. Il dizionario di italiano del Corriere della Sera on line ne dà queste definizioni:
1. Operazione di togliere qualcosa da un imballo.
2. Nel gergo della droga, stato di allucinazione prodotto da una sostanza stupefacente – situazione eccitante, fuori dal comune: “che sballo alla festa!”

Sul dizionario di La Repubblica leggiamo: “Cultura dello sballo, dell’eccesso: che porta a ritenere valide solo le esperienze che danno il massimo grado di eccitazione”.

Oggi la cultura dello “sballo” ha invaso il mondo dello spettacolo e dell’informazione, alla ricerca continua del “massimo grado di eccitazione”. Non c’è show televisivo nel quale non si dedichi anche al più insignificante dei personaggi una standing ovation, determinando l’abitudine di stare sempre “sopra le righe”. Eccoli gli eletti, ammessi a sedere nello studio televisivo, in preda a un’incontrollabile eccitazione collettiva, tutti in piedi, a battere le mani e a sorridere, felici che amici e parenti li vedranno da casa.

Anche i media televisivi e della carta stampata per riempire gli spazi dell’etere e le colonne dei giornali, alcuni dei quali arrivati alle cinquanta pagine, hanno preso l’abitudine di fare di qualunque notizia un fatto clamoroso da esibire nei titoli dei telegiornali, di creare mostri da sbattere in prima pagina. Chi non ricorda il film del 1972, Sbatti il mostro in prima pagina, storia perversa di come si crea un caso eclatante? Per non dire dell’information over flow che piove sui nostri computer dove siamo tutti lettori/scrittori, comunicatori/ricettori di emozioni, spesso in gara a chi la spara più grossa, a chi tagga, posta e condivide di più.

La pubblicità non si sottrae a questa regola dell’esagerazione dilagando come una vera alluvione, oltre ogni argine di misura e di equilibrio. È diventata quasi una minaccia che incombe su tutti i film, dilatandone con interruzioni continue la durata e su tutte le trasmissioni. Maurizio Costanzo – ricordate - nel suo famosissimo show la annunciava con la frase: “Consigli per gli acquisti”. Oggi anche il più infiammato talk show, pur nei momenti in cui divampano litigi e controversie, viene interrotto dal conduttore che dà l’allarme: “Fermi tutti, devo dare la pubblicità”. L’annuncio è fatto col terrore che il telespettatore infastidito eserciti l’unica possibilità di reazione con lo zapping che lo porta verso altri canali. Di qui il timore del presentatore che implora chi è dall’altro lato dello schermo di restare con loro, di pazientare qualche secondo, di non andarsene su altre trasmissioni. Da qualche tempo si ha addirittura l’impressione che le emittenti, da quella del servizio pubblico alla più piccola, si siano messe d’accordo per dare tutte insieme la pubblicità.

In un brillante film di Maurizio Nichetti del 1989, Ladri di saponette, è narrata la paradossale vicenda di commistione tra film trasmesso e pubblicità. Mentre un’intera famiglia guarda un film neorealistico in bianco e nero ambientato nel secondo dopoguerra, interrotto continuamente dalla pubblicità, si verifica un fenomeno incredibile. Per un breve e misterioso blackout una modella che reclamizza in uno spot a colori si trova catapultata nel film in bianco e nero. Ma gli spettatori non si accorgono della veloce contaminazione. Sempre del 1989 ci fu una polemica tra produttori, politici, registi, opinionisti sull’eccesso di interruzione dei film con la pubblicità.

E lei, la pubblicità, affidata ad abili strateghi della comunicazione, ti sta addosso implacabile e martellante, ti entra nella testa a condizionarti anche quando sembra che ti stia infastidendo. Gli effetti speciali si sprecano e si sparano bordate di parole e di immagini che tornano ossessive e continue. Si tratta di spot fulminanti alla fine dei quali abilissimi dicitori velocisti della parola ti dicono, tanto per fare un esempio, di stare attento che il medicinale in questione ha delle controindicazioni, che il gioco può creare assuefazione e che il minorenne non può comprare alcolici. Giuri spesso che non andrai mai in questo o in quel supermercato, che non userai mai quel dentifricio o quell’acqua minerale, perché affidate a pubblicità fastidiose e irritanti. Ma poi al momento dell’acquisto dimentichi fastidio provato e giuramento profferito e compri, compri, compri, anche quello che non ti serve.

Ma la ricordate la pubblicità di una volta? Quella affidata a trasmissioni dedicate solo alla pubblicità? Tic Tac, Gong, Intermezzo, Arcobaleno e soprattutto Carosello? Allora non eri preso a tradimento e all’improvviso dallo spot sapevi di che cosa si trattava e decidevi se vederli o meno. Cominciò Carosello che esordì il 3 febbraio del 1957; Intermezzo nacque più tardi nel 1962 e iniziò le sue trasmissioni sul neonato secondo canale. Venti anni ininterrotti, fino al 1 gennaio del 1977, è durato Carosello! La sua era una formula semplice e schematica: una scenetta o un’animazione nel corso della quale non era mai nominato il prodotto e poi il “codino” nel quale si concentrava lo spot. Il tutto per la durata di 135 secondi, a fronte dei 10 o addirittura cinque secondi delle attuali pubblicità. Cinque o sei scenette, aperte da un siparietto sul sottofondo musicale di una tarantella del maestro Gervasio.

Oggi, a riguardarle col senno e col gusto – a volta cattivo gusto - di poi, questi filmati possono apparire ingenui, banali, forse un po’ retorici. Eppure molti di essi erano veri e propri mini film che si avvalevano di registi e di autori del livello di Age e Scarpelli, Ermanno Olmi, Gillo Pontecorvo, Sergio Leone e di attori come Totò, Macario, Gassman, Ernesto Calindri e persino il trasgressivo e rivoluzionario Dario Fo. E straordinari furono alcuni personaggi di animazione come Calimero, Carmencita, Papalla, che sono rimasti nell’immaginario dello spettacolo nel tempo ben oltre la fine della trasmissione; per non dire di quel vero capolavoro di grafica di Linea, cartoon creato Osvaldo Cavandoli per la pubblicità di una pentola. E tantissimi slogan sono entrati di prepotenza e stabilmente nei nostri modi di dire.

Erano più convincenti i miti filmati di allora o gli spot aggressivi di oggi? Difficile dirlo. Resta il fatto che Carosello era diventato un piacevole appuntamento fisso, tra il Telegiornale e i programmi di prima serata, seguito dal precetto per noi bambini di quegli anni: “Tutti a letto dopo Carosello!”.