L’artista modenese, antenato del post-moderno, ci presenta il nuovo album, dall'Appennino estremo ai confini tra jazz ed elettronica. Una narrazione tra suono, distanze, altitudini e impegno, con la partecipazione di Markus Stockhausen e Achille Succi.

Chi conosce la vicenda artistica di Gaspare Bernardi sa bene del suo amore per la montagna, eppure un titolo come Stranger At Home, “straniero in casa propria”, sembra voler alludere a qualcosa di diverso stavolta... cosa è successo?

Fatto salvo che vi è in me una tendenza solitaria, contemplativa, che da sempre si alterna a una serie di rapporti con una comunicazione anche intensa, come in tutte le cose che riguardano gli umani ci sono sempre almeno due livelli: uno più contingente, superficiale, ecc., e uno più profondo. Alcune vicende occorse in questi ultimi anni che hanno visto cambiare d'un tratto scenari, abitudini e frequentazioni, senza più il consueto luogo di incontro e lavoro di ogni giorno, mi hanno trovato in alcuni momenti, così, un po' straniato pur nel mio piccolo centro. Questo mi ha dato solo lo spunto, l'idea per questo titolo ma il sentimento e l'amore viscerale per i miei luoghi, le mie radici, fin da bambino non sempre hanno incontrato una altrettanto facile e spontanea comunicazione vedendo anche lunghi momenti di incomprensione e distanza... Del resto dove più è grande il legame e l'amore, più forte diviene il contrasto. Ancor più però un generico senso di “estraneità” che mi accompagna da sempre e in cui talvolta indugio con la sensazione che sia un modo, una prospettiva, per certi aspetti interessante, di stare al mondo. Vista poi la condizione dello straniero, oggi così al centro, volevo come prendere la questione e risolverla alla radice, un po' come dire... se riconosciamo d'esser estranei a noi stessi... di cosa stiamo parlando.

Che differenze ci sono tra Stranger At Home e il precedente album Cor'n Connexion?

Tutti e due fanno parte, nei miei pensieri ed intenzioni, di una ideale trilogia dove il corno è calato in un progetto attuale, verso cioè cosa in questo momento è per me far musica, una eventuale mia cifra. Questo perchè ho anche idee e progetti diversi, più riferiti al passato o a precisi stili o generi musicali. Questo e il precedente credo rispecchino, con tutti i limiti, sonorità, mondi e atmosfere che abitano il mio immaginario e che vengono da ciò che ho amato, ascoltato nel mio percorso fino ad ora con una prevalente tendenza riflessiva, evocativa, con ritmi e atmosfere distese, chiari scuri timbrici, tensione ritmica di fondo pronta ad intensificarsi o distendersi, echi, intrecci, dettagli sugli sfondi su cui si stende la melodia pronunciata e poi variata. In questo ultimo lavoro appunto la melodia e la base armonica si fanno più chiaramente definite con meno distrazioni, divagazioni.

Stranger At Home è stato registrato in un lungo arco temporale, dal 2014 al 2016, per quale motivo?

Per diversi motivi, quando le risorse mancano talvolta è necessario attendere tempi altrui e così pure per eventuali collaboratori, ma sostanzialmente per un discorso logistico. Poi un conto è entrare in sala con partiture, un trio o un quartetto, stare 3 o 4 giorni e poi il mix, altro è iniziare e realizzare lì, giorno per giorno, tutte le stesure, vestirle via via con tastiere, ritmi, tenendo conto che in quel punto probabilmente suonerà il basso, la chitarra ecc... Talvolta poi la tecnologia si mette di traverso e anche in quel caso passano giornate. Purtroppo, in quella lunga fase di realizzazione vera e propria, ancora una volta mi sono sentito un po' solo a gestire tutto e ho sempre avvertito invece l'esigenza di un'altra mano con cui confrontarmi, una sorta di supervisione artistica cui, se ci sarà, non vorrei davvero rinunciare in un prossimo lavoro.

Stranger At Home è un disco calato nell'elettronica ma al centro c'è il corno francese, che ha sempre avuto un posto di riguardo in alcuni momenti chiave della storia del jazz (pensiamo a Birth Of The Cool di Miles Davis) ma non è mai stato molto gettonato. Quali sono le peculiarità e le opportunità offerte da questo strumento?

Posso usare un coltello per la canonica funzione per la quale è stato concepito ma poi posso utilizzarlo lecitamente o impropriamente anche in altri modi. Così il “Corno” che ha una nobile e lunga storia da un lato, fin dallo schofar di biblica memoria, richiama, annuncia, ha quasi la suggestione di esser la voce di dio. Evocativa rimane sostanzialmente la sua funzione in ambito classico e ancor più romantico, impressionista, come nelle musiche per film, rimandando per tutti ai grandi spazi, alla natura, ecc. Se lo inserisci in contesti di musica leggera o jazz o anche rock potresti farlo per queste sue caratteristiche o, come in molti casi ho sentito e visto anche personalmente utilizzarlo, anche con grande tecnica, ma snaturando un po' le sue caratteristiche, rendendolo molto simile ad un trombone o altro. Ecco nei miei lavori il tentativo è proprio quello di fraseggiare improvvisando anche in uno stile jazzistico ma mantenendo certe caratteristiche timbriche e facendo trovare ancora qualche cosa del suono ovattato e misterioso tipico di questo strumento. Con gli effetti digitali questo può essere ulteriormente enfatizzato per dar luogo ad altre suggestioni. Diverso è invece quando infilo nella campana la vecchia sordina degli studi, in quel momento il mio atteggiamento e l'intenzione sono quasi quelle del trombettista di jazz solo con un timbro più scuro. In questo discorso entra però la fase di registrazione e la difficoltà a riprendere fedelmente il ricchissimo timbro di questo strumento, tema su cui sono stati fatti fior di seminari.

Stranger At Home ha due ospiti di lusso, tra gli altri: Markus Stockhausen e Achille Succi. Come mai questa scelta?

Markus è un grande musicista, figlio d'arte che, pur avendo nel suo bagaglio tutta la tradizione e la consapevolezza della grande musica, ha un suo personale discorso che semplificando possiamo definire un “procedimento di improvvisazione intuitiva”, dove è anche compreso un discorso non solo artistico ma di armonia, salute e crescita. Lo conoscevo e ho sempre immaginato che per questo album per diversi motivi fosse una presenza estremamente pertinente, quasi ideale. Con semplicità, una notte e in coincidenza con una ricorrenza per me molto speciale, ho trovato nel computer la traccia di Horizons con il suo bellissimo intervento.

Con Achille ci siamo conosciuti tra fine anni '80 e primi '90, abbiamo suonato insieme in varie occasioni, poi ha sempre partecipato con semplicità e simpatia a tutte le registrazioni di provini, album, esperimenti e vari concerti dal vivo con le mie canzoni. La sua intelligenza non solo musicale è straordinaria, ho pensato al suo clarinetto basso, alla combinazione col timbro del corno nelle atmosfere un po' misteriose dove calarli e, come sempre, con il suo 'Ciaooo' è venuto fin qui tra i monti per registrare, fare due chiacchiere con un buon lambrusco naturalmente. Sono molto grato a tutti e due e li ringrazio ancora.

Fatta eccezione per il brano che dà il titolo all'album, Stranger At Home è un disco strumentale. Corno, elettronica, altri strumenti ma niente testi. Qual è il segreto per esprimere il proprio stato d'animo in modo efficace – come accaduto in questo disco - facendo a meno delle parole?

Riferendosi con sincerità, credo, a ciò che si vive, alle emozioni e sentimenti più intimi cercando che qualche cosa di questo resti tra le note, le armonie che si vanno a realizzare, che via via prendono forma, senza pensare a chi o come le ascolterà, se potranno o meno piacere anche rispetto alle mode alle forme imperanti. Personalmente in questo tipo di lavori cerco in qualche modo quel silenzio, quelle immagini solenni, affascinanti e anche un po' enigmatiche che sono nei miei occhi appena vado nell'orto o nei dintorni, che ho visto da bambino e ancora non mi sono ripreso, che sono con me da sempre... quelle delle mie montagne, dei sentieri, dei vicoli notturni del paese... Senza retorica chi ben mi conosce sa cosa tutto questo significhi per me ogni giorno. Un po' lo stesso approccio che ho quando sento di scrivere qualche verso.

Si torna inevitabilmente alla montagna, all'appennino tosco-emiliano, a una vita dimessa, solitaria, quasi eremitica. Fare musica in queste condizioni è da considerare un privilegio o una condanna?

Non è proprio così il quadro anche se, certi giorni, per uno che arrivi dalla città, l'impressione può esser più o meno questa... Comunque per la prima parte, quella ideativa, in cui si fantastica e prende forma un'idea col suo contenuto di emozione, è probabilmente un privilegio. Poi però per chi come me non ha mai avuto, tranne che in un periodo, grandi attrezzature e sufficiente esperienza per condurre da solo tutte le fasi di realizzazione, registrazione ecc. e un gruppo di musicisti che risiedono più o meno lì, diventa davvero un problema tanto che spostamenti, orari, tempo, anche meteorologico, assorbono un po' tutte le energie al limite fisiologico a scapito del lavoro vero e proprio, spesso, come nel mio caso, allungando i tempi verso limiti quasi imbarazzanti. È andata così... Se l'altra vita somigliasse a questa dovrei certamente trovare un secondo domicilio vicino al piano padano.

Gaspare Bernardi è anche un musicoterapeuta: come si traduce nella composizione e nel fare musica in generale questa disciplina?

Vi sono stati anni dove queste tematiche mi presero molto. Feci molti studi ed approfondimenti quasi tralasciando l'attività artistica. Ho anche tenuto con successo vari corsi in diverse città, anche a Roma, e presso istituzioni scolastiche e varie ma, per ora, il modo in cui ho iniziato a far canzoni e a cantarle si è tenuto come separato da queste esperienze dove metto in gioco in realtà una parte forse più libera, profonda e giocosa di me. Qualche cosa di più invece è entrato in alcuni progetti live che confinavano col teatro e ancor più mi auguro con il prossimo spettacolo cui penso da tempo.

Stranger At Home è in qualche modo un disco di rinascita e “ripartenza”, sarà così anche per Le vie del suono, la rassegna che curi ogni anno? Cosa bolle in pentola per il 2018?

Il sentimento che mi ha accompagnato in questo ultimo album è stato costantemente quello di un ri-partire, con difficoltà, con molte cose fuori posto e difficili da riorganizzare, rassegna compresa, che, senza esagerare, ho tenuto in vita rischiando io davvero molto. Ma ho lavorato appunto con la speranza nel cuore, con la tenacia che occorre a ricostruire. Sempre ahimè nel mezzo di problematiche di ordine pratico, quotidiani disbrighi che mi accompagnano un po' da sempre. Il mio percorso, da una costola del quale nasce alle soglie del 2000 la rassegna, si intreccia con questa idealmente in modo sinergico ma in realtà, essendo comunque una rassegna di frontiera, non molto supportata con fondi estremamente esigui ed incerti ad ogni edizione, finisce per assorbire quasi tutta l'attenzione e le energie mandando sullo sfondo tutto il resto... poi ad ogni estate quando in calde serate il pubblico arriva, il concerto è bellissimo e così pure l'atmosfera, sai che quel “Questa è l'ultima volta” sarà ancora una volta rinviato.

Vorremmo certamente fare qualche cosa di speciale per il ventennale, traguardo per nulla scontato, magari anche una pubblicazione che racconti la storia abbastanza unica ancora oggi per questi luoghi, ma questo è forse uno dei momenti più difficili e complessi tra tutti quelli attraversati. In questo momento però vorrei potermi interamente dedicare alla ricostruzione di un gruppo mio come un tempo e al progetto che ho in mente da un po'. Certo, lo stare tra queste montagne non facilita per nulla questo compito e la mia disponibilità ad esser sempre giù in città non è più così flessibile come un tempo. Colleghi, musicisti fantastici, amici di sempre stanno aderendo però al progetto realizzando già alcuni incontri sempre con l'entusiasmo di allora ma non è semplice far incontrare le esigenze venendo tutti da luoghi e situazioni diverse. Nel frattempo completerò quella decina di pezzi che già ci sono per il prossimo album di canzoni.