Dario Deidda ha ancora una volta fatto team con Gegè Telesforo per realizzare My favourite strings, il suo nuovo lavoro, disponibile su tutte le piattaforme digitali per l’etichetta Groove Master Edition, con grandi velleità. Una conferma di un talento irrefrenabile, con un curriculum che davvero pochi possono vantare (da Michel Petrucciani a Marcus Miller fino a Pino Daniele e Fiorella Mannoia), che torna a rilanciarne la vena compositiva dopo circa 10 anni di collaborazioni.

"Dal 2003 al 2007 sono stato in tour con Fiorella" - ribadisce - "e mi piaceva molto. Ma nei day-off mi trovavo spesso in hotel a passare il tempo al computer e cercare di suonare un po’ di musica mia nonostante fossi solo. Giocoforza ho dovuto fare tutto col mio basso, creando e registrando dei veri e propri arrangiamenti di brani miei e non solo, che, successivamente, pubblicavo su MySpace, il primo vero social di quegli anni. Quando mi sono reso conto che era arrivato il tempo giusto ho semplicemente ripreso quel discorso…"

Anche il titolo suona curioso e allegro…

Si tratta di una dedica a un mio caro amico che produce le corde che monto sui miei bassi (Richard Cocco Strings): in effetti è una sorta di sintesi dei miei brani preferiti, con una citazione evidente a My favorite things soprattutto nella grande versione resa da John Coltrane, il mio Dio. Gegè mi ha aiutato molto ad essere concreto e nella scelta dei brani, oltre ad aver suonato benissimo le percussioni. Secondo me ciò che conta per la riuscita di un progetto è il suo “Sound”: se c’è quello puoi far convivere qualsiasi brano. È la magia della musica, non sono stato il primo a farlo e non sarò l’ultimo. Siamo molto contenti del risultato ottenuto e questo volume 1 rappresenta solo il punto di partenza.

Qual è stato l'incontro decisivo della tua carriera e perché? Chi è stato il musicista che avrebbe potuto permettersi ben altre arie e che invece ti ha stupito per la sua umiltà?

Ho conosciuto tanti grandi artisti ma per fortuna continuo a vivere incontri decisivi. Sicuramente una parte importante l’ha avuta mio padre che con la sua grande passione, mi ha trasmesso l’importanza di provare a diventare bravo, non tanto di avere successo. Poi l’amicizia con Gegè continua a darmi molto. Non posso certamente tralasciare Piero Fabrizi, musicista e produttore ai tempi di Fiorella Mannoia, che mi ha trasmesso l’importanza di essere meticoloso, perché curare i minimi dettagli dimostra il tuo livello professionale. Come non ricordare l’umiltà e l’umanità di due grandi come Carl Anderson (era Giuda in Jesus Christ Superstar, sia nella versione musical che sul grande schermo) oltre al pianista jazz Mulgrew Miller: purtroppo entrambi sono scomparsi prematuramente.

A che punto ti senti di una carriera già molto importante e soddisfacente? In altre parole qual'è oggi il tuo sogno?

Ovviamente, adesso che sto per tagliare il traguardo dei 50 anni d’età, mi sento abbastanza soddisfatto di ciò che ho alle spalle. Soprattutto, ho raggiunto l’obiettivo di essere stimato e amato dai miei colleghi in tutto il mondo, dal punto di vista musicale e umano. Non sono, però, ancora appagato di come suono, e purtroppo o per fortuna, penso che mai lo sarò. Un sogno per me sarebbe avere un jazzclub (inteso come luogo dove fare musica in intimità, per soli appassionati) in casa e dove far svolgere giusto un paio di concerti a settimana. Sarebbe bellissimo, avere grandi musicisti ospiti in casa. Poi è chiaro che spero ancora di poter fare tanti concerti ovunque...

Di recente hai risuonato una musica che penso sia presente nel tuo dna come quella di Pino, inframezzandola a un lungo tour con Kurt Rosenwinkel... Cambia il tuo approccio con una musica molto complessa come quella del chitarrista americano rispetto alle melodie ariose di casa?

In realtà l’approccio non deve mai cambiare. I modelli a cui sono ispirato sono quei musicisti dalla loro personale “voce”, ovvero personalità, e da sempre tento di essere in quel modo. È ovvio che in contesti un po’ meno creativi , intendo dire dove non crei durante il concerto, fai attenzione solo al tipo di esecuzione, alla tecnica, alla precisione, al suono, alla scelta di una corda dove eseguire quella nota. In realtà anche nel jazz cerco di essere così. La musica di Kurt è sicuramente più complessa quindi la soglia di attenzione si deve alzare notevolmente. Ma ripeto che, per quanto riguarda l’approccio, è obbligatorio essere sempre creativi rispettando la propria essenza.

Si comprende la tua versatilità non solo per quanto riguarda lo stile ma anche sui tuoi gusti... ti senti un musicista jazz o universale? Perché vivere di musica è sempre molto difficoltoso, in particolare in Italia?

Quando la musica è bella, mi da un’emozione, mi commuove.. quindi questo stato d’animo lo puoi avvertire in qualsiasi momento, con qualsiasi tipo di musica. Personalmente mi sento un jazzista universale, capace di improvvisare su ogni materiale mi trovi ad affrontare, questo perché ritengo che ogni valido strumentista goda nel saper improvvisare qualcosa sul proprio strumento, e non parlo solo di jazz. Quando suonavo il contrabbasso in orchestra in conservatorio, a volte durante le pause improvvisavo qualcosa con l’archetto e gli altri musicisti si avvicinavano e mi chiedevano stupiti cosa stessi suonando… Per ciò che riguarda la vita del musicista in Italia, è un discorso abbastanza lungo e risaputo: le cause sono esattamente le stesse per cui ci troviamo in questa situazione sociale economica e politica. La musica e l’arte in generale rispecchiano interamente ciò che siamo, non possiamo bluffare. Eravamo un popolo di arte e cultura e adesso non lo siamo più. Questa involuzione parte dalla scuola elementare a salire, sembra un disegno abbastanza chiaro. C’è qualche timido segnale almeno in merito alla voglia di migliorare, cerchiamo di crederci intanto, continuando a coltivare la bellezza autonomamente dentro di noi.